Si chiude un'epoca: la vertenza Fiat del 1980




Relazione conclusiva al Comitato direttivo confederale del 22 ottobre 1980


Voglio dire a questo proposito soltanto due cose, che non riguardano il merito dell'accordo fatto, perché anche su queste questioni dobbiamo essere chiari: era possibile uno sbocco diverso nelle condizioni date? A mio giudizio no. E quando parlo di condizioni date, mi riferisco alla stessa impostazione della piattaforma o a quello che si è discusso della piattaforma, perché la trattativa è stata una trattativa contro i licenziamenti, pro o contro la mobilità, per la rotazione. Non è stata a mia conoscenza, mai, una trattativa nella quale i problemi fondamentali che erano alla base della relazione di Garavini e che sono stati presenti in molti degli interventi che si sono svolti qui oggi, e cioè i problemi della riconversione, i problemi della ristrutturazione, i problemi dell'organizzazione del lavoro, i problemi del rapporto tra il sindacato e questi processi, e quindi del comportamento del sindacato di fronte a questi processi che sono inevitabili e inarrestabili – di questo non si è parlato, non c'era all'ordine del giorno, e infatti l'accordo nella valutazione dei compagni, dei lavoratori, è stato tutto e soltanto un accordo che si riferiva alla questione dei licenziamenti, della cassa integrazione, della mobilità, della rotazione.

Ecco perché io ritengo che nelle condizioni date non fosse possibile uno sbocco diverso; né io ritengo che fosse possibile, sempre ragionando su questa base, cioè delle condizioni concrete nelle quali la vertenza si è svolta, non credo che fosse possibile concludere prima.

A questo riguardo ci sono anche delle opinioni esterne al sindacato che si sono manifestate, io non le condivido, e lo dico con tutta franchezza, non lo condivido questo giudizio perché chi ha partecipato alle discussioni, alle trattative, sa bene che l'acquisizione più importante, quella che credo molti di noi giudicano la più importante dell'accordo, e cioè la garanzia del rientro dei lavoratori dopo la cassa integrazione, la saldatura del cerchio che il contratto dei metalmeccanici lascia aperta, è stata acquisita l'ultimo giorno, non prima.

Se fosse stato possibile – sono anch'io d'accordo – il giorno prima o il giorno dopo lo sciopero generale, sarebbe stato fatto in condizioni migliori; il fatto è che in quei giorni l'accordo non c'era e non si poteva fare alle condizioni nelle quali è stato fatto, cioè l'ultimo giorno.

Io credo che noi dobbiamo però recuperare subito, nell'insieme del movimento sindacale, quelle posizioni di impegno, di iniziativa sui problemi appunto delle ristrutturazioni, della riconversione, dell'organizzazione del lavoro, soprattutto nelle grandi aziende in crisi, perché se noi non ci mettiamo al livello di questi problemi, non c'è dubbio che il rullo compressore della ristrutturazione passerà sopra di noi; ci sarà sempre il sindacato, ma allora sì che sarà un altro, diverso.

Questo pericolo oggi è un pericolo reale, noi ne abbiamo parlato di questa questione anche nei Consigli generali più recenti, anche qui non abbiamo camminato, il divario pauroso fra gli impegni che prendiamo e le scelte che poi in concreto facciamo, è un divario che non si può più tollerare, non può più restare; non possiamo essere più un sindacato che dice una cosa e ne fa un'altra, perché questo troppo spesso siamo. (...)

Noi abbiamo subito anche in questa vicenda della Fiat, io credo, l'influenza di una specie di massimalismo conservatore, che è una deviazione del 1968, è una deviazione, una degenerazione della politica dei consigli, per il momento in cui i consigli sono nati, per come sono nati tra il 68-69-70, è una degenerazione ripeto, ma questo dato esiste ed è preoccupante e pericoloso; una specie di mitizzazione del movimento che porta poi – badate bene, perché la nozione di movimento è una nozione di allargamento del sindacato dei soci, così è nato. Perché collegarci al movimento? Questa è la nozione del rapporto fra il sindacato come organizzazione e il resto, e i delegati sono nati per realizzare questa sutura, questa saldatura fra l'organizzazione e l'insieme dei lavoratori.

A questo punto, in determinati casi le situazioni si capovolgono e abbiamo una realtà completamente diversa nella quale appunto ci troviamo in presenza di una forza, di una porzione di lavoratori che vogliamo chiamare per comodità di ragionamento, avanguardie, che è sicuramente minoritaria e che finisce per esercitare non solo nelle assemblee prevaricatrici quando lo sono, ma in altri momenti della vita del sindacato e delle sue scelte, finisce per esercitare un'influenza che è un'influenza deteriore.

Perché? Perché si toglie al sindacato la visione reale, della realtà, del rapporto di forze così com'è; dire la verità diventa una prova di coraggio.

Insomma la cosa assurda è questa, a Torino chi parlava di crisi dell'automobile si faceva fischiare, porco Giuda; ma è mai possibile una cosa simile? Ma questo è. I fischi a chi parlava di crisi; quando si sentiva la parola crisi dell'auto, fischi.

Cioè la paura, questa logica, questo modo di collocarsi rispetto alla realtà dribblandola, porta inevitabilmente il sindacato a rimpicciolirsi, a rinunciare al suo carattere di massa, di organizzazione di massa capace davvero di guidare un movimento, ma di guidiate un movimento su una linea che rappresenti l'orientamento dell'insieme o che sia capace di egemonizzare l'insieme del mondo del lavoro e non di rappresentarne una punta, che a questo momento poi che sia una punta di avanguardia o di retroguardia, non interessa più. Questo problema esiste.

Noi stessi siamo portati e ascoltiamo nelle riunioni e nelle assemblee delle analisi molto minuziose, molto sofisticate, su determinati aspetti della situazione, ma sfugge spesso in queste analisi appunto il dato del rapporto di forze, cioè della condizione oggettiva nella quale quella determinata cosa di deve fare, si può fare o non si può fare, che è il dato elementare sul quale si è costruito il sindacato, il sindacato di classe si è costruito su questo dato elementare, la capacità di analisi del sindacato di classe e anche dei suoi elementi più rozzi e primitivi, si è sempre approfondita su questo tema, se abbiamo o no le forze per realizzare questa cosa, per affrontare questa prova.

Questo elemento spesso ci sfugge, oggi ci sfugge. E allora poi naturalmente si finisce per fare dell'idealismo, adoperando magari un vocabolario marxista ortodosso, ma si fa dell'idealismo puro.

Perché dico queste cose? Perché io sono convinto che qualunque accordo noi avessimo portato, se avessimo ottenuto l'accordo che la Fiat il penultimo giorno della trattativa ha tolto via dal tavolo, che era un'ipotesi nella quale non c'era la garanzia del rientro per tutti i lavoratori dopo la mobilità, quello non c'era, c'erano altre due cose, la rotazione e il rientro per tutti per un mese, per poi da quel momento, dopo quel mese, dare il via alle liste di mobilità. Noi avevamo giudicato che questa proposta era migliore dell'altra, migliore nel senso che sarebbe stata meglio accetta, credo, ai lavoratrici di Torino, indipendentemente da una valutazione oggettiva dei due tipi di accordo possibile; certamente secondo me, sarebbe stato più accettato ai delegati, vogliamo dire questo. Ma i fischi ci sarebbero stati ugualmente, qualunque accordo si fosse portato non sarebbe stato un accordo accolto, perché quei gruppi che avevamo questa posizione, in effetti sono molti di loro, erano e sono convinti che qualsiasi accordo è una capitolazione. […]

Ecco perché io ritengo che dobbiamo liberarci di questa situazione, dobbiamo vedere quali sono le sue radici, dobbiamo anche risalire alle radici di questo tipo di orientamento e dobbiamo condurre una battaglia politica molto seria per far sì che il sindacato diventi non quello che fa gli accordi al ribasso ma quello che prima di organizzare le lotte, organizzando le lotte, fa i conti con la realtà, e facendo i conti con la realtà si propone di conseguire il risultato più alto possibile in quella realtà determinata, altrimenti le delusioni saranno inevitabilmente all'ordine del giorno.

Io penso che su questo terreno anche noi ci dobbiamo muovere, in materia di sviluppo della democrazia, perché questo è un problema decisivo: io non voglio ripetere a questo riguardo le cose che hanno detto già oltre a Garavini, Trentin e Marianetti e Zuccherini per la verità, e molti di voi, a proposito di determinate regole che bisogna stabilire. Bisogna stabilire delle regole con le quali funzionano le strutture del sindacato, a cominciare dai delegati, i delegati rappresentanti del gruppo omogeneo, quindi espressione degli iscritti e dei non iscritti, se non vogliamo che questa questione, questa grandissima conquista del sindacato, questo che è stato l'elemento nuovo e fondamentale che ha dato una spinta poderosa all'evoluzione della situazione politica, sociale, culturale in Italia, negli ultimi dieci o dodici anni, se non vogliamo che questa conquista sia fatalmente liquidata; per salvare i delegati, difenderli nella loro funzione di rappresentanza reale dei lavoratori, bisogna che le regole della democrazia funzionino, altrimenti salteranno i delegati, questo diventa inevitabile. (...)

C'è uno scontro che sta avanzando tra la strategia di subordinazione del sindacato e quella del cambiamento: noi dobbiamo combattere efficacemente questi pericoli di moderatismo, di sindacato normalizzato, diciamo così, dobbiamo fare rapidamente quella operazione alla quale io prima mi riferivo. Perché quei gruppi che ci hanno portato a determinate deviazioni e a certi errori, ripeto di massimalismo conservatore, questi gruppi che scambiano il garantismo pietrificato come una forza, invece di avere fiducia nella forza del sindacato sorretto dai lavoratori per adottare in ogni situazione concreta le politiche giuste, le rivendicazioni giuste, per fare le lotte giuste, non le paci, le lotte giuste: se vogliamo fare questo cambiamento, che è un cambiamento serio della nostra organizzazione e del movimento sindacale, noi dobbiamo farlo rapidamente, perché altrimenti noi stessi potremmo essere investititi dall'offensiva del moderatismo.