Guido Rossa




In memoria di Guido Rossa. Discorso in occasione del primo anniversario dell'assassinio


Un anno fa quando recammo al compagno Guido Rossa il nostro ultimo saluto, l'empito dei sentimenti, le emozioni e il cordoglio ci impedirono di ragionare con la chiarezza, con la ricchezza, che sarebbe stata necessaria – ma non possibile in quel momento – sul terrorismo, sull'azione che esso svolge, sui fini ultimi che esso si propone di conseguire. Oggi, a un anno di distanza dalla sua morte, questa possibilità di passare al vaglio della ragione il suo sacrificio ci è data e dobbiamo utilizzarla fino in fondo come hanno fatto i compagni e amici che mi hanno preceduto a questo microfono. Anzitutto noi ricordiamo oggi, con Guido Rossa, tutti gli altri che, prima o dopo di lui, sono morti per mano dei terroristi.

E ricordiamo insieme ai carabinieri, i poliziotti, i magistrati, gli uomini politici, i giornalisti, gli operai i delegati di fabbrica, i dirigenti di azienda che, di volta in volta, sono stati colpiti, feriti o assassinati dall'azione dei terroristi.

Tutti costoro, tutti questi che sono stati colpiti dai terroristi sono gente nostra, fanno parte non solo del nostro popolo, ma di quella parte del popolo che si batte e non assiste passivamente all'azione del partito armato.

Non è una manifestazione per un nostro caduto soltanto questa.

E' una manifestazione nella quale accomuniamo tutte le vittime del terrorismo.

Abbiamo detto tante volte che la lotta contro il terrorismo è lotta per la democrazia, per la libertà, per valori che abbiamo conquistato noi, per quei valori di cui si adorna da più di trent'anni la Repubblica italiana. Essi sono scaturiti da una lotta alla quale la classe operaia, le forze del popolo hanno dato la loro forza senza la quale ciò che è avvenuto non sarebbe avvenuto. Come difendere oggi questa Repubblica e questi valori? Questo è il primo interrogativo se vogliamo stare alla questione vera. Ci sono, ed è vero, gli organi dello Stato, le forze dell'ordine, la Magistratura, Queste forze devono essere rese più efficienti, più valide professionalmente e organizzativamente, e per questo è necessaria la riforma; una riforma che deve dare ai poliziotti, alle forze dell'ordine, una capacità di combattere il terrorismo, una capacità di difendersi dall'azione dei terroristi più grande di quella di oggi, perché è davvero triste che quasi ogni settimana uno, due, tre rappresentanti delle forze dell'ordine, carabinieri e poliziotti cadano sotto il piombo assassino dei terroristi.

Questa è una cosa che urta, che entra in conflitto drammatico con la natura stessa dello dello Stato democratico e, prima ancora, con la sensibilità umana della classe operaia che non si fa le leggi per sé ma che vuole che la stessa possibilità di vivere di operare, di godere della vita sia garantita a tutti i cittadini e non solo a se stessa. Occorre una riforma che dia ai poliziotti il diritto di organizzarsi come vogliono e di stare con gli operai, se vogliono stare con gli operai, perché questo non sarà un fatto che diminuisce la loro capacità d'azione, la loro disciplina, la loro fedeltà alla Repubblica, il loro senso del dovere che deve esserci e crescere ancora. No! Questo sarà invece un aumento della loro capacità di operare; darà loro una forza maggiore di quella che non possa consistere in una legge o in un regolamento di disciplina; darà ad essi la forza che viene dal sapersi sostenuti da milioni di lavoratori onesti che credono che sia giusto e necessario che l'azione dei poliziotti si sviluppi a tutela della libertà, della democrazia, della vita e dei beni dei cittadini italiani.

Occorre dunque la riforma che deve essere una riforma vera, che riconosce ai poliziotti questo diritto elementare di tutti i lavoratori il sindacato che vogliono e, nello stesso tempo, una riforma che unifica la direzione delle forze dell'ordine in modo che al disordine che troppo spesso esiste in questo campo, ancora oggi si sostituisca la collaborazione, il lavoro in comune e, quindi, una crescita dei risultati dell'azione contro la criminalità politica e comune. E occorre anche adeguare la Magistratura, gli organici, il numero dei quadri, le attrezzature dei magistrati, in modo che essi possano compiere il loro dovere imparziale e rigoroso con la maggiore celerità, affinché gli innocenti che sono in carcere siano liberati, ma i colpevoli siano condannati e scontino le loro colpe.

Ma non c'è dubbio che le pur necessarie riforme da realizzare nel settore delle forze che hanno il compito di difendere i diritti e le libertà dei cittadini, come la polizia e la Magistratura, non bastano. I lavoratori, i cittadini, non possono assistere passivamente, non possono essere spettatori di una specie di faida, di guerra privata o pubblica che si determina tra i terroristi da una parte e le forze dell'ordine dall'altra.

Guido Rossa ci ha dato l'esempio, ci ha indicato che non è questa la nostra strada.

Guido Rossa non si è fatto giustizia da sé non ha tentato di organizzare un gruppo di compagni che dessero la caccia ai terroristi , non ha fatto il vigilantes. Guido Rossa ha tentato di collaborare con le forze dell'ordine e la Magistratura e lo ha fatto.

Ha pagato con la vita questo suo dovere di cittadino consapevole; ha pagato con la vita questo suo dovere di operaio cosciente, ha pagato con la vita questa sua testimonianza di fedeltà alla Repubblica Italiana, alla sue leggi e ai suoi valori di democrazia e di libertà.

C'è stato qualcuno che, dopo, lo ha tacciato da delatore e da spia. Vecchie accuse che trovano solo orrore nella nostra anima. Si è vero. Ma qui bisogna essere chiari: una cosa era collaborare con la polizia fascista o coi tribunali di Mussolini, con le forze dell'ordine di un regime liberticida, autoritario, guerrafondaio, un'altra cosa è collaborare oggi con la polizia, i Magistrati, che difendono la libertà, lo Stato democratico, le sue leggi repubblicane. Qui c'è una distanza abissale tra le due cose.

Compagni e amici di Genova, noi e i lavoratori di tutta Italia dobbiamo capire la differenza che esiste, e ciò vale anche per noi anziani che abbiamo sempre considerato le spie come nemici da sorvegliare e combattere. Noi dobbiamo sapere che oggi collaborare con le forze dell'ordine e la Magistratura per sconfiggere il terrorismo, per dare un contributo a far sì che il partito armato sia abbattuto dalla democrazia e dalla libertà, è un nostro dovere elementare, e fondamentale di cittadini onesti, di democratici. Le garanzie devono esserci e valere anche verso i denunciati. E' evidente che anche per un cittadino in uno Stato di diritto, chiunque sia accusato fin tanto che non è stato denunciato deve essere considerato innocente. Ma questo principio, che è fondamentale per ciascuno di noi e per tutti, non può essere confuso con posizioni innocentiste a priori, le quali, al contrario nascondono, e non troppo bene, una sorta di collusione con il partito armato; nascondono una volontà e un impegno di collaborazione con i terroristi del nostro paese. Ha ragione Benvenuto quando di che la distanza abissale che ci divide dal punto di vista politico nei confronti di questa gente, con chi esalta la violenza, con chi esalta l'azione di forza, deve essere chiaramente definita da ciascuno di noi, dal movimento sindacale e dalle forze democratiche del nostro paese.

E questo è necessario, compagni e amici, ovunque. Forse meno che altrove in una città come Genova dove si riuniscono in questa piazza sterminate moltitudini di lavoratori e di cittadini in questa occasione e in altre simili a questa. Ma ci sono altre città dell'Italia in cui questo non avviene.

A Padova questo non avviene. C'è una preoccupazione di massa fra i cittadini, una preoccupazione e una paura che colpisce parte importante della popolazione di quella città civile.

Non si contano più le scritte, le telefonate minatorie, le minacce mafiose, le ferite, le percosse, le bastonature, le uccisioni di coloro i quali hanno semplicemente il coraggio di dire la loro verità di assumere una posizione limpida, chiara, per la difesa della democrazia contro la violenza politica e il terrorismo.

Ebbene, noi dobbiamo sentire il nostro dovere di cittadini, di lavoratori nel fare ciò che è necessario per far sì che questa paura sia travolta dalla ripresa della coscienza civile , da quel tanto di coraggio che è necessario per alzare la testa e per dire tutta quanta, come si sente, la propria opinione e la propria verità.

Si dice giustamente che le manifestazioni di massa non bastano. E' vero. E' vero che anche noi ci riuniamo molto spesso per dare testimonianza del nostro cordoglio.

Ma è anche vero che queste manifestazioni di massa sono necessarie, perché dimostrano la volontà incrollabile, inflessibile di non cedere e fintanto che i terroristi si troveranno di fronte a piazze di gente sapranno che la loro azione non passa, sapranno che possono ucciderci ma non possono vincere.

Occorre non trascurare nessun episodio fra i tanti che accadono, anche fra di noi.

E' falso sostenere che in molte fabbriche italiane ci sono i terroristi, perché questo non è vero. Ma è vero che in alcuni luoghi di lavoro essi hanno radice. E' vero che essi tendono ad insinuarsi tra le nostre file per trovare rifugio, per cercare di mimetizzarsi e per rendere la loro azione più efficace.

Non non dobbiamo lasciare che ciò accada, non possiamo pensare che ciò accada.

Compagni delegati e dei consigli, non dobbiamo lasciare che ciò accada! Questo se vogliamo davvero testimoniare a Guido Rossa che qualche cosa ci ha insegnato il suo sacrificio e che non siamo qui oggi riuniti solo per ricordare la sua persona luminosa.

Ancora due cose voglio dire. La prima è questa; abbiamo un dovere di fronte ai giovani da assolvere. Dobbiamo fare sì che i giovani comprendano meglio le ragioni per le quali vale la pena di difendere la Repubblica, questa Repubblica. L'unico modo per migliorala laddove non ci piace è difenderla per cambiarla.

L'azione del terrorismo non è rivolta a migliorare la Repubblica, a renderla più libera e più giusta, no.

E' rivolta a trasformare questo Stato democratico in un uno Stato autoritario nel quale la libertà degli uomini sia cancellata, regni il sopruso, prevalga la posizione di parte, siano annullate le conquiste della democrazia italiana. Noi queste conquiste le abbiamo realizzate e dobbiamo difenderle fino in fondo. Dobbiamo difender anche le nostre idee perché valgono qualche cosa, perché ci abbiamo creduto e ci crediamo, perché migliaia di uomini prima di noi si sono sacrificati per difendere e per farle camminare avanti. Questo significa pluralismo, rispetto delle idee e delle posizioni degli altri, lotta contro il settarismo, lotta contro il dogmatismo, lotta contro l'intolleranza.

Noi dobbiamo dar prova, che la nostra società deve essere per nostra scelta una società nella quale, le idee hanno posto, tutte le idee politiche, e possono confrontarsi liberamente senza la paura di essere soffocate dalla violenza in qualsiasi modo espressa.

Questo dobbiamo dirlo, in un momento nel quale aneliamo naturalmente a dei cambiamenti profondi della società e della sua direzione politica.

Ma in che direzione vogliamo questi cambiamenti? Bisogna saper dare una risposta chiara a questa domanda. E la risposta è semplice. Noi stiamo vivendo un periodo della storia del mondo nel quale si accentuano di nuovo all'orizzonte le minacce di guerra, va svanendo quella prospettiva positiva che è andata sotto il nome di distensione.

Dobbiamo essere consapevoli della gravità di questo periodo della gravità della spirale che si è innescata fra azioni e reazioni che minacciano di portarci davvero sull'orlo di un nuovo conflitto mondiale.

In un momento nel quale si limitano le libertà personali in determinati paesi; in un momento nel quale si colpisce l'autonomia, l'indipendenza di popoli in altri paesi, in un momento come questo noi sentiamo che è necessario – anche questo lo diciamo in nome dei principi e degli ideali di Guido Rossa – che in Italia si realizzi davvero una maggiore comunione, unità, solidarietà di tutte le forze le quali assumano la direzione del paese, per una politica di pace che faccia sì che l'Italia diventi un paese che opera per la pace e che non assista passivamente a ciò che avviene al di fuori di noi da parte delle grandi potenze e delle loro alleanze.

Abbiamo bisogno di un governo che faccia fronte al terrorismo in modo più efficace, esprimendo proprio perché così è, la solidarietà del nostro popolo nello sforzo per combattere e vincere e il partito armato.

Abbiamo bisogno di un governo che dia risposte positive ai problemi angosciosi della società italiana che sono la disoccupazione, il Mezzogiorno, le fabbriche in crisi, l'equità fiscale, l'equità nei redditi, problemi questi che possono, se risolti giustamente, far uscire l'Italia anche dalla crisi economica e dal processo inflattivo che la sta colpendo così drasticamente. A questo fine è necessaria una direzione politica diversa e noi dobbiamo far sì, per ciò che sta in noi, che si realizzi.

Ma noi potremo farlo soltanto se saremo capaci davvero come movimento dei lavoratori italiani, come forza di classe, di non disgiungere mai il nostro impegno di lavoratori di lavoratori coscienti che si battono per i loro diritti e per cambiare l'economia italiana, dall'impegno per cambiare e difendere la libertà e la democrazia nel nostro paese.

Soltanto a questa condizione noi daremo un contributo vero al cambiamento della direzione politica. Cambiare la direzione politica non può volere dire che una parte deve poter sopraffare l'altra parte. Cambiare la direzione politica vuol dire unire le forze della democrazia per portare più avanti i contenuti economici, sociali e politici della politica del governo: e dare al nostro popolo una nuova prospettiva di avanzata verso il progresso e la libertà.