Le Baccanti si aprono con un prologo monologico, che serve a fornire le coordinate temporali e spaziali, un breve sommario degli antefatti e una presentazione dei personaggi principali. Il prologo è recitato da Dioniso, che afferma di trovarsi a Tebe, dove Zeus ha folgorato sua madre Semele e dove Penteo, suo cugino, regna per volere di Cadmo. Ha percorso molte terre dove ha introdotto i Misteri del suo culto; ma a Tebe, nel luogo natio, Penteo combatte il suo culto. Perciò egli ha "punto di follia" le donne di Tebe che si sono recate sul Citerone per tributargli il suo culto. Dioniso è pronto a scatenare le Menadi in guerra contro Tebe, dimostrando "di essere un dio". Per fare ciò ha "assunto sembianza mortale e mutato la forma nell’identità di uomo", diventando "lo Straniero".
Dioniso, particolare di un'anfora del Pittore di Kleofrades, München, Antikensammlung. Il particolare ci mostra Dioniso con i suoi attributi: la corona d’edera che gli cinge il capo, la coppa con il vino e il tirso, il bastone tipico di Dioniso e del suo seguito, formato da un bastone nodoso attorno al quale si attorcigliano pampini e foglie di edera (da F. QUAGLIERI, Da Dioniso a Cristo: esempi della tradizione iconografica , TESI DI LAUREA)
Il prologo è quella parte della tragedia che precede l'ingresso del coro. Così è definito da Aristotele nella Poetica (12, 1452 b 19 e ss.). Con l'ingresso del coro si passa dalla recitazione al canto e questo conferisce al prologo una sua fisionomia molto netta e lo isola da ciò che segue. Esso costituisce quindi una specie di preambolo, che può essere costituito da una o più scene.
In Euripide, il prologo è una rhesis (un discorso in forma di monologo) che ha la funzione di esporre l'antefatto della tragedia, in modo da fornire agli spettatori le informazioni necessarie a comprendere l'intreccio. A differenza di quanto accade in Eschilo, Euripide fornisce anche anticipazioni sul finale ed è stato criticato per questo dagli antichi e dai moderni. Si tratta tuttavia di riferimenti necessari, dato che il tragediografo tratta con molta libertà i soggetti mitici scelti, modificando le vicende.
Il prologo delle Baccanti è per molti aspetti straordinario: il dio che lo pronuncia non si metterà da parte (come avviene in altre tragedia euripidee), ma parteciperà direttamente all'azione; egli è poi il dio delle feste in cui venivano messe in scena le tragedie (Grandi Dionisie) ma si presenta in forma umana, poiché la sua divinità è contestata.
La città di Tebe, che lo spettatore deve immaginare nello spazio retroscenico, è delegittimata e accusata, sconvolta dalla follia. La follia irrompe nelle strade, sotto forma di corteo bacchico.
Il prologo finisce con l'evocazione di uno strumento musicale specifico: il tamburo
"Leggiamo dall’inizio, dal prologo. Entra in scena un attore che impersona Dioniso stesso e, come tale, si rivolge al pubblico (vv. 1-2):
ἥκω Διὸς παῖς τήνδε Θηβαίων χθόνα
Διόνυσος
Sono qui, sono giunto nella terra dei Tebani,
io, il figlio di Zeus, Dioniso... [1]
Nel breve prologo da lui pronunciato, narra: la nota vicenda della sua nascita abortiva da Semele; la sua gestazione ulteriore nella coscia di Zeus; le sue peregrinazioni per evangelizzare al dionisimo prima il mondo orientale, poi il mondo greco-barbarico dell’Asia Minore, sempre accompagnato dal “tiaso” (v. 56) delle sue fedeli di Lidia. Precisa di essere ora giunto a Tebe, per iniziare qui la conversione a lui della Grecia propria, presentandosi però ai Tebani non nella sua vera identità, ma travestito da uomo mortale, nelle sembianze di un suo sacerdote-profeta (vv. 4; 53-54). Narra infine di aver già dato inizio alla propria rivelazione, inducendo tutte le donne della città ad abbandonare le loro case per fuggire al monte, in preda ad una frenesia ancora inconsapevole. E qui, attraverso le sue parole, abbiamo una prima descrizione del baccanale (vv. 24-25 + 32-38) (...)
Poi, alla fine del prologo, esorta il suo tiaso lidio ad eseguire il baccanale (vv. 55-61) (...)
Dopo aver dato questa disposizione, Dioniso annuncia che se ne va al monte, al Citerone, per raggiungere le baccanti tebane e partecipare ai loro “cori” (vv. 62-63). Esce di scena, sull’orchestra dilaga il gruppo corale, è la parodo.
Attenzione: è un passaggio delicatissimo dal punto di vista della tecnica teatrale. Dioniso ha ordinato alle baccanti di Lidia di baccheggiare e ha chiamato “cori” l’azione che le baccanti tebane compiono al monte. Le sue parole sono però solo metafora antifrastica rispetto a ciò che realmente avviene sulla scena e a ciò che si immagina avvenire fuori scena: le baccanti lidie eseguiranno “cori”, le baccanti tebane eseguiranno baccanali.
Sì, perché sull’orchestra non c’è un intero tiaso di donne lidie, ma il gruppo corale a numero chiuso che lo rappresenta e simboleggia. Il suo moto non può essere una baraonda, ma una danza regolata dalla norma strofica. La sua parola non può essere un confuso gridio rituale, ma canto dispiegato nel rigore della misura metrica. Certo, il ritmo è particolarmente vivo, ionico-coriambico, come si addice ad un coro bacchico; danza e canto hanno tono e stile ditirambico, ma si configurano come inno religioso, in lode di Dioniso e del dionisismo. E, proprio come la parodo, anche tutti gli altri canti corali che seguiranno saranno sempre e soltanto inni, non solo a livello di resa scenica, ma anche a livello di trama drammatica.
Si attengono strettamente alla norma della gestualità paraverbale, non slittano mai nella gestualità pratica metaverbale. E la gestualità in questo caso, trattandosi di canto corale, non di dialogo scenico, non è puramente retorica, ma anche e soprattutto orchestica, realizzata in movimenti e figure di danza.
Chi baccheggia, nelle Baccanti di Euripide, sono solo le baccanti tebane, ma lo fanno sempre e soltano fuori scena, lontane dallo sguardo del pubblico. Sulla scena, i loro baccheggiamenti sono solo narrati e descritti da personaggi-messaggeri, le cui relazioni sono così vive e icastiche da riprodurre l’evento nella mente degli spettatori, da esibirlo in immagine agli occhi della loro fantasia.
Da, G. Cerri, Gestualità nelle Baccanti di Euripide, in Engramma 2013