Nell’Italia degli anni di piombo Lama schiera la Cgil in prima linea contro il terrorismo.

Arrivato al vertice della Confederazione poche settimane dopo la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, Lama vive con la massima fermezza possibile la stagione dello stragismo prima e del brigatismo dopo, dalla bomba di Piazza della Loggia a Brescia a quella alla stazione di Bologna, dall’omicidio di Moro a quello di Guido Rossa, l’operaio e delegato della Fiom di Genova ucciso dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979.

L’aver fatto del sindacato il “guardiano delle istituzioni” posto a difesa della democrazia italiana, l’ostacolo insormontabile per i terroristi, e l’aver contribuito in modo decisivo a sconfiggere la violenza attraverso la mobilitazione dei lavoratori e dei cittadini, rappresentò uno tra i suo meriti principali.

Alle 16 e 37 di venerdì 12 dicembre 1969 un ordigno esplode nel salone centrale della Banca nazionale dell’agricoltura di Milano: muoiono 17 persone, 89 rimangono ferite. Un’altra bomba – fortunatamente rimasta inesplosa – viene rinvenuta sempre nel capoluogo lombardo nella sede della Banca commerciale italiana. Ancora una manciata di minuti e le esplosioni colpiscono Roma. Tra le 16 e 55 e le 17 e 30 ne avvengono altre tre: una all’interno della Banca nazionale del lavoro di via San Basilio, altre due sull’Altare della patria di Piazza Venezia.

Il 28 maggio 1974 a Brescia è prevista una manifestazione unitaria contro il terrorismo neofascista, indetta dai sindacati e dal Comitato antifascista. Il clima è freddo e piovoso e i manifestanti non sono moltissimi a causa della pioggia. Alle ore 10.12 Franco Castrezzati, segretario dei metalmeccanici della Cisl bresciana, sta parlando dal palco a nome della Federazione unitaria. La sua voce viene rotta, improvvisamente, dall’esplosione di una bomba che causa la morte di otto persone.

L’11 marzo 1978 viene costituito il cosiddetto governo della non sfiducia, il primo esecutivo che si avvale dei voti del Pci. La mattina del 16 marzo le due Camere vengono convocate per discutere e votare la fiducia. Quella mattina in via Fani, a Roma, un commando delle Br rapisce Aldo Moro, presidente della Dc e principale sostenitore dell’intesa e uccide i cinque uomini della sua scorta: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Il 9 maggio le Br uccidono Aldo Moro e fanno ritrovare il suo cadavere in via Caetani, all’interno di una Renault rossa. I 55 giorni iniziati in via Fani e terminati a un passo dalle sedi della Dc e del Pci sono un trauma drammatico nella storia del paese.

Il 24 gennaio 1979, otto mesi e mezzo dopo l’assassinio di Aldo Moro, le Brigate Rosse colpiscono ancora uccidendo a Genova Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970, esperto alpinista, fotografo, pittore e scultore, trucidato per aver denunciato, da solo, Francesco Berardi, un brigatista infiltrato in fabbrica. La risposta del mondo del lavoro è gigantesca: scioperi spontanei, cortei, assemblee si svolgono in tutte le principali fabbriche italiane, da Milano a Torino, da Firenze a Taranto, da Napoli a Bologna l’Italia dice no all’ennesimo atto di violenza.