CORO
Dalla terra d’Asia
lasciato il sacro Tmolo metto in rapido movimento
per Bromio una fatica dolce e un travaglio, buon travaglio,
celebrando Bacco con grida di evoè.
Chi è per strada, chi è per strada, chi?
Stia in casa fuori da questo luogo, e ognuno
Consacri la bocca che serba religioso silenzio:
io infatti celebrerò Dioniso
secondo il rito in uso, sempre.
Str a. O beato colui che va d’accordo con se stesso
conoscendo i misteri degli dèi,
santifica la vita e
entra nel tiaso con l’anima,
baccheggiando nei monti
con sacre purificazioni,
e celebrando secondo il rito
le orge della grande madre Cibele
alto scuotendo il tirso,
e incoronato di edera
venera Dioniso.
Andate Baccanti, andate Baccanti,
a ricondurre Dioniso
il dio Bromio figlio di dio
dai monti Frigi
alle contrade dagli ampi
spazi dell’Ellade, il Bromio;
Ant a. lui che un giorno la madre gravida nelle necessità
del parto pieni di dolore
mentre volava il fragore di Zeus
generò espulso dal ventre
lasciando la vita per il colpo del fulmine;
ma subito lo accolse
nei talami puerperali Zeus Cronide
e celatolo nella coscia
lo tiene stretto con fibbie
nascostolo a Era.
E poi lo diede alla luce, quando le Moire
lo ebbero compiuto, il dio dalle corna di toro,
e lo incoronò con corone
di serpenti, per cui le menadi
intrecciano ai ricci
la preda selvaggia.
Str. b
O Tebe nutrice di
Semele, incorònati di edera;
colmati, colmati di verdeggiante
smilace dal bel frutto
e baccheggia con i rami
di quercia o di abete,
e adorna l’indumento delle
nebridi screziate con ciocche di ricci
dal bianco pelo; e intorno ai tirsi violenti,
santifìcati: presto tutta la terra danzerà.
Bromio è chiunque guidi i tiasi.
Verso il monte verso il monte, dove aspetta
la turba delle donne
lontana da telai e spole
rese furiose dall’assillo di Dioniso.
Ant b. O sede riposta dei Cureti
e sacrosanta dimora
di Creta dove nacque Zeus,
dove i Coribanti dal triplice cimiero
negli antri inventarono per me
questo cerchio di pelle tesa;
e nell’orgia bacchica lo mescolarono
al soffio concorde dal dolce suono
dei flauti frigi, e lo misero in mano
della madre Rea, strepito adatto alle grida delle menadi;
e Satiri pazzi
lo ottennero dalla dea madre
e lo adattarono alle danze
delle feste biennali,
delle quali gioisce Dioniso.
Epodo
E’ cosa dolce nei monti, quando dai tiasi in corsa
Si cade a terra, indossando
il sacro indumento della nebride, cacciando
il sangue del capro ucciso, gioia di mangiare la carne cruda,
spingendosi sui monti frigi, lidi, e il capo è Dioniso,
evoè.
Scorre di latte il suolo, scorre di vino, scorre del nettare
delle api.
Bacco sollevando
la fiamma ardente
dalla torcia di pino
come fumo di incenso di Siria
si precipita, con la corsa e
con danze eccitando le erranti
e con grida spingendole,
e scagliando nell’aria la molle chioma.
e insieme con urla di evoè grida così:
“O andate Baccanti,
andate Baccanti,
con lo splendore dello Tmolo aurifluente,
cantate Dioniso
al suono dei timpani dal cupo tuono,
celebrando con urla di evoè il dio dell’evoè
tra clamori e gridi frigi
quando il sacro flauto melodioso
freme sacri ludi, che si accordano
alle erranti al monte, al monte: felice
allora, come puledra con la madre
al pascolo, muove il piede rapido, a balzi, la baccante”.
Dopo il prologo, da uno dei corridoi che consentono l'ingresso nell'orchestra - detti appunto parodoi - entra il coro ed esegue il suo primo canto. Fra il prologo e la parodo può esservi uno stretto raccordo: il coro con il suo canto in ingresso approfondisce aspetti menzionati nel prologo o li fa risaltare per contrasto.
Questo canto può essere preceduto da una sezione non cantata (in recitativo), terminata la quale i coreuti avevano ormai preso posto nell'orchestra e potevano dare inizio alla performance cantata. Alla fine del canto del coro, di norma, prende avvio l'azione vera e propria, con il dialogo fra il coro e gli attori.
La parodo delle Baccanti si può dividere in tre parti:
1) un breve preludio (64-71);
2) due coppie strofiche (72-134);
3) un lungo epodo conclusivo (135-169).
Vi si trovano tutti gli aspetti rituali e cultuali del dionisismo: la nascita di Dioniso, il suo vagare per diffondere la sua religione; i rituali segreti del dionisismo (lo sparagmòs seguito dall'omofagia)
Epiteti di Dioniso: Bromio, da βρόμιος, -α, -ον = risuonante, fremente, viene dalla stessa radice di βρέμω = io faccio rumore, io risuono, muggisco. Allude alla forma animale che Dioniso può talvolta assumere; oppure anche al fremere delle foglie di edera che era interpretato come segnale dell'arrivo di Dioniso (l'edera è una pianta collegata alla vite, una sorta di vite invernale, le cui spire ricordano il serpente e l acui ingestione poteva provocare allucinazione); Bacco, Βάκχος, = grappolo di uva (forse), cui da βακχεύω = io partecipo a riti bacchici, io agisco da frenetico, io rendo frenetico.
Chi è per strada? Nella polis non c'era un luogo deputato ad accogliere le baccanti. Il rito aveva la forma di un κῶμος ( = baldoria, orgia, festa, allegra brigata, comitiva di festaioli, torma, banda, ode per un corteo festivo), di un corteo non isituzionalizzato, libero di vagare per le strade della città. Esso esprime il rifiuto dell'occupazione di uno spazio stabile e dei vincoli: infatti il κῶμος è spesso associato alla porta, al varcare la soglia. Il κῶμος poteva avere - al di là del dionisismo - varie funzioni: nuziale, funebre, religioso. Esso è caratterizzato da un impatto sonoro: rumore, musica. Un residuo del modello che si compone di corteo/porta chiusa si può vedere nell'usanza dei bambini che vanno in giro a chiedere che venga loro aperta la porta (PMG 848, Carmina popul, 2).
Makarismos: il fedele viene definito beato. È questo un topos che verrà anche usato per mettere a confronto vari tipi di vita terrena
La grande Madre Cibele è una dea antichissima, venerata a Creta, di cui Dioniso era paredro. La mitologia greca conosce vari racconti su Dioniso: figlio di Persefone e Zeus, fatto a pezzi dai Titani, figlio di Semele incenerita da Zeus per un inganno ordito da Era, partorito due volte: prematuramente da Semele e poi da Zeus che lo aveva cucito in una sua coscia. Cibele è associata anche a Rea, i cui sacerdoti sono i Cureti, detti anche Coribanti.
Il Coro esprime il concetto di purezza, di purificazione. DI Benedetto ha ricostruito quello che sembra essere un modello di esperienza dionisiaca: chi veniva iniziato al culto dionisiaco era stato toccato da uno squilibrio mentale e l'iniziazione al dionisismo lo liberava da questo squilibrio, lo purificava (come era accaduto allo stesso DIoniso). Il fenomeno interessava in modo particolare le donne e aveva valore anche liberatorio rispetto ai vincoli imposti (lavoro di spola e telaio, spazio ristretto della casa). La sfrenatezza del rito evocato nell'epodo sarebbe quindi essa stessa la purificazione
gli strumenti musicali dei culti dionisiaci sono il tamburo, inventato dai Cureti, i timpani (τύμπανον, -ου, τό = timpano, tamburello) e il flauto (αὐλός, -οῦ, ὁ = aulo, flauto)
1.1. Διόνυσος δὲ εὑρετὴς ἀμπέλου γενόμενος, Ἥρας μανίαν αὐτῷ ἐμβαλούσης περιπλανᾶται Αἴγυπτόν τε καὶ Συρίαν. καὶ τὸ μὲν πρῶτον Πρωτεὺς αὐτὸν ὑποδέχεται βασιλεὺς Αἰγυπτίων, αὖθις δὲ εἰς Κύβελα τῆς Φρυγίας ἀφικνεῖται, κἀκεῖ καθαρθεὶς ὑπὸ Ῥέας καὶ τὰς τελετὰς ἐκμαθών, καὶ λαβὼν παρ' ἐκείνης τὴν στολήν, [ἐπὶ Ἰνδοὺς] διὰ τῆς Θρᾴκης ἠπείγετο. Λυκοῦργος δὲ παῖς Δρύαντος, Ἠδωνῶν βασιλεύων, οἳ Στρυμόνα ποταμὸν παροικοῦσι, πρῶτος ὑβρίσας ἐξέβαλεν αὐτόν. καὶ Διόνυσος μὲν εἰς θάλασσαν πρὸς Θέτιν τὴν Νηρέως κατέφυγε, Βάκχαι δὲ ἐγένοντο αἰχμάλωτοι καὶ τὸ συνεπόμενον Σατύρων πλῆθος αὐτῷ. αὖθις δὲ αἱ Βάκχαι ἐλύθησαν ἐξαίφνης, Λυκούργῳ δὲ μανίαν ἐνεποίησε Διόνυσος.
1.2 ὁ δὲ μεμηνὼς Δρύαντα τὸν παῖδα, ἀμπέλου νομίζων κλῆμα κόπτειν, πελέκει πλήξας ἀπέκτεινε, καὶ ἀκρωτηριάσας αὐτὸν ἐσωφρόνησε. τῆς δὲ γῆς ἀκάρπου μενούσης, ἔχρησεν ὁ θεὸς καρποφορήσειν αὐτήν, ἂν θανατωθῇ Λυκοῦργος. Ἠδωνοὶ δὲ ἀκούσαντες εἰς τὸ Παγγαῖον αὐτὸν ἀπαγαγόντες ὄρος ἔδησαν, κἀκεῖ κατὰ Διονύσου βούλησιν ὑπὸ ἵππων διαφθαρεὶς ἀπέθανε.διελθὼν δὲ Θρᾴκην [καὶ τὴν Ἰνδικὴν ἅπασαν, στήλας ἐκεῖ στήσας] ἧκεν εἰς Θήβας, καὶ τὰς γυναῖκας ἠνάγκασε καταλιπούσας τὰς οἰκίας βακχεύειν ἐν τῷ Κιθαιρῶνι. Πενθεὺς δὲ γεννηθεὶς ἐξ Ἀγαυῆς Ἐχίονι, παρὰ Κάδμου εἰληφὼς τὴν βασιλείαν, διεκώλυε ταῦτα γίνεσθαι, καὶ παραγενόμενος εἰς Κιθαιρῶνα τῶν Βακχῶν κατάσκοπος ὑπὸ τῆς μητρὸς Ἀγαυῆς κατὰ μανίαν ἐμελίσθη· ἐνόμισε γὰρ αὐτὸν θηρίον εἶναι. δείξας δὲ Θηβαίοις ὅτι θεός ἐστιν, ἧκεν εἰς Ἄργος, κἀκεῖ πάλιν οὐ τιμώντων αὐτὸν ἐξέμηνε τὰς γυναῖκας. αἱ δὲ ἐν τοῖς ὄρεσι τοὺς ἐπιμαστιδίους ἔχουσαι παῖδας τὰς σάρκας αὐτῶν ἐσιτοῦντο.
τοὺς μὲν ὑπ' ἀνοίας ἄνευ κάκης ὀργῆς τε καὶ ἤθους γεγενημένους εἰς τὸ σωφρονιστήριον ὁ δικαστὴς τιθέμενος νόμῳ τιθέσθω μηδὲν ἔλαττον ἐτῶν πέντε, ἐν τούτῳ δὲ τῷ χρόνῳ μηδεὶς τῶν πολιτῶν αὐτοῖς ἄλλος συγγιγνέσθω πλὴν οἱ τοῦ νυκτερινοῦ συλλόγου κοινωνοῦντες, ἐπὶ νουθετήσει τε καὶ τῇ τῆς ψυχῆς σωτηρίᾳ ὁμιλοῦντες· ὅταν δ' ὁ χρόνος αὐτοῖς ἐξέλθῃ τῶν δεσμῶν, ἐὰν μὲν δοκῇ τις σωφρονεῖν αὐτῶν, οἰκείτω μετὰ τῶν σωφρόνων, ἐὰν δὲ μή, ὀφείλῃ δ' αὖθις τὴν τοιαύτην δίκην, θανάτῳ ζημιούσθω. ὅσοι δ' ἂν θηριώδεις γένωνται πρὸς τῷ θεοὺς μὴ νομίζειν ἢ ἀμελεῖς ἢ παραιτητοὺς εἶναι, καταφρονοῦντες δὲ τῶν ἀνθρώπων ψυχαγωγῶσι μὲν πολλοὺς τῶν ζώντων, τοὺς δὲ τεθνεῶτας φάσκοντες ψυχαγωγεῖν καὶ θεοὺς ὑπισχνούμενοι πείθειν, ὡς θυσίαις τε καὶ εὐχαῖς καὶ ἐπῳδαῖς γοητεύοντες, ἰδιώτας τε καὶ ὅλας οἰκίας καὶ πόλεις χρημάτων χάριν ἐπιχειρῶσιν κατ' ἄκρας ἐξαιρεῖν, τούτων δὲ ὃς ἂν ὀφλὼν εἶναι δόξῃ, τιμάτω τὸ δικαστήριον αὐτῷ κατὰ νόμον δεδέσθαι μὲν ἐν τῷ τῶν μεσογέων δεσμωτηρίῳ, προσιέναι δὲ αὐτοῖς μηδένα ἐλεύθερον μηδέποτε, τακτὴν δὲ ὑπὸ τῶν νομοφυλάκων αὐτοὺς τροφὴν παρὰ τῶν οἰκετῶν λαμβάνειν. ἀποθανόντα δὲ ἔξω τῶν ὁρίων ἐκβάλλειν ἄταφον· ἐὰν δέ τις ἐλεύθερος συνθάπτῃ, δίκας ἀσεβείας τῷ ἐθέλοντι λαγχάνειν ὑπεχέτω. παῖδας δὲ ἂν μὲν καταλείπῃ τῇ πόλει ἱκανούς, οἱ τῶν ὀρφανῶν ἐπιμελούμενοι καὶ τούτων ὡς ὄντων ὀρφανῶν ἐπιμελείσθων μηδὲν χεῖρον τῶν ἄλλων ἀπὸ τῆς ἡμέρας ἧς ἂν ὁ πατὴρ αὐτῶν ὄφλῃ τὴν δίκην.
Περὶ μὲν τῆς ἱερῆς νούσου καλεομένης ὧδ' ἔχει· οὐδέν τί μοι δοκέει τῶν ἄλλων θειοτέρη εἶναι νούσων οὐδὲ ἱερωτέρη, ἀλλὰ φύσιν μὲν ἔχει ἣν καὶ τὰ λοιπὰ νουσήματα, ὅθεν γίνεται. Φύσιν δὲ αὐτῇ καὶ πρόφασιν οἱ ἄνθρωποι ἐνόμισαν θεῖόν τι πρῆγμα εἶναι ὑπὸ ἀπειρίης καὶ θαυμασιότητος, ὅτι οὐδὲν ἔοικεν ἑτέρῃσι νούσοισιν· καὶ κατὰ μὲν τὴν ἀπορίην αὐτοῖσι τοῦ μὴ γινώσκειν τὸ θεῖον αὐτῇ διασώζεται, κατὰ δὲ τὴν εὐπορίην τοῦ τρόπου τῆς ἰήσιος ᾧ ἰῶνται, ἀπόλλυται, ὅτι καθαρμοῖσί τε ἰῶνται καὶ ἐπαοιδῇσιν. Εἰ δὲ διὰ τὸ θαυμάσιον θεῖον νομιεῖται, πολλὰ τὰ ἱερὰ νουσήματα ἔσται καὶ οὐχὶ ἓν, ὡς ἐγὼ ἀποδείξω ἕτερα οὐδὲν ἧσσον ἐόντα θαυμάσια οὐδὲ τερατώδεα, ἃ οὐδεὶς νομίζει ἱερὰ εἶναι.