Questa sezione fa riferimento al volume Tinarelli R., Giannella C., Melega L. (a cura di), 2010. Lo svernamento degli uccelli acquatici in Emilia-Romagna: 1994-2009. Regione Emilia-Romagna & Associazione Ornitologi dell'Emilia-Romagna (AsOER ODV). Tecnograf, Reggio-Emilia; accanto al report scientifico del censimento e alle schede monografiche delle specie interessate, sono presenti anche descrizioni tecniche e storiche delle zone umide del territorio dell'Emilia-Romagna. Si possono approfondire tutti questi argomenti QUI (FILE PDF).
Fino al XVIII secolo l'Emilia-Romagna era, assieme al Veneto, la regione con la maggiore superficie di zone umide in Italia. Nel 1865 vennero censiti in Emilia-Romagna 188.000 ettari di zone umide con acque lentiche (pari al 16,6 % del territorio regionale di pianura) e 14.000 ettari di risaie, ubicati principalmente nelle province di Modena, Bologna, Ferrara e Ravenna.
La bonifica per colmata o per drenaggio di gran parte delle zone umide è stata compiuta a partire soprattutto dalla seconda metà del XIX secolo quando iniziò con crescente determinazione e successo la realizzazione delle opere per il controllo idraulico del territorio in concomitanza con un aumento senza precedenti della popolazione umana e con l'intensificazione dell'agricoltura.
Vari tipi di zone umide quali le lagune costiere, utilizzate da tempi immemorabili per l'itticoltura estensiva, sono comunque ancora oggi presenti e ben rappresentati, altri invece, come ad esempio i boschi igrofili, sono ridotti a lembi relitti, mentre altri ancora quali i prati umidi, situati ai margini degli ambiti vallivi sia salmastri sia d'acqua dolce su superfici irregolarmente coltivate e più spesso utilizzati solo per il pascolo nei periodi asciutti, sono stati eliminati del tutto.
in Italia il processo di riconoscimento da parte dell'opinione pubblica dell'importanza delle zone umide come ambienti che ospitano organismi viventi molto peculiari e che svolgono importanti funzioni ecologiche e idrogeologiche, è stato molto tardivo rispetto ad altri Paesi ed è stato ufficialmente sancito nel 1976 dalla ratifica della Convenzione internazionale di Ramsar (1971) relativa alla conservazione delle zone umide d'importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici.
Molte delle zone umide ancora esistenti sono del tutto o in parte scampate al prosciugamento principalmente per ragioni idrauliche e, cioè, perché era necessaria la presenza di casse di accumulo delle acque per le risaie o di espansione dei corsi d'acqua in piena o perché situate in depressioni il cui prosciugamento risultava troppo oneroso.
Anche l'utilizzo per l'attività venatoria e l'itticoltura contribuì in modo determinante, a partire dagli anni '50 del secolo scorso, alla conservazione di alcuni biotopi posseduti da privati.
Nel corso del XX secolo diversi biotopi relitti e risaie sono stati trasformati in casse di espansione e in bacini per l'itticoltura e, nella seconda metà del secolo scorso, sono anche comparse nuove tipologie di zone umide legate a diverse altre attività produttive: i bacini di decantazione e depurazione delle acque e dei fanghi degli zuccherifici e degli allevamenti zootecnici, le cave attive e abbandonate (temporaneamente o permanentemente inondate), i bacini per la pesca sportiva e gli sport acquatici, bacini per l'itticoltura intensiva.
Complessivamente si tratta comunque di superfici poco rilevanti per estenzione e importanza nell'ambito del generale processo di riduzione delle zone umide, ma, nonostante i loro limiti ecologici, questi frammenti hanno permesso, specialmente nella pianura interna, la permanenza di ambienti utilizzabili dall'avifauna acquatica, seppure con molte limitazioni.
Il processo di riduzione della superficie delle zone umide si è arrestato ed invertito nel corso degli anni '90 del secolo scorso, quando su circa 330 aziende agricole sono stati ripristinati circa 4.500 ettari di zone umide permanenti, prati umidi e stagni gestiti per la tutela della biodiversità e della fauna selvatica in particolare, attraverso l'applicazione di misure agroambientali dei Regolamenti comunitari 2078/92 e 1257/99 (dati al 2007-2008).
Per l'avifauna, attualmente i vari sistemi idrologici e i circa 31.000 ettari di zone umide con acque lentiche distribuite irregolarmente nella pianura formano un reticolo di ambienti, spesso ecologicamente complementari tra loro, ognuno dei quali può fornire alle varie specie luoghi di sosta, siti di riproduzione e zone di alimentazione nelle varie stagioni.
Durante l'inverno le zone umide più importanti per l'avifauna acquatica sono situate in pianura e nella fascia costiera che va da Cervia al Po di Goro.
Il progetto italiano del Censimento internazione degli Uccelli acquatici svernanti (IWC), coordinato da ISPRA, ha individuato ben 302 zone in Emilia-Romagna. In esse vengono svolti ogni inverno i monitoraggi organizzati dall'Associazione Ornitologi dell'Emilia-Romagna (AsOER ODV), con il contributo della Regione Emilia-Romagna.
In base alle caratteristiche macroecologiche e alle attività che possono influenzare le specie ornitiche presenti, ogni zona censita è qualificata da una o più delle seguenti tipologie ambientali: