1 Ἥκω Διὸς παῖς τήνδε Θηβαίαν χθόνα
Διόνυσος, ὃν τίκτει ποθ' ἡ Κάδμου κόρη
Σεμέλη λοχευθεῖσ' ἀστραπηφόρωι πυρί·
μορφὴν δ' ἀμείψας ἐκ θεοῦ βροτησίαν
5 πάρειμι Δίρκης νάμαθ' Ἱσμηνοῦ θ' ὕδωρ.
ὁρῶ δὲ μητρὸς μνῆμα τῆς κεραυνίας
τόδ' ἐγγὺς οἴκων καὶ δόμων ἐρείπια
τυφόμενα Δίου πυρὸς ἔτι ζῶσαν φλόγα,
ἀθάνατον Ἥρας μητέρ' εἰς ἐμὴν ὕβριν.
10 αἰνῶ δὲ Κάδμον, ἄβατον ὃς πέδον τόδε
τίθησι, θυγατρὸς σηκόν· ἀμπέλου δέ νιν
πέριξ ἐγὼ 'κάλυψα βοτρυώδει χλόηι.
λιπὼν δὲ Λυδῶν τοὺς πολυχρύσους γύας
Φρυγῶν τε, Περσῶν ἡλιοβλήτους πλάκας
15 Βάκτριά τε τείχη τήν τε δύσχιμον χθόνα
Μήδων ἐπελθὼν Ἀραβίαν τ' εὐδαίμονα
Ἀσίαν τε πᾶσαν ἣ παρ' ἁλμυρὰν ἅλα
κεῖται μιγάσιν Ἕλλησι βαρβάροις θ' ὁμοῦ
πλήρεις ἔχουσα καλλιπυργώτους πόλεις,
20 ἐς τήνδε πρώτην ἦλθον Ἑλλήνων πόλιν,
τἀκεῖ χορεύσας καὶ καταστήσας ἐμὰς
τελετάς, ἵν' εἴην ἐμφανὴς δαίμων βροτοῖς.
πρώτας δὲ Θήβας τάσδε γῆς Ἑλληνίδος
ἀνωλόλυξα, νεβρίδ' ἐξάψας χροὸς
25 θύρσον τε δοὺς ἐς χεῖρα, κίσσινον βέλος·
τήνδε Θηβαίαν χθόνα: moto a luogo con accusativo semplice
λοχευθεῖσα: participio aoristo passivo di λοχεύω = io partorisco
ἀμείψας: participio aoristo di ἀμείβω = io cambio che regge il complemento di moto da luogo figurato ἐκ θεοῦ
νάμαθ': accusativo neutro plurale da νᾶμα, -ατος, τό = acqua corrente, sorgente
ἐρείπιον, -ου, τό = rovina
τυφόμενα ... ἔτι ζῶσαν φλόγα: φλόγα potrebbe essere accusativo dell'oggetto interno di τυφόμενα
ὕβριν è apposizione di ἐρείπια: "vedo le rovine... violenza di Era"
νιν equivale ad αὐτὸν
'κάλυψα: aferesi
μιγάσιν: dativo nasc. plurale di μιγάς, -άδος, ὁ, ἡ = mescolato alla rinfusa
Molto presente è nel prologo il campo semantico del ricordo funebre - μνῆμα, -τος, τό = ricordo, monumento, tomba, ricordanza; σηκός, -οῦ, ὁ = recinto, recinto sacro - connesso a quello della maternità e della parentela - μητρὸς, μητέρ' εἰς ἐμὴν, ἀδελφαὶ μητρός, e della generazione: τίκτει, λοχευθεῖσ, τὴν ἁμαρτίαν λέχους, τίκτει. Dioniso si trova in fatti a Tebe per difendere la madre Semele.
Un altro campo semantico notevole è quello dei termini geografici con cui Dioniso vuole tracciare l'itinerario del suo viaggio: luoghi esotici, caratterizzati dall'abbondanza e dalla potenza; mentre la varietà di condizioni climatiche, dal gelo al sole cocente servono a indicare la vastità delle terre toccate dal dio e dal suo culto, come pure la diversità dei paesaggi: campagne, città, mare, fiumi
Infine, molto importante il campo semantico del culto di Dioniso: i misteri (τελετάς) e i cori che Dioniso ha istituito (χορεύσας καὶ καταστήσας); il grido che risuona: ἀνωλόλυξα da ἀνολολύζω = io grido, i incito a grida, gli abiti e gli oggetti dle culto: la nebride (νεβρίς, -ίδος, ἡ = pelle di cerbiatto), il tirso (θύρσος, -ου, ὁ = tirso) avvolto di edera (κίσσινος, -η, -ον = di edera). Il rito è presentato da Dioniso come un furore, una mania che toglie il senno alle donne e le fa uscire di casa per riversarsi in spazi aperti, sotto i pini. Il culto è una punizione per le sorelle di Semele, che non credono in Dioniso, ma non per le donne tebane.
Nel prologo appare già la tensione fra spazio extrascenico e spazio scenico:
Attraverso i molti verbi di movimento - dall'iniziale "Sono giunto" (v.1); poi "avendo lasciato" , "attraversato", a "sono venuto" (v.19), Dioniso indica il punto di partenza e il punto di arrivando di un viaggio, che allude allo spazio geografico extrascenico lontano. Questa narrazione del viaggio è interrotta dal chiarimento su identità e nascita: "Dioniso, che un giorno la figlia di Cadmo mette al mondo, Semele, fatta partorire dal fuoco folgorante"
L'uso dei dimostrativi: τήνδε Θηβαίαν χθόνα, τόδ' ἐγγὺς οἴκων καὶ δόμων , τήνδε πρώτην ἦλθον Ἑλλήνων πόλιν, τάσδε γῆς Ἑλληνίδος intende connotare lo spazio scenico in cui sono presenti:
la casa di Penteo (che poi sarà colpita da un sisma)
la tomba di Semele, addobbata con edera
Questo spazio è connotato negativamente, come una spazio da cui evadere, da distruggere, da punire. La polis da un lato, gli spazi immensi, aperti ed esotici, dall'altro, dove sono ambientati i riti dionisiaci sono in aperto contrasto.
lo spazio extrascenico vicino, cioè il monte su cui si sono recate le donne di Tebe
Scheda etimologica
μανία, -ας, ἡ = follia, pazzia
radice: μαν/μην
*ind.e. man [m+an], mnā [m+nā]
Verbi: μαίν-ω - io impazzisco, io infurio
Derivati: nomina actionis e rei actae: μαν-ία, ας, ἡ - follia, pazzia
Derivati: nomina agentis:
μαιν-άς, -άδος, ἡ - menade, baccante
μανικός, -ή, -όν = folle, pazzo, frenetico, che provoca la follia
μανιώδης, -ες = simile a pazzia, simile a un pazzo, pazzesco
μαινόλης, -ου, ὁ = pazzo, folle, forsennato
μαινόλιος, -α, -ον = pazzo, folle, forsennato
μαινόλις, -δος, ἡ = pazzo (femm.)
significato impazzire, follia, pazzia, furia
Campo semantico:
φρήν, φρενός, ἡ = mente, animo, intelletto, senno, intelligenza, cuore; ἔκφρων, -ον = fuori di senno,
ἐνθουσιασμός, -οῦ, ὁ = ispirazione divina, entusiasmo,
ἔκστασις, -εως, ἡ = spostamento, turbamento,
οἶστρος, -ου, ὁ = tafano, estro, assillo, passione, stimolo, desiderio folle,
θυμός, -οῦ, ὁ = animo, coraggio, animosità,
σπαραγμός, -οῦ, ὁ = lacerazione, strappo, dilaniamento, convulsione, spasimo
corrispondente latino: mānĭa (sost. femm. I decl.) pazzia
corradicali italiano: manicomio, maniaco, mania,
"In indoeuropeo le radici man e mnā avevano un duplice significato: “pensare” e “ricordare”. Esse furono ereditate dal sanscrito che formò i verbi man, manyate e mnā, manati. In latino la radice man appare in mens, “sede del pensiero”, “mente” e in mentio, “menzione”, nonché in maneo (gr. ménō) “restare”, e moneo “far pensare”, che si rifanno ad un atto del “pensare”, ad una “riflessione” da compiere, o da far compiere, nel corso di quelle azioni. Nei temi greci mne/mnē di mimnḗskō la forma radicale mnā, “pensiero del passato” prevalse su man ed ebbe il senso di “ricordare”. Da essa nacquero Mnēmosýnē, “dea della memoria” e madre delle Muse, nonché mneía e mnḗmē, “ricordo”, “memoria”. É interessante notare che in greco antico mnē̃́ma significava sia “ricordo” che “monumento funebre”, “tomba”, e ciò conferma che in indoeuropeo l’azione di “ricordare” consisteva, in origine, nel “volgere il pensiero a ciò che è morto” (...) In conclusione, il sanscrito è l’unica lingua indoeuropea ad aver conservato nel suo vocabolario la forma originaria, e il significato, della radice man “pensare”. In greco, pur non essendo attestata in modo autonomo nel senso di pensare, tale radice ci indica sia un “pensiero malato”, con il termine manía, sia un “pensiero espresso dalla divinità”, con il verbo mantéuō, “vaticinare”, “predire”. (Gianfranco Bertagni)