"Chi dice che una cosa è impossibile, non dovrebbe disturbare chi la sta facendo."
Albert Einstein
Questo documento non vuole essere una storia completa e dettagliata della Honda Motor Co ma piuttosto una sorta di tributo agli uomini ed alle macchine che hanno contributo a creare il più grande produttore di motocicli della nostra era. È una storia fatta di ingegno, spirito di sacrificio, innovazione, dedizione al lavoro ed anche tanti azzardi.
Grazie a https://www.hondasportouring.it/soichiro-honda-una-storia-non-ufficiale/ , https://www.italiaonroad.it/2017/05/29/come-e-perche-negli-anni-70-lindustria-motociclistica-giapponese-anniento-la-concorrenza-europea/ , https://www.moto.it/forum/default.aspx?g=posts&t=23733 .
Soichiro Honda nacque nella Prefettura di Shizuoka, nel piccolo villaggio di Komyo vicino a Tenryu, ora la città di Hamamatsu un paesino nei pressi del Monte Fuji, il 17 novembre 1906, figlio di Gihe Hondai, fabbro e meccanico di biciclette, e di Mika – una tessitrice esperta.
Soichiro, appassionato di meccanica, aiutava il padre nella sua attività di riparazione di biciclette e come lui aveva mani abili. Nonostante il fatto che la famiglia fosse povera, Soichiro crebbe in un ambiente felice, sebbene un po' rigoroso.
All'età di 8-9 anni, per la prima volta in vita sua vide un'auto (si dice che fosse una Ford modello T) che passava su una strada rustica e polverosa. Soichiro trovò i gas di scarico affascinanti e il rumore del motore per lui sembrava una musica. Avvicinandosi alla piccola pozza di benzina lasciata da quel miracolo mobile, si inginocchiò, mise le dita dentro e inalò. Il bimbo sentì come un profumo ipnotico, che da allora li fece sognare solo automobili e motori. Nella scuola primaria di Futamata, le lezioni della classe di Soichiro duravano per lui un'eternità: non vedeva l'ora di trascorrere il suo tempo libero nella bottega del padre. Pedali, catene e ruote erano i suoi giocattoli.
1922: le luci della metropoli
Soichiro Honda, finita la scuola dell’obbligo, decise di cercare lavoro in quel settore che tanto amava. Non trovando disponibili posti di lavoro nella prefettura di residenza, nel 1922, all’età di quindici anni, riuscì a farsi assumere come apprendista meccanico presso l’officina di riparazione automobili "Art Shokai" di Hongo, Tokyo.
Anche qui, la storia (o la leggenda?) narra il metodo di assunzione: un giorno Honda vide un annuncio del workshop automobilistico "Art Shokai", officina molto popolare poiché forniva i migliori servizi di riparazione della città. Non era un annuncio di assunzione, ma Soichiro scrisse alla direzione chiedendogli di accettarlo come studente. Dopo aver ricevuto una risposta positiva, una settimana dopo il sognatore andò a Tokyo. Nel primo anno, Honda non imparò nulla poiché il suo datore di lavoro gli affidò una mansione radicalmente diversa da quella che il giovane si aspettava: fare da baby sitter al giovanissimo figlioletto.
Nei primi mesi, lo studente eseguì piccoli compiti, come la preparazione del tè o il lavaggio dei pavimenti. Gli anziani lo presero sotto cura e guardavano la sua pazienza e la devozione alla compagnia.
1923: terremoto a Tokyo
Tutto cambiò col catastrofico grande terremoto del Kanto del 1° settembre 1923 (più di 140 mila vittime): tutti i dipendenti abbandonarono la "Art Shokai" per tornare alle proprie famiglie e ricostruire le proprie case, con la sola eccezione di Honda e dell’apprendista più anziano. Questo avvenimento diede l’occasione ad Honda di ricevere una rapida e completa istruzione nel campo della meccanica automobilistica, sotto la direzione del suo capo, Yuzo Sakakibara.
Honda rapidamente apprese le sfumature del business di riparazione auto e guadagnò una reputazione come un meccanico lavorativo. Il suo entusiasmo per il duro lavoro, la capacità di improvvisare e una comprensione intuitiva della meccanica gli servirono parecchio. Soichiro non solo apprese i lavori di riparazione, ma anche come affrontare i clienti imparò anche imparato l'importanza di sentirsi orgogliosi per la propria competenza tecnica e il proprio lavoro. Quindi ricevette non solo conoscenze teoriche, ma anche competenze necessarie al lavoro, come la forgiatura e la saldatura.
Nel 1926, all’età di vent’anni, Honda venne coscritto nelle Forze Armate ma, essendo risultato daltonico alla visita di leva, venne riformato e ritornò subito a lavorare presso la "Art Shokai".
Dopo sei anni di apprendistato ricevette finalmente il brevetto di mastro meccanico nel 1928. Honda (22 anni) si era già guadagnato una certa fama partecipando ad alcune corse automobilistiche come pilota per Yuzo Sakakibara, che poi lo autorizzò ad aprire un’autofficina ad Hamamatsu utilizzando il nome "Art Shokai".
Honda venne “adottato” da Yuzo Sakakibara in base al sistema di relazioni familiari e di affari noto come ie, abolito nel 1947. Visto che Yuzo Sakakibara non poteva lasciare nulla di materiale ad Honda dal momento che aveva eredi diretti, gli concesse l’uso del nome della sua ben nota officina come ausilio pubblicitario.
1928: un record (e un cuore) infranto
I nuovi doveri di responsabile (a quel tempo il ramo aziendale di Hamamatsu aveva più di 30 persone ) gli lasciarono comunque abbastanza tempo per iniziare ad assemblare macchine da corsa da vecchie parti di ricambio e telai. Inoltre gli ha diedero l'opportunità di provare il suo talento di inventore. Soichiro creò una macchina da corsa da zero con un motore Ford ricondizionato (ancora Ford...). Lavorando giorno e notte sulle sue creazioni, quest'automobile superò la velocità di160 km/h e infranse il record di una gara giapponese.
Nel mese di ottobre di quell'anno, Soichiro Honda sposò Satie. Ella cominciò ad aiutare il marito a gestire l'azienda, assumendo la fornitura di cibo per il personale e per la contabilità.
1936: Soichiro rischia di infrangere la sua vita
Negli anni seguenti Soichiro Honda continuò la sua doppia carriera di meccanico e corridore, a volte assieme a suo fratello (1930) fino al 7 giugno 1936. In questa data, durante la corsa inaugurale del circuito di Tamagawa, Honda rimase gravemente ferito in un incidente e su insistenza di mogli e padre decise di non correre personalmente mai più. Durante la convalescenza, Honda decise di “fare il gran passo” e di iniziare la produzione di componenti per automobili. Dopo aver considerato diversi prodotti decise di dedicarsi alla produzione di segmenti (o fasce elastiche) per pistoni per due motivi: il primo è che il suo vecchio datore di lavoro, Yuzo Sakakibara aveva fabbricato per un breve periodo segmenti presso la "Art Shokai" coll’assistenza dei suoi apprendisti. Il secondo è che in quel periodo i segmenti avevano raggiunto valutazioni al peso superiori a quelle dell’argento.
Tutti, amici, potenziali investitori, apprendisti, tentarono di dissuadere Honda da questa idea: la sua "Art Shokai" era comunque un’attività ben avviata che gli dava di che vivere e di che finanziare la sua passione per le corse. Perché rischiare? Tutti meno un conoscente, Kato Shichiro, che vide buone potenzialità nel progetto e prestò ad Honda il denaro necessario per l’acquisto dei macchinari.
"Senza sogni, non realizzerai nulla"
Soichiro Honda
1937: Tokai Seiki, la prima azienda di Soichiro Honda
Nel 1937 venne così fondata la "Tokai Seiki" (Compagnia Macchinari di Precisione del Mare Orientale), con sede nella stessa officina "Art Shokai" di Hamamatsu, che rimase comunque in attività. Kato Shichiro venne nominato presidente della Tokai Seiki mentre Soichiro Honda riparava automobili e motociclette di giorno, poi di notte sperimentava vari metodi per la produzione di segmenti.
Il suo intento era di vendere i suoi segmenti alla "Toyota Corporation", perciò si mise a lavorare giorno e notte, con le braccia immerse nel grasso, dormendo in officina, con la convinzione che avrebbe raggiunto il risultato. Per restare in affari impegnò i gioielli della moglie e non solo.
Ishida Taizo, un responsabile acquisti della Toyota, chiese alla "Tokai Seiki" di inviare un lotto di cinquanta segmenti per valutare l’acquisto di successive partite. Il risultato: un disastro su tutti i fronti. Dei cinquanta segmenti, solo tre passarono il controllo qualità. Toyota scelse altri fornitori e Soichiro Honda passò settimane insonni continuando a sperimentare ma ottenendo sempre gli stessi catastrofici risultati.
Honda capì che per la prima volta in vita sua aveva bisogno di studiare le scienze. Chiese quindi aiuto al professor Fuji Yushinobu del locale Istituto Tecnico, che lo mise in contatto con un docente universitario, il professor Takashi Tashiro. Questi analizzò uno dei segmenti e comunicò ad Honda che il motivo era un’insufficiente elasticità dovuta all’uso di una lega d’acciaio povera di silicio.
Questa rivelazione colpì Soichiro Honda come un fulmine: non solo si iscrisse ad una scuola tecnica serale per lavoratori (dove gli toccò sopportare le risate ironiche di insegnanti e compagni), ma seguì anche le lezioni del Professor Takashi. Per due anni, fino al tardo 1939, Honda studiava di notte e lavorava di giorno.
A questo punto, avendo “sbloccato” il segreto della realizzazione di segmenti d’alta qualità, si presentò un altro problema.
I macchinari che Honda e Kato Shichiro avevano acquistato erano sufficienti per produzioni in piccola serie, non certo le enormi quantità che Toyota o gli altri grandi costruttori di motori richiedevano.
Grazie all’aiuto ancora una volta del Professor Takashi, Honda poté usufruire della collaborazione di numerose università giapponesi e questo aiuto si dimostrò fondamentale per la realizzazione dei rivoluzionari macchinari che Honda aveva concepito per la produzione di massa.
Nel 1939 Soichiro Honda venne nominato presidente della Tokai Seiki dopo Kato Shichiro.
Una delle sue prime “rivoluzioni” fu la creazione di una linea di produzione ad elevata automazione che potesse essere usata dal Corpo di Lavoro Volontario, costituito quasi interamente da giovani donne prive di esperienza nel settore metalmeccanico, senza però diminuire la qualità dei prodotti, qualcosa che ritornerà in seguito.
1941: Tokai Seiki divenne un fornitore Toyota, il Giappone divenne un nemico degli Stati Uniti d'America
Nel 1941 la Tokai Seiki divenne un fornitore Toyota, un grande riconoscimento nel Giappone dell’epoca. Ma non era tutto. Durante le sue visite presso le università del Giappone Honda aveva conosciuto Takeshima Hiroshi della "Nakajima" (un grande produttore di aeroplani e motori per la Marina Imperiale Giapponese). Nakajima produceva il motore "Sakae" ("Prosperità") installato sul celebre caccia Mitsubishi A6M Zero da poco entrato in servizio ed aveva bisogno di un fornitore in grado di fornire parti di alta qualità e in gran numero. Takeshima non ebbe dubbi sulla scelta del fornitore.
Si tenga presente che Marina ed Esercito Imperiale Giapponese avevano, di fatto, un peso sulle politiche nazionali ben superiore a quello che si potrebbe immaginare, spesso al di sopra degli stessi ministri imperiali. La Marina Imperiale era tanto potente che, oltre al ruolo che possiamo ben immaginare, possedeva intere fabbriche ed era una forza armata autosufficiente, completa di reparti di terra, artiglieria ed aviazione. Va ricordato anche che tra Marina ed Esercito non correva buon sangue ed erano spesso ai ferri corti: l’Esercito riteneva la Marina una sorta di “club” per altezzosi ed arroganti membri dell’alta società e tecnocrati. La Marina ricambiava il sentimento considerando l’Esercito una sorta di “ultimo rifugio” per i reietti della società.
Durante la guerra sino-giapponese, e più tardi, durante la II Guerra Mondiale, le vendite dell'azienda erano aumentate del triplo.
L’8 dicembre 1941, in seguito allo scoppio delle ostilità con gli Stati Uniti, il Governo Militare nipponico applicò la Legge di Mobilitazione Generale Nazionale del 1938, che dava ai grandi fornitori delle Forze Armate (come appunto Toyota e Nakajima) forti sussidi e sgravi fiscali per la produzione di armamenti. Con i fondi sbloccati da questa legge, la Toyota acquistò il 40% della Tokai Seiki e ne aumentò enormemente il capitale. Soichiro Honda venne quindi “degradato” da presidente a direttore anziano: una carica che accolse con entusiasmo perché gli consentiva di passare tutto il suo tempo in officina ed al tavolo di progettazione, liberandolo dal peso della gestione finanziaria e amministrativa dell’azienda.
1943: Honda aiuta Yamaha con le eliche dei Mitsubishi
Nel 1943 Soichiro Honda venne chiamato da "Nippon Gakki" (ora nota come "Yamaha Motor Co"!) come consulente per risolvere un delicato problema. Nippon Gakki aveva ricevuto dalla Marina Imperiale l’incarico di realizzare eliche per i bombardieri Mitsubishi allora in servizio. Queste eliche erano basate su un disegno Hamilton Standard acquistato dagli USA prima della guerra: il governo americano aveva però vietato l’esportazione delle avanzate tecnologie di taglio utilizzate da Hamilton Standard, essenziali per la produzione di massa. Le eliche erano quindi realizzate con tecniche altamente inefficienti che allungavano il tempo di realizzazione in modo enorme.
Honda in due mesi mise a punto una macchina da taglio che consentiva di ridurre il tempo di lavorazione per un elica da sei giorni a soli trenta minuti, lo stesso impiegato dalla Hamilton Standard e dai suoi contraenti negli USA. Per questo ricevette una lettera di ringraziamento dalla Marina Imperiale (l’equivalente di una decorazione per i civili) e il suo nome venne pubblicato sui quotidiani a fianco di quello degli eroi di guerra.
All’inizio del 1944 la Tokai Seiki operava due grandi fabbriche: una a Yamashita ed una ad Iwata e produceva un’ampia gamma di componentistica per motori.
Tuttavia i problemi non tardarono ad arrivare. Il governo giapponese stava accelerando la produzione per la guerra e rifiutò di fornire a Soichiro Honda il cemento armato necessario per la costruzione della sua fabbrica. Ma neppure questo sconfisse Soichiro che decise di servirsi dell’esperienza acquisita e con la sua equipe inventò un nuovo sistema per produrre cemento armato e costruì il suo stabilimento.
Durante la II Guerra Mondiale la fabbrica di Yamashita venne bombardata due volte (da bombardieri USA provenienti da Saipan) e buona parte dei macchinari andò distrutta. La reazione di Honda? Radunò tutti i lavoratori per raccogliere i bidoni di riserva che i bombardieri americani avevano gettato via. Soichiro li chiamava « i doni del presidente Truman», perché gli fornivano le materie prime di cui necessitava per il processo di fabbricazione (materiali a quel tempo introvabili in Giappone).
Era anche un momento di delusione per Soichiro Honda, che non poteva più dedicarsi alle auto da corsa. A poco a poco, il numero di dipendenti maschi nella società, il cui numero di dipendenti era già salito a duemila, venne ridotto, in quanto furono richiamati per la guerra e sostituiti da donne inesperte. Fu allora che Soichiro realizzò la necessità di automatizzare meglio la produzione.
Ma la guerra era oramai persa: la scarsità di materiali costringeva le linee di produzione a lunghe pause forzate.
1945: un terremoto mette fine a tutto
Alla fine, dopo aver superato tutte quelle difficoltà, arrivò anche un terremoto che gli rase al suolo lo stabilimento. Infatti la fabbrica di Iwata venne gravemente danneggiata dal grande terremoto di Mikawa il 13 gennaio 1945. I macchinari vennero recuperati e riparati ma per Tokai Senki era la fine della corsa.
Soichiro allora decise di vendere il brevetto del suo segmenti elastici alla Toyota perché questa volta la fortuna non era stata dalla parte di Honda: l'impianto soffrì così tanto che Soichiro non aveva né i mezzi né il desiderio di ripristinarlo. Dopo aver venduto anche lo stabilimento alla Toyota per la somma di 450.000 yen, Soichiro Honda intraprese una vacanza creativa di un anno. Entrò nel collegio tecnico di Hamamatsu e studiò automotive, ma non si presentò per gli esami finali. Soichiro era diventato un ingegnere senza un diploma.
Dopo la II Guerra Mondiale, il Giappone era stato devastato. I trasporti pubblici e privati erano stati gravemente colpiti. Il Paese si radunò orgogliosamente per ritrovare la sua gloria pre-guerra. I produttori, in tutti i settori, con zelo religioso vollero ottenere prodotti di alta qualità a prezzi accessibili. Tuttavia, l'industria automobilistica era ancora al bivio della strada per la creazione di un veicolo che avrebbe portato il paese alla prosperità.
E’ qui necessario aprire una parentesi sul Giappone del periodo immediatamente successivo alla II Guerra Mondiale per comprendere appieno il clima in cui Honda Soichiro si trovò ad operare durante i primi anni della sua attività di produttore di motocicli.
In seguito alla resa incondizionata da parte del Giappone, l’Armata d’Occupazione ("GHQ"), comandata inizialmente dal generale Douglas MacArthur, ebbe il completo controllo sul Giappone tra il 1945 ed il 1952, anno della ratificazione del Trattato di Pace di Los Angeles. Questo controllo si estendeva a tutti i rami della politica e dell’economia.
Il Giappone postbellico, proprio come l’Italia e la Germania in Europa, aveva un disperato bisogno di mezzi di trasporto. Le politiche della GHQ erano però estremamente rigide ed irrazionali da questo punto di vista: a causa dei bombardamenti alleati, il Giappone aveva perso quasi tutta la sua rete ferroviaria. Per muovere merci e persone c’era bisogno di autocarri ed automobili. La GHQ però impose un limite alla produzione mensile di soli 1500 autocarri e 350 automobili: assolutamente insufficiente a coprire il disperato bisogno di mobilità.
Il Giappone prebellico aveva una buona industria motociclistica: il marchio più famoso era "Rikuo" ("Re della Strada"), che negli anni ’30 aveva acquistato progetti e macchinari dall'americana "Harley Davidson" per la produzione della VL1200 con motore a valvole laterali.
Nel periodo tra le due guerre il Giappone era il primo mercato d’esportazione per Harley Davidson. Il direttore della filiale giapponese, Alfred Childs, inventò l’attuale sistema di assistenza post-vendita, comprensivo di garanzia, officine con personale altamente qualificato ed addestrato direttamente da tecnici della casa e un sistema ordine ricambi razionalizzato.
Rikuo era il risultato di una curiosa “joint venture” tra l’Esercito Imperiale e la "Sankyo", azienda farmaceutica tuttora attiva. La GHQ consentì a Rikuo di continuare la produzione della Tipo 97 (la versione militarizzata della VL1200). Il problema era che la Tipo 97 era estremamente costosa e pochi potevano permettersela, cioè enti governativi, agenzie di stampa, medici di aree rurali.
La GHQ aveva anche pubblicato una lista di “prodotti consentiti”, ovvero sia prodotti che le aziende potevano produrre senza dovere fare richiesta alle autorità d’occupazione: si trattava perlopiù di materiali d’uso quotidiano o senza immediata applicazione bellica come pentolame, strumenti musicali, macchine fotografiche.
Molte aziende che non potevano più produrre, ad esempio, componentistica per aeroplani (completamente proibita dalla GHQ) esaminarono questi “prodotti consentiti” per trovare una nuova ragione d’esistere. Ad esempio la "Nippon Kogaku KK" (Compagnia Giapponese Ingegneria Ottica, tenete bene in mente questo nome), che durante la guerra aveva prodotto telemetri e apparati di mira per bombardieri e navi da guerra, formò dei comitati per investigare a quali “prodotti consentiti” dedicarsi. Non è sorpresa che si decise per le macchine fotografiche, che potevano fare uso della loro vasta esperienza in campo delle lenti. La compagnia, rinominata "Nikon", è ora nota in tutto il mondo ed è parte del keirestu Mitsubishi.
"Keiretsu" viene spesso impropriamente tradotto come “gruppo”, anche se forse il termine più adatto è “conglomerato”. Si tratta di una tipica caratteristica dell’economia giapponese ed è costituito da un gruppo di società fortemente legate tra loro da controllo azionario incrociato, accordi informali e, soprattutto, dall’uso di una banca principale che costituisce il “cuore” stesso del keiretsu. Al momento ne sono identificati sei principali: Mitsubishi, Fuyo, DKB, Mitsui, Sanwa e Sumitomo. Una società può essere membro di più keiretsu (ad esempio Hitachi è membro dei keiretsu DKB, Fuyo e Sanwa) o essere indipendente ma con “rapporti di amicizia” con uno o più keiretsu (ad esempio Honda ha forti legami con Mitsubishi e Toyota con Mitsui). Esistono poi i cosiddetti keiretsu verticali, generalmente costituti da un grande gruppo (ad esempio Toyota) e dai suoi contraenti e fornitori da esso direttamente o indirettamente controllati.
Dunque, uno dei “prodotti consentiti” cui le aziende si rivolsero furono le motociclette leggere, ed in particolare le biciclette motorizzate, economiche e facili da realizzare.
Rikuo Nainen Company Type 97, un modello di 1274 cm³ qui con sidecar: è evidente la sua somiglianza con le Harley-Davidson.
1946: nasce finalmente la Honda numero 1, è una bicicletta motorizzata
Dopo la guerra, il Giappone aveva quindi bisogno di muoversi in maniera rapida ed economica.
Mitsubishi nel 1946 aveva fatto richiesta alla GHQ per essere autorizzata a produrre scooter, nella fattispecie copie dei modelli "Powell" americani, di cui avevano comprato alcuni esemplari sul mercato nero a scopo di “clonazione”. Mitsubishi era uno dei grandi zaibatsu (*) prebellici e come tale oggetto di “sorveglianza speciale” da parte delle forze d’occupazione e quindi l’autorizzazione venne negata. Il motivo merita di essere qui riportato per dare un’idea della mentalità della GHQ: negli USA gli scooter erano considerati giocattoli e beni superflui, quindi Mitsubishi non aveva alcun motivo di produrre un “bene di lusso” in un paese praticamente alla fame. Fortunatamente il governo di Washington dopo poco diede ordine di “allentare la presa” sull’economia giapponese (si temeva infatti che un Giappone impoverito e in cerca di rivalsa entrasse nell’orbita sovietica) e Mitsubishi poté mettere in commercio il suo primo scooter.
Venduto col marchio "Fuso" (oggigiorno noto per gli ottimi autocarri) e chiamato C10 Silver Pigeon, fu uno dei grandi successi del Giappone dell’immediato dopoguerra, anche grazie al patrocinio dell'allora principe ereditario (in seguito Imperatore) Akihito, da sempre un forte sostenitore dell’industria motociclistica giapponese. Mitsubishi ne cessò la produzione nel 1964 per dedicarsi alle automobili dopo averne prodotti più di 500.000 esemplari in varie versioni.
In seguito a questo relativo progressivo e cauto “rilassamento” le industrie giapponesi poterono finalmente avere accesso a quelle materie prime di cui avevano disperatamente bisogno per riprendere una produzione su larga scala.
Nell’estate del 1946 Soichiro, con l’aiuto di suo fratello Benjiro e di alcuni ex dipendenti di "Tokai Seiki", eresse una nuova officina sul sito della vecchia fabbrica di Yamashita. Qui, come tanti artigiani dell’immediato dopoguerra (non solo in Giappone) tentò di realizzare una varietà di prodotti: pannelli per soffitti, vetri decorativi e macchinari tessili. Poi la rivelazione: la scoperta di un motorino per radio militari lo ispirò a realizzare una semplice motocicletta (applicò un motorino alla sua vecchia bicicletta). Il prototipo fu approntato a tempo di record: su questo prototipo, a differenza del popolarissimo (in Europa) "Velosolex", il motore trasmetteva il moto alla ruota posteriore tramite un innovativo sistema di frizioni poi brevettato. Non solo: si poteva ottenere un supplemento di potenza pedalando o anche utilizzarlo come una semplice bicicletta. Subito dopo i vicini gli chiesero di fare anche per loro quelle “biciclette a motore” e la voce si sparse così rapidamente che Honda rimase senza motorini.
A questo punto quindi il primo problema: anche frugando nei rottamai si scoprì presto che la quantità di motori disponibile era estremamente limitata. A Soichiro Honda venne l'idea di montare il motore di un gruppo elettrogeno su una bicicletta. Così facendo, creò la prima "Honda". Ora il problema era soddisfare la domanda.
Decise allora di costruire una piccola officina per fabbricare motori per la sua nuova invenzione ma gli mancavano i fondi necessari.
*Zaibatsu è il nome dato ai grandi gruppi finanziari prebellici che controllavano buona parte dell’economia giapponese: acciaierie, cantieri navali, miniere, banche. Sono una caratteristica dominante della storia giapponese dalla modernizzazione dell’era Meiji al 1945. Potevano essere formati da antiche e potenti famiglie, come lo zaibatsu Sumitomo, fondato dalla omonima famiglia, fornitrice di rame degli shogun, o da persone provenienti dal nulla, come lo zaibatsu Mitsubishi, creato da un intraprendente samurai di bassa casta di nome Iwasaki Yataro. Se i nomi sembrano gli stessi dei moderni keiretsu è perché le loro radici affondano proprio in questi grandi gruppi nati durante la modernizzazione del paese. Il termine zaibatsu è oggi usato in Giappone con accentazione negativa per via del loro supporto all’espansione imperiale in Asia a cominciare dalla I Guerra Sino-Giapponese (1894-95) e se ne trova poca traccia nelle storie ufficiali (shoshi) dei grandi conglomerati.
Il Powell P-48, lo scooter dell'esercito USA che ispirò le italiane Vespa e Lambretta e il C10 Silver Pigeon della nipponica Mitsubishi.
Il C10 Silver Pigeon della nipponica Mitsubishi, scooter post-bellico.
La Vespa 98 n. 3, cioè la terza in assoluto costruita al mondo, primo lotto progetto MP6 (Motocicletta Piaggio n.6), serie 0, telaio n. 1003 (la numerazione partiva da 1001), anno 1946.
La prima Lambretta prodotta in Italia: è la M (A) 125 del 1947.
La linea di assemblaggio dello scooter "Rabbit" presso lo stabilimento di Futoda della Fuji Heavy Industries fornisce una buona idea delle condizioni di lavoro presso le industrie motociclistiche giapponesi (e non solo) dell’immediato dopoguerra.
Soichiro (che doveva confrontarsi sul mercato interno contro circa duecento assemblatori come lui) si rivolse ai diciottomila proprietari di negozi di biciclette del Giappone scrivendo a ciascuno di loro una lettera personale in cui spiegò come potevano contribuire alla rinascita della nazione attraverso la mobilità. Ben cinquemila risposero alla sua richiesta fornendogli il capitale necessario.
Honda disegnò quindi il suo primo motore: un due tempi 50 cm³ con una caratteristica tecnica per i tempi rivoluzionaria: ammissione a dischi rotanti.
I motori due tempi usavano precedentemente (ed alcuni usano tuttora) l’ammissione controllata dal pistone, ovvero sia il pistone stesso “chiudeva” la luce d’ammissione. Un disegno molto semplice ma molto inefficiente, specie quando si volevano ottenere regimi di rotazione e potenze relativamente elevati. L’ammissione a dischi rotanti consentiva di migliorare l’efficienza e la curva d’erogazione del motore. Ad onore del vero, i primi due tempi con ammissione a valvola rotante risalgono agli anni ’30 ma solo nel dopoguerra questa soluzione divenne comune. Il fatto che sia la Bata-Bata che la Vespa siano state brevettate nel 1946 e che entrambe utilizzassero questo sistema di controllo dell’aspirazione ha ingenerato diatribe su chi sia arrivato per primo. La realtà è che sia Corradino D’Ascanio che Soichiro Honda avevano semplicemente studiato accuratamente le soluzioni disponibili ed arrivarono alla stessa conclusione.
Questo motore venne venduto ai negozi di biciclette per realizzare conversioni ma, soprattutto, venne utilizzato per la realizzazione della bicicletta motorizzata A-Type, soprannominata affettuosamente Bata-Bata per il rumore che produceva, lanciata sul mercato nel novembre 1946.
Il successo fu incredibile, ma Honda non era affatto soddisfatto.
La Honda A-Type del 1946,
soprannominata Bata-Bata.
1948: nasce Honda Motor Company
Soichiro Honda e il suo socio Takeo Fujisawa creano una nuova azienda: Honda Motor Company. Soichiro agì nelle vesti di sviluppatore di prodotti, mentre Takeo Fujisawa apportò la sua esperienza imprenditoriale. L'azienda disponeva di 34 dipendenti, tutti con lo stesso sogno.
Nel 1948 Honda si trasferì ad un nuovo stabilimento ad Hamamatsu, organizzato secondo le idee di Soichiro Honda sulla produzione in massa da parte di manodopera non qualificata.
In questo periodo iniziò anche la produzione interna di stampi per realizzare tramite pressofusione le parti in alluminio, un’impresa estremamente costosa ma che venne ripagata con una minore dipendenza dai fornitori, sprechi ridotti e maggiore controllo sulla qualità del prodotto. Come molte altre aziende giapponesi del tempo, anche Honda Motor Company investì fortemente nella tecnologia della pressofusione come sostituto della colata in sabbia adottata fino ad allora per la realizzazione di parti d’alluminio in grande serie.
Ridotto nei più semplici termini, la colata in sabbia consiste nel realizzare uno stampo con un modello la cui forma viene impressa nella sabbia. Il metallo fuso viene poi colato nello stampo così ottenuto, raffreddato e poi estratto.
La pressofusione consiste invece nel realizzare uno stampo di metallo ad alta resistenza in cui viene iniettato metallo fuso ad alta pressione. I vantaggi pratici della pressofusione sulla colata in sabbia, specie dopo che furono eliminati i problemi di porosità dovuti dai gas, furono immediatamente evidenti: meno passaggi di lavorazione, maggiore qualità del prodotto finito e durata superiore degli stampi.
Purtroppo il costo degli stampi e delle apparecchiature di iniezione e controllo è tuttora estremamente elevato. Ecco perché l’insistenza di Soichiro Honda nel realizzare un proprio impianto di pressofusione in un periodo in cui la compagnia di certo non navigava nell’oro vennero considerati un forte rischio economico.
I primi tentativi non furono di certo dei migliori e spesso i dipendenti erano obbligati a limare o fresare le parti prima di montarle. Per Soichiro Honda questo era assolutamente inaccettabile e le sue sfuriate coi dipendenti sorpresi con la lima in mano sono tuttora leggendarie.
Per migliorare il controllo di qualità Honda assunse Shirai Takao, che applicò la statistica al controllo qualità: un’invenzione americana che l’Occidente dimenticò per decenni e che tuttora è alla base della leggendaria qualità costruttiva nipponica.
Nel corso del 1948 vennero progettati due nuovi prodotti: il B-Type ed il C-Type. Il B-Type era un triciclo trasporto merci che si dimostrò instabile e non superò lo stadio di prototipo. Il C-Type era invece una versione migliorata della Bata-Bata.
Gli impiegati della fabbrica Honda di Hamamatsu con i loro famigliari davanti a delle biciclette motorizzate A-Type, 1948.
La prima motocicletta interamente progettata e sviluppata da Honda viene chiamata D-Type (da "Dream").
1949: D-Type, la prima Honda "completamente Honda"
A questo punto, Soichiro Honda aveva in mente di fare un balzo qualitativo, passando da biciclette motorizzate prodotte utilizzando telai realizzati da fornitori esterni ad un vero e proprio motociclo, realizzato intorno ad un telaio di progettazione e realizzazione Honda.
Questo prodotto, che ricalcava molto da vicino la prebellica (e poco nota) "Miyata" Asahi, fu il Dream D-Type, spinto da un motore due tempi 98 cm³ di cilindrata e 3 CV di potenza, e realizzato più come una vera e propria motocicletta che come una bicicletta motorizzata. Il pubblico rispose in modo entusiasta inondando la fabbrica di ordini.
La Miyata è un celebre produttore di biciclette, nato nel 1892 e tuttora in attività. Nel 1933 costruì una moto leggera, la Asahi appunto, un disegno estremamente avanzato per i tempi. Il motore, due tempi, 175 cm³ di cilindrata, produceva 5 CV una potenza che pochi costruttori europei potevano vantare, e la costruzione era improntata alla massima leggerezza ed economicità. Scopo dichiarato di Miyata era fornire un prodotto a chi volesse una moto “vera” ma non poteva permettersi i costosi mezzi d’importazione. La moto fu soggetta ad una massacrante campagna di test che incluse l’uso sulle strade sterrate della Manciuria (occupata militarmente dal Giappone) a temperature di -20° C. Fu anche la prima moto giapponese ad essere esportata all’estero, con vendite in Messico, Perù, Brasile, India, Argentina etc. Il razionamento imposto dalla II Guerra Sino-Giapponese, scoppiata nel 1937, ne decretò la fine.
1950: la guerra è bella per chi specula
Ma il vero cambiamento avvenne nel 1950. In questo anno due avvenimenti segnarono particolarmente il futuro dell’industria motociclistica giapponese.
Il primo fu una revisione del sistema delle patenti di guida: in base a queste nuove norme le biciclette motorizzate potevano ora essere condotte da chiunque avesse compiuto 14 anni senza conseguire alcuna patente: il limite di cilindrata era di 60 cm³ per i due tempi e 90 cm³ per i quattro tempi. Nel 1956 questa normativa venne ulteriormente modificata: a 14 anni si poteva condurre qualunque bicicletta motorizzata fino a 50 cm³, a 16 questo limite di cilindrata si alzava fino a 125cm³. Inoltre tutti i motocicli fino a 125 cm³ erano ora considerati biciclette motorizzate, indipendentemente da altri fattori. A 16 anni si poteva inoltre ottenere una delle due patenti per motocicli: la prima valida per cilindrate da 126 a 250 cm³ e la seconda valida per cilindrate da 251a 1500 cm³. Questo significava che un adulto poteva condurre qualsiasi motociclo fino a 125 cm³ (fosse esso a due, tre o quattro ruote) senza bisogno di alcun documento di guida.
Il secondo, più drammatico, fu lo scoppio della Guerra di Corea. La GHQ fu costretto ad eliminare rapidamente la quasi totalità delle restrizioni finora implementate perché le Nazioni Unite avevano disperatamente bisogno dell’industria giapponese per combattere la guerra. In tutto l’Estremo Oriente solo il Giappone aveva la base industriale per produrre coperte, combustibili, autocarri e parti di ricambio necessari allo sforzo bellico.
Questo iniziò un “mini boom” economico in Giappone di cui avremo occasione di parlare, “mini boom” che si esaurirà con l’armistizio del 1953.
A questo punto, nel 1950, entra nella storia l’uomo che, insieme al fondatore della compagnia Soichiro Honda ed a Shirai Takao, fu l’artefice della trasformazione di Honda Motor da piccolo produttore di successo a colosso mondiale, Takeo Fujisawa. Fujisawa venne presentato ad Honda da Takeshima Hiroshi della "Nakajima" (ora divenuta Fuji Heavy Industries). Fujisawa veniva dal campo delle acciaierie e delle macchine utensili: non aveva un gran talento per l’innovazione e la ricerca tecnica ma questo era abbondantemente compensato dalla sua grande abilità gestionale ed un fiuto quasi sovrannaturale per gli affari.
È stato spesso scritto che Honda e Fujisawa si completavano a vicenda: da una parte l’inventore autodidatta, dall’altra il genio della finanza. Certo è che Fujisawa vide immediatamente potenzialità nella compagnia e, grazie ad un prestito ottenuto dal padre, aumentò il capitale societario a due milioni di yen ed aprì un ufficio a Tokyo.
Nel frattempo, l'originale bicicletta motorizzata di Honda viene sviluppata ulteriormente, diventando più elegante, pratica e popolare. Dopo pochi mesi, si inizia a produrre il motore progettato da Honda per la prima volta su un nastro trasportatore.
L’azienda doveva affidarsi a contraenti esterni per l'80% dei componenti utilizzati sulla Bata-Bata. Questo riduceva i profitti e il controllo della compagnia sulla qualità dei componenti: troppe volte partite intere di bielle o altre parti avevano dovuto essere rispedite al fornitore perché insoddisfacenti. Inoltre la Honda aveva un turnover tra i dipendenti estremamente elevato: questo portava ad una cronica mancanza di manodopera altamente qualificata.
Qui l’esperienza di Honda nell’organizzare la "Tokai Seiki" durante il periodo bellico tornò estremamente utile, creando una linea di montaggio che potesse sfornare prodotti dalla qualità consistente indipendentemente dall’abilità e dall’esperienza dei lavoratori.
Soichiro Honda e Takeo Fujisawa.
Con l’inizio della Guerra di Corea e del “mini boom” da essa ingenerato, Fujisawa acquistò una fabbrica di macchine da cucire fallita nel quartiere di Kita, Tokyo, dove sarebbero stati realizzati i telai della D-Type e dove si sarebbe proceduto all’assemblaggio finale utilizzando i motori prodotti ad Hamamatsu.
Fino a questo momento il potentissimo MITI (Ministero per il Commercio Internazionale e l’Industria) aveva prestato pochissima attenzione all’industria motociclistica giapponese, impegnato come era nel negoziare con la GHQ condizioni più favorevoli per l’industria chimica e siderurgica nazionale, ma coll’avvento della Guerra di Corea e la progressiva e rapida riduzione del controllo straniero sul paese, si iniziò ad interessare anche di quelle industrie che fino allora erano state “dimenticate”. Honda ricevette dal MITI due assegni per un totale di 500.000 yen come premio per l’eccellenza conseguita nel campo della pressofusione. Con questo denaro la produzione del D-Type poté essere notevolmente incrementata.
1952: E-Type, la prima Honda a quattro tempi
Nel 1951 il D-Type era oramai obsoleto, surclassato dai concorrenti in un mercato in continuo sviluppo. Takeo Fujisawa riuscì a vincere le forti riluttanze di Honda e a convincerlo a realizzare il primo quattro tempi della compagnia: le riluttanze di Honda nascevano principalmente dai forti costi di sviluppo e di industrializzazione ma, come molte altre volte, Fujisawa si dimostrò estremamente convincente e lungimirante.
A proposito, si è spesso detto che Soichiro Honda avesse un “odio patologico” nei confronti dei due tempi e le sue celebri sfuriate coi reparti di progettazione quando negli ’70 scoprì che si stavano realizzando motori due tempi da cross sono tuttora leggendari. Per lui le moto Honda dovevano tassativamente avere un motore quattro tempi, era parte dell’immagine: i due tempi potevano al massimo essere usati per biciclette motorizzate o tosaerba.
Così nacque il rivoluzionario Dream E-Type del 1952: monocilindrico, 146 cm³ di cilindrata, rivoluzionario perché utilizzava valvole in testa in un mercato in cui i quattro tempi (non solo di piccola cilindrata) utilizzavano prevalentemente le valvole laterali. Il prototipo venne utilizzato in un test sul Passo di Hakone dove, nonostante le pessime condizioni meteo, salì con una media di 70 km/h. La particolare attenzione dedicata alla realizzazione della camera di combustione dava un consumo medio di 94 km/l ed aiutava a raggiungere una potenza massima di 5,5 cavalli-vapore, il doppio dei concorrenti. Fu un successo immediato.
Nello stesso anno, 1952, venne introdotta la bicicletta motorizzata Cub F-Type. Mentre tecnicamente non era un mezzo rivoluzionario come la E-Type, con essa la strategia di Honda iniziò a cambiare. Anziché affidarsi all’esistente network di rivenditori, Takeo Fujisawa inviò una lettera a ciascuno dei cinquantamila negozi di biciclette del Giappone invitandoli ad ordinare la nuova Cub. La lettera specificava condizioni estremamente vantaggiose per il rivenditore: il prezzo al pubblico era di 25.000 yen, una somma forte per il prodotto, ma il costo al rivenditore era di 19.000 yen, lasciando un ottimo margine. Inoltre il rivenditore non aveva obblighi d’acquisto: poteva ordinare anche una singola unità e pagarla in dodici rate mensili.
Takeo Fujisawa giunse a questa soluzione esaminando i trend nell’industria e, soprattutto, alcuni importanti cambiamenti in normativa creditizia e di pagamenti che avrebbero in seguito portato alla rovina più di un costruttore giapponese e di cui riparleremo a breve.
La Cub F-Type fu la prima Honda a venire esportata all’estero: Thailandia (che resterà sempre uno dei più importanti mercati), Grecia e Sud Africa.
Il successo fu enorme e la produzione della Cub F-Type raggiunse le 6.500 unità nell’ottobre del 1952.
La Honda Dream E-Type del 1952.
La Honda Cub F-Type, bicicletta motorizzata del 1952.
1953: la seconda crisi di Honda
A questo punto Takeo Fujisawa e Soichiro Honda decisero per un piano d’espansione estremamente ambizioso per il 1953. Le due fabbriche di Tokyo e e Yamashita vennero trasferite rispettivamente in nuove sedi a Saitama ed Hamamatsu mentre l'esistente stabilimento di Hamamatsu venne completamente rinnovato. Honda Soichiro si recò personalmente in Svizzera, Germania e Stati Uniti ad acquistare nuovi macchinari. La produzione di stampi per pressofusione venne aumentata immensamente (con un enorme sforzo economico) come parte di una strategia per ridurre la dipendenza dai contraenti esterni. Due nuove linee di prodotti, le motociclette serie Benly e gli scooter Juno, vennero aggiunte a quelle già esistenti.
La rete di distribuzione venne completamente ristrutturata: come prima cosa la vendita di motori ad altri produttori come Kitagawa Motor Co venne bloccata. Poi i concessionari vennero obbligati a firmare accordi in esclusiva ed a fornire forti depositi di garanzia per poter vendere i prodotti Honda.
Nel Giappone postbellico l’industria motociclistica (che includeva produttori di biciclette motorizzate, tricicli trasporti merci, motociclette leggere etc) raggiunse l’apice nel 1953 con più di 200 costruttori. La maggior parte di questi erano in realtà assemblatori che acquistavano tutti i componenti da terzi. Kitagawa Motor Co era la più celebre tra gli “assemblatori” e un antico partner commerciale di Honda Motor Co. La decisione di Takeo Fujisawa non vendere più motori venne ricevuta come uno schiaffo in faccia e ne decretò la fine.
Queste ultime decisioni vengono solitamente molto criticate perché segnarono quindi la fine di numerosi produttori e concessionari, ma Takeo Fujisawa aveva i suoi buoni motivi: innanzitutto gli investimenti effettuati per i nuovi motori quattro tempi richiedevano volumi di vendita che non potevano essere intaccati fornendo motori a prezzi “di favore” a concorrenti diretti. Inoltre Fujisawa aveva previsto (come già detto) che le nuove normative in materia di pagamento decisamente favorevoli all’acquirente/debitore avrebbero causato forti problemi ai costruttori: ragionò quindi che un concessionario legato dal doppio filo dell’esclusività e di una forte cauzione sarebbe stato meno propenso a “provare la propria fortuna” pagando in ritardo o non pagando del tutto.
Alla fine del 1953, però, questi piani d’espansione grandiosi portarono l’azienda a un passo dalla bancarotta.
Lo scooter Juno fu un disastro di vendite, la serie Benly soffriva di problemi di carburazione e di surriscaldamento che richiesero estese campagne di richiamo e gli aggiornamenti della Dream E-Type (chiamata ora Dream 4E) fecero più male che bene. Ma questo non era nulla confrontato alla fine della Guerra di Corea, che portò alla fine del mini-boom ed al crollo delle vendite.
Mentre i magazzini si riempivano di moto invendute, i dipendenti entrarono in sciopero, poiché temevano che il bonus produttività che era stato loro promesso non sarebbe arrivato a causa dei problemi della compagnia.
Takeo Fujisawa, camminando su una corda come un equilibrista, riuscì a convincere il sindacato ad accettare un misero bonus “una tantum” di 5.000 yen “fino alla stabilizzazione della situazione economica”. Riuscì anche a convincere i fornitori a continuare a inviare le parti senza pagamenti per alcuni mesi.
La Mitsubishi Bank, che aveva sempre creduto in Honda, arrivò in soccorso con un prestito d’emergenza di 200 milioni di yen. Il keiretsu Mistubishi è tuttora il primo azionista di Honda Motor Co e Mitsubishi Bank è tuttora il primo creditore di Honda.
Lo scooter Juno (in alto) fu un disastro di vendite, la serie delle motociclette Benly (immagine successiva) invece soffriva di problemi di carburazione e di surriscaldamento.
"Il il successo rappresenta l’uno per cento del tuo lavoro, che risulta da un novantanove per cento chiamato fallimento."
Soichiro Honda
Nel Giappone post-bellico le competizioni motociclistiche vennero fortemente sovvenzionate dal governo per due motivi.
Il primo era di utilizzarle come “vetrine” per i prodotti nazionali e promuovere la competizione tecnica tra i vari costruttori: i mezzi utilizzati erano spesso poco più che versioni più prestazionali di modelli di serie.
Il secondo era legato alla forte passione giapponese per le scommesse: le scommesse, pienamente legalizzate, erano un’importante fonte di finanziamento per gli enti locali e associazioni a scopo caritatevole come la Croce Rossa. Corse come la Japan Motorcycle Endurance Road Race, che si teneva su un percorso stradale di 19,2 km tra le Prefetture di Gunma e Nagano, o la Scalata del Monte Fuji, in cui i veicoli dovevano per regolamento essere completamente di serie e di proprietà del pilota, divennero eventi fondamentali del calendario giapponese, non solo agonistico.
Certo, le motociclette Honda partecipavano in tutte queste corse con risultati più che soddisfacenti ma, come sempre, la compagnia aveva posto le sue mire molto più in alto. Appena risolta la crisi economica del 1953, venne immediatamente approntata una spedizione per partecipare ad una corsa motociclistica a Sao Paolo, in Brasile nel febbraio 1954.
La moto era costruita intorno ad un motore E-Type moderatamente modificato con un telaio tubolare progettato ad hoc. Il risultato per un esordiente fu comunque più che accettabile: 13° posto su 25 partecipanti.
Come sempre Honda Soichiro analizzò attentamente i risultati della corsa e concluse che se i suoi prodotti commerciali erano oramai all’altezza di quelli stranieri, la tecnologia agonistica giapponese era almeno dieci anni indietro rispetto agli europei.
Questo evento è assolutamente cruciale per lo sviluppo dell’industria giapponese, come vedremo meglio in seguito, ma spesso viene messo in ombra dal fatto che il 20 marzo 1954 Honda inviò una lettera a tutti i dipendenti, concessionari e ai maggiori rivali annunciando che da lì a pochi anni Honda avrebbe non solo partecipato ma vinto almeno una categoria alla più importante corsa motociclistica del mondo: il Tourist Trophy dell’Isola di Man. Più di una persona ritenne che Honda fosse definitivamente impazzito o che stesse semplicemente sparando smargiassate per farsi pubblicità.
L’Isola di Man (o Mona), nel Canale d’Irlanda, è la vera e propria patria delle corse motociclistiche. Il Tourist Trophy che vi si tiene in giugno (il mese in cui statisticamente è più bassa la possibilità di pioggia), per quanto non sia da decenni più nel calendario di competizioni mondiali e sia da anni al centro degli attacchi dei benpensanti, attira tuttora folle oceaniche che si radunano per ammirare gli specialisti inglesi ed irlandesi che vi competono. Da vedere almeno una volta nella vita.
Determinato ad analizzare più a fondo le cause della superiorità agonistica mondiale nelle competizioni velocistiche di case come Gilera, AJS, Velocette e Moto Guzzi, Soichiro Honda nell’estate del 1954 si recò personalmente in Europa per un kengaku dei principali costruttori motociclistici ed automobilistici europei e, soprattutto, dei loro reparti corse.
Kengaku significa letteralmente “studiare all’estero”, è dall’era Meiji una tradizione per ingegneri e industriali giapponesi recarsi all’estero in visita presso i “concorrenti” a studiarne prodotti e soprattutto metodi di produzione e gestione. La pratica è quasi estinta, vuoi per l’eccellenza oramai raggiunta dai produttori e dai ricercatori giapponesi, vuoi per l’efficienza delle shosha (letteralmente “casa commerciale”) nel raccogliere dati sui concorrenti stranieri.
Visitando i reparti corse e le catene di montaggio, Soichiro Honda si accorse subito da dove proveniva la superiorità agonistica degli europei: differentemente dai giapponesi, i mezzi da corsa erano disegnati appositamente per le competizioni ed utilizzavano componentistica dedicata, radicalmente differente da quella utilizzata sui mezzi di serie.
Honda decise quindi di acquistare quanti più campioni poteva: carburatori Dell’Orto, contagiri Smiths, accensioni Lucas, freni Fontana, catene Renold.
C’è una curiosa storiella che Honda era solito raccontare per descrivere la stupidità della burocrazia giapponese che risale a quel periodo: al ritorno in patria da questo viaggio venne fermato al check-in dell’aeroporto perché le sue valigie erano troppo pesanti, colme come erano di carburatori, catene ed altro. Informato che doveva alleggerire le valigie, Honda le aprì, iniziò ad estrarre diverse parti, infilandole nelle tasche della giacca e nella sua borsa da viaggio, fino a raggiungere il peso massimo consentito. Mentre le sue valigie venivano imbarcate, Honda si rivolse al personale di terra e chiese loro se avevano una vaga idea di quello che stavano facendo: infatti il suo peso, inclusa tutta la mercanzia che si portava addosso, e quello delle sue valigie sommato assieme era ancora esattamente uguale a prima. Non sarebbe cambiato nulla ai fini della portata dell’aeroplano. Per un ingegnere autodidatta era assolutamente incomprensibile che si potesse ragionare così.
Esterno di una fabbrica Honda nel 1954.
Interno di una fabbrica Honda nel 1954.
Intermezzo: la miope industria motociclistica europea
Negli anni ’50 e ’60 del 1900, pur vivendo una crisi a causa del boom dell’automobilismo di massa che in Italia iniziò con la messa in commercio della Fiat 600 nel 1955 e si concretizzò con la Fiat 500 nel 1957, le industrie europee, in particolare quelle italiane e inglesi, dominavano il mercato motociclistico.
Alla fine anni ’50 gli industriali italiani commisero un errore che avrebbe condizionato pesantemente il loro futuro: non ebbero la capacità di capire che la motocicletta utilitaria finalizzata alla mobilità individuale, che loro avevano perfettamente interpretato e sulla quale avevano basato le loro fortune commerciali fino all’avvento della automobile utilitaria alla portata di tutti, non aveva più mercato e si sarebbe dovuta trasformare in un veicolo per il tempo libero e per lo sport.
Dobbiamo ricordare che la maggior parte delle industrie italiane di motociclette all’inizio degli anni Sessanta erano ancora in mano ai loro fondatori, in quasi tutti i casi alquanto anziani ma ancora saldamente alla guida delle loro aziende con una visione molto radicata del prodotto motociclistico. E questa fu probabilmente una delle cause della crisi che in alcuni casi portò alla chiusura definitiva. Qualcosa di analogo si verificò anche in Gran Bretagna i cui costruttori erano tradizionalmente ancor più conservatori degli italiani.
Invece i giapponesi fecero proprio di questa nuova identità della motocicletta il loro cavallo di battaglia.
Altro merito dei giapponesi fu quello di industrializzare l’idea: cioè di progettare un sistema produttivo che ne consentisse la realizzazione in serie con intuibili economie di scala riuscendo nel contempo a risolvere tutti i problemi legati a un progetto di tale complessità: accoppiamenti e tolleranze di estrema precisione, scelta di materiali di alta qualità, con un occhio attento ai problemi legati alla manutenzione e all’assistenza tecnica sul territorio.
Cogliamo l’occasione per smentire una diffusa opinione popolare, cioè che il successo delle moto giapponesi fu dovuto alla pedissequa copiatura delle moto europee. Non è certamente così; le nostre moto erano ben fatte, ma troppo conservatrici, in prevalenza monocilindriche, aste e bilancieri, due valvole, scarsamente accessoriate.
I giapponesi vollero offrire di più e di meglio al mercato ed ebbero l’abilità di miscelare la tecnica delle grosse cilindrate inglesi con quella sofisticata delle NSU e Mondial da competizione con uno sguardo attento anche alle pluricilindriche da GP di MV Agusta e Gilera.
Insomma, studiarono quanto di meglio offrivano il mercato e la tecnica dell’epoca e poi presentarono la loro modello vincente.
Un chiaro esempio di questa strategia è rappresentato da ciò che fece la Honda per entrare nel competitivo mondo dei Grand Prix.
Certo, copiare le parti per creare mezzi da competizione più performanti era la strada ovvia ma perché non riversare questa tecnologia anche nei mezzi di produzione per renderli più prestazionali (e quindi appetibili al pubblico) e per ammortizzare almeno in parte il costo elevato delle competizioni agonistiche?
Inoltre Soichiro Honda si fermò a lungo a studiare lo stabilimento della Volkswagen a Wolfsburg, dove veniva realizzato il celebre Kafer (Maggiolino). Fu tanto impressionato dall’elevata efficienza e qualità della catena di montaggio tedesca che decise di implementare alcune delle soluzioni osservate nei suoi stabilimenti.
Una volta tornato in Giappone, il primo passo fu di trovare costruttori che potessero studiare la componentistica da competizione da lui acquistata e realizzarne di simili o di utilizzarli come fonte di ispirazione per produzioni originali. Da questo punto di vista Honda Soichiro può essere considerato l’ispiratore della superlativa industria giapponese delle catene di trasmissione: infatti affidò le catene Renold che aveva portato con sé dall’Inghilterra alla "Daido Kogyo" di Nagoya con la raccomandazione di realizzarne versioni che potessero essere utilizzate quotidianamente e non solo nelle competizioni. Daido Kogyo è la produttrice delle celebri catene DID.
1955: In vetta alla classifica
Honda diventò il più grande marchio di motociclette del Giappone. Attualmente si tratta del marchio di motociclette più grande del mondo, con impianti produttivi in tutto il pianeta.
I risultati non si fecero attendere. Nel 1955 venne introdotto il nuovo modello di punta, il Dream SA, dotato di distribuzione ad alberi a camme in testa, completamente superiore al precente E-Type ed ai concorrenti. Fu un grande successo di cui Honda aveva disperatemente bisogno dopo la grande crisi del 1953 e le incertezze del 1954.
Il Dream SA venne portato all’Ascesa del Monte Fuji, piazzandosi primo, secondo e quinto: ancora una volta ricordo che questa gara era riservata a modelli completamente di serie. Honda dominò tutta la stagione finché a Novembre non apparvero le prime Yamaha alla Asama Highlands Race, dove la nuova YA-1 “Akatombo” fece il vuoto nella 125, umiliando Honda, Suzuki e Marusho, i più importanti produttori giapponesi di motociclette del periodo. La grande guerra era iniziata.
”Akatombo” significa letteralmente “Libellula Rossa”. La prima moto di Yamaha Motor Co (che abbiamo già incontrato in questa storia come Nippon Gakki) fu un’autentica rivelazione: basata su un motore di progettazione DKW (divenuto di libero dominio dopo la II Guerra Mondiale), aveva prestazioni superiori a qualunque concorrente commerciale e finiture fino ad allora viste solo sulle motociclette d’importazione.
In tutte queste corse nazionali venivano utilizzati mezzi di serie, completamente standard o modificati quanto consentito dal regolamento. Honda però era ben conscio che se voleva mantenere la sua promessa di gareggiare e vincere al TT doveva realizzare mezzi dedicati alle competizioni, proprio come le case europee.
L'Honda Dream SA venne portato all’Ascesa del Monte Fuji nel 1955, piazzandosi primo, secondo e quinto: ricordiamo che questa gara era riservata a modelli completamente di serie.
1956: Pensiero globale, azione locale
Si vengono a formare gli ideali che guidano tuttora Honda. Il principio aziendale è sempre lo stesso: "Mantenendo un punto di vista globale, ci impegniamo a fornire prodotti della massima qualità, ma a un prezzo ragionevole per la soddisfazione dei clienti in tutto il mondo".
1957: l'incontro con il conte Giuseppe Boselli
Soichiro Honda, seguendo le corse, era rimasto affascinato dalla imbattibile Mondial 125 bialbero, regina incontrastata delle piccole cilindrate che aveva conquistato tra il 1949 ed il 1957 ben 5 titoli mondiali marche e 5 conduttori. Nel 1957 Honda contattò il conte Giuseppe Boselli, patron della Mondial, per acquistare una delle sue moto ufficiali da competizione. Ci sono numerose storie sul perché il conte Boselli decise di vendere una delle moto ufficiali del 1956, una 125 Bialbero, a quello che sarebbe chiaramente divenuto un concorrente nell’immediato futuro ma pare che, molto semplicemente, avesse preso Soichiro Honda in simpatia.
A differenza di altri costruttori, che volevano illudere il pubblico che le moto ufficiali e clienti fossero più o meno sullo stesso piano, Mondial non provava neppure a mascherare le differenze tra i mezzi destinati al proprio team ufficiale e quelli destinati ai privati, anzi, queste differenze erano ben pubblicizzate. Questa schiettezza e l’eccellenza dimostrata nelle competizioni vinsero al marchio bolognese la stima di Soichiro Honda.
La moto arrivò in Giappone nell’autunno del 1958 e venne immediatamente esaminata a fondo.
Anziché limitarsi a copiarla, gli ingegneri Honda decisero semplicemente di studiarne le soluzioni ingegneristiche e di partire poi da zero. Il primo risultato fu la RC141, in pratica poco più di un laboratorio viaggiante, seguita a breve dalla RC142, un progetto completamente nuovo.
1958: nasce il Super Cub
Tutta la storia del Super Cub, veicolo a motore più venduto della storia (100 milioni di esemplari dal 1958 al 2017, sì, più dell'iconico Volkswagen Maggiolino, 21,5 milioni, della Ford Modello T, 15 milioni, delle Vespa o della Toyota Corolla), la si trova su https://it.wikipedia.org/wiki/Honda_Super_Cub .
Honda Super Cub del 1958: 49 cm³, 4 tempi con valvole in testa, 4,5 CV, lubrificazione a spruzzo, capace di utilizzare benzina a basso numero di ottano, frizione centrifuga automatica che rendeva possibile l'avviamento a spinta, cambio a 3 marce a pedale sul lato sinistro nonostante la presenza dell'avviamento a pedale, scudo deflettore sotto il cilindro a protezione dello stesso dai sassolini e per meglio indirizzare l'aria di raffreddamento con i pannelli montati, magnete di accensione da 6 volt montato su un volano con una batteria, feritoie sui pannelli per l'accesso alla levetta dell'aria e alla vaschetta del carburatore, serbatoio della benzina sotto la sella (ribaltabile in avanti come la Vespa), vano portaoggetti in polietilene (stesso materiale di parafango anteriore e ripari per le gambe) con serratura sul lato sinistro del telaio, telaio a "tubone", forcella anteriore a biscottini (come il Piaggio Ciao che però arriverà nel 1967), freni a tamburo, catena di trasmissione completamente carenata con tappo grigio sul lato sinistro per la lubrificazione, ruote da 17 pollici (misura inedita sul mercato giapponese ma studiata per l'altezza media dell'utente nipponico), velocità 69 km/h.
1959: i primi punti mondiali al TT
Fu con la RC 142 moto che Honda poté finalmente partecipare al Tourist Trophy dell’Isola di Man nella categoria 125, nell'undicesimo campionato del mondo.
Il team era guidato dall’ingegner Kiyoshi Kawashima e consisteva in cinque piloti (quattro giapponesi e un americano) più meccanici, parti e ricambi per allestire un’officina autosufficiente. Una dimostrazione di grande professionalità che colpì molto gli europei.
Nel 1959 il TT si tenne sulla Clypse anziché sullo storico Mountain Circuit. Il TT si è corso su diversi circuiti stradali dell’Isola di Man, sempre con rotazione oraria: Gordon Bennett Trial Course (83,68 km) nel 1904-1905; Manx TT (64,37 km) nel 1906-1907; St John’s Course (10,5 km) nel 1907-1910; 4 inch Course (60,35 km) nel 1911-1914; Snaefell Mountain Course (più semplicemente The Mountain) (60,73 km) dal 1920 al 1953 e di nuovo dal 1960 al presente; Clypse Course (17,36 km) nel 1954-1959. Nel corso della storia, il TT è stato sospeso solo quattro volte: le prime due in occasione dei due conflitti mondiali, la terza in occasione dell’epidemia di afta epizootica di origine asiatica nel 2001 (questo provvedimento venne poi giudicato “eccessivo” e dettato più dal panico e da pulsioni politiche che da reali necessità sanitarie) e le ultime due volte nel 2020 e 2021 a causa della pandemia mondiale dovuta al coronavirus COVID-19.
Comunque sia, il team scoprì presto quanto è duro correre sull’Isola di Mona. Le candele perdevano gli elettrodi, i pistoni si bucavano e le catene dovevano essere continuamente sostituite perché si allungavano troppo. Inoltre le teste a quattro valvole erano in ritardo ed arrivarono per posta aerea nel corso delle prove (esistono due versioni sull’arrivo delle teste per posta aerea dal Giappone nel corso delle prove. La prima è quella riportata, ovvero sia un ritardo nella realizzazione delle parti. La seconda invece dice che Soichiro Honda diede ordine di realizzare le teste a tempo di record e spedirle “ad ogni costo” dopo che Kiyoshi Kawashima aveva comunicato che le moto necessitavano di maggiore potenza. La prima versione è decisamente più attendibile.).
I risultati furono più che incoraggianti per un debuttante assoluto: 6°, 7°, 8° e 10° posto più il Constructor’s Prize, il premio per il miglior risultato di squadra, per la classe 125
La vittoria non era poi così lontana e i critici delle smargiassate di Honda dovettero iniziare a ricredersi.
Mondial 125 Bialbero.
Vi sembra che la Honda RC 142 del 1958 sia la copia della Mondial 125 Bialbero? Honda aveva migliorato il progetto della motocicletta italiana, non era una motocicletta integralmente copiata.
Nel museo Honda di Motegi è conservata ancora oggi questa splendida Mondial 125 Bialbero.
La quasi sconosciuta casa giapponese Honda conquista al debutto anche i suoi primi punti iridati nella corsa delle 125 con il sesto posto di Naomi Taniguchi.
Iniziarono così le accuse all’industria giapponese di non fare altro che copiare i più avanzati prodotti europei: in particolar modo iniziò a circolare la voce che la RC142 non fosse altro che una copia a cilindrata ridotta della NSU Rennmax 250.
Queste accuse sono completamente infondate, anzi: da un punto di vista squisitamente tecnico la RC142 utilizzava soluzioni anche più avanzate rispetto alla Renmax.
Per quanto riguarda la produzione di serie invece si riteneva che la Honda avesse copiato le caratteristiche del motore della Horex Imperator 400 del 1954. In realtà, in entrambi i casi, i prodotti della Honda erano assolutamente originali.
NSU Rennmax 250: la Honda copiava questo prototipo da competizione?
Horex Imperator 400: la Honda copiava questo prodotto da strada?
1960: il motomondiale si tinge di giallo
Nel frattempo in Giappone ferveva l’attività agonistica: si iniziò subito a preparare il TT del 1960, si preparò una versione da corsa della nuova Benly CB92 e fu ultimata la nuova RC160, 250 cm³ di cilindrata, quattro cilindri, quattro tempi.
Questa moto fu invece soggetta ad un trattamento inverso rispetto alla RC142. Infatti l’anno dopo la Benelli corse il mondiale con una 250 quattro cilindri che qualche malizioso affermò essere una copia o versione su licenza della Honda. Anche questa accusa, come la precedente, nasce da gente che non sa di cosa sta parlando.
Tanto per iniziare la RC160 non corse mai fuori dal Giappone ed era praticamente ignota in Europa. Inoltre Benelli aveva già prodotto un prototipo 250 quattro cilindri agli inizi del 1940, un disegno estremamente avanzato, dotato di compressore volumetrico e raffreddamento a liquido. La guerra fermò il progetto e, quando le corse ripresero, la sovralimentazione venne proibita impedendone l’uso. Il progetto del motore però non fu completamente cestinato e venne usato come base per un’unità aspirata.
La Honda RC160 ebbe un grande successo nelle competizioni in Giappone e questa esperienza, unitamente a quella guadagnata a Man, spinsero la compagnia a correre l’intero mondiale nelle categorie 250 e 125 cm³ nel 1960.
I risultati furono ancora più promettenti: per quanto Carlo Ubbiali vinse entrambi i campionati su MV Agusta, Honda nel campionato costruttori si piazzò al terzo posto nella 125 (dietro a MV Agusta ed MZ) ed al secondo posto nella 250, ancora dietro ad MV Agusta. Inoltre la vittoria al TT era sempre più vicina: nella 250 la RC161 occupò tutte le posizioni dal 4° al 6° posto.
Nel 1960 Takeo Fujisawa inviò negli Stati Uniti un dipendente Honda, Kihachiro Kawasahima, con l’esplicito compito di fondare una filiale americana. Chiamata American Honda Motor Company, diverrà a breve una delle colonne portanti della compagnia. Il C200 del 1964 divenne tanto celebre e diffuso da essere immortalato dai Beach Boys nella canzone “Little Honda”.
Nello stesso anno venne costruito a Suzuka un nuovo stabilimento ad elevata automazione, ispirato da quello della Volkswagen a Wolfsburg, il cui scopo principale era la produzione di grandi volumi per il mercato dell’esportazione.
La Honda 250 RC160 da competizione del 1960.
La Honda C200 del 1960 per il mercato statunitense.
Intermezzo: qualcuno si accorse che i giapponesi facevano sul serio
Nel 1960 Edward Turner, membro del consiglio d’amministrazione dell'inglese BSA, si recò in Giappone per studiarne l’industria motociclistica.
La BSA (Birmingham Small Arms), originariamente una fabbrica d’armi, iniziò a produrre motociclette nel 1903. Nota per l’eccellenza dei suoi prodotti, si estinse però come il resto dell’industria motociclistica britannica negli anni ’70.
Ciò che Edward Turner vide lo lasciò “sconvolto”. Fu in particolar modo colpito dagli immensi sforzi dei giapponesi di migliorare il controllo qualità e dalle dimensioni e dall’efficienza del nuovo stabilimento Honda di Suzuka. Nessun costruttore motociclistico, in Germania, Gran Bretagna, Italia o USA operava in un impianto tanto grande, efficiente e moderno, degno dei più rinomati produttori automobilistici.
A suo parere Honda stava prendendo enormi rischi dal momento che il mercato motociclistico USA era già “saturo”.
Turner però aveva fatto male i conti. Nel 1953 la Indian Motorcycle Mfg Co era fallita, lasciando Harley-Davidson (H-D) come unico grande produttore nazionale. H-D si concentrava esclusivamente su mezzi di grossa cilindrata, da 750 cm³ in su, e poco prestazionali, lasciando il campo libero ai produttori d’Oltreoceano nel resto del mercato. In breve i produttori britannici, aiutati anche dalla forte svalutazione della sterlina rispetto al dollaro nel periodo post-bellico (la Gran Bretagna dopo la Seconda Guerra Mondiale era, di fatto, in bancarotta: con la svalutazione della sterlina si cercava in parte di ripagare i debiti nei confronti degli USA e di aiutare l’esportazione) riversarono i loro prodotti in massa sul mercato USA.
La Japan Machinery Federation (JMF) aveva però commissionato uno studio (che il solito Takeo Fujisawa studiò accuratamente) che sottolineava come gli inglesi non avessero affatto “saturato” il mercato come Turner credeva. I loro modelli d’esportazione coprivano quasi esclusivamente la fascia tra i 500 ed 750 cm³, strizzando fortemente l’occhio ai clienti che privilegiavano elevate prestazioni a scapito dell’economicità di gestione e della facilità d’uso. In sintesi c’era un enorme massa di potenziali acquirenti che attendeva solo di essere soddisfatta.
È stato già accennato alla fondazione di American Honda ma forse è il caso di spendere qualche parola in più, giusto per illustrare l’ambiente in cui i produttori giapponesi si trovavano ad operare.
Già nel 1959, Takeo Fujisawa aveva dato mandato ai suoi legali di presentare formale richiesta al Ministero delle Finanze per aprire una filiale americana. In questo periodo il Ministero delle Finanze controllava tutti i piani d’investimento all’estero per le società giapponesi.
Per aggirare questa restrizione Yamaha inizialmente “vendeva” le sue motociclette ad un esportatore che poi le “girava” ad un concessionario californiano, Cooper Motors, che agiva da importatore “non ufficiale”. Una tattica ingegnosa ma utile solo per piccoli volumi.
Purtroppo nel 1957 la Toyota aveva cercato di esportare negli USA la sua automobile Toyopet Crown: un insuccesso clamoroso che costò alla Toyota milioni di yen ed una colossale perdita di faccia per l’industria giapponese.
La Toyota Toyopet Crown fu la prima auto giapponese ad essere esportata negli USA. Con 2137 unità vendute tra il 1957 e il 1960 definirla un “disastro di vendite” è riduttivo. Il motivo principale di questo disastro è che l’auto riusciva ad avere consumi estremamente elevati (circa 10 km/l) pur essendo un 1400 di cilindrata, per giunta molto sottopotenziato in rapporto alla massa dell’auto. L’accelerazione nell’immissione in autostrada veniva ritenuta addirittura “pericolosa”. In seguito vennero introdotti nuovi motori, più potenti ed efficienti, ma il disastro era fatto. Toyota apprese molto da questa esperienza e la successiva auto importata negli USA, la Corona, ebbe un ottimo successo di vendite. Toyota è oggi il maggior venditore d’auto negli USA.
Il Ministero delle Finanze decise quindi di negare ad Honda il permesso. Fortunatamente il MITI, che aveva (ed ha tuttora) un occhio di riguardo per Honda, chiese di riesaminare il caso.
L’autorizzazione venne concessa, ad una condizione: il totale dell’investimento non doveva superare i 250.000 dollari USA e Honda non poteva portare più di 110.000 dollari USA in contanti al di fuori del Giappone. Questa somma era meno del 10% di quanto Toyota aveva inizialmente investito nell’esportazione della Toyopet negli USA.
Per quanto il piano fosse originariamente di iniziare le operazioni con la vendita delle Benly 250 e 350 cm³, problemi tecnici costrinsero a fermarne la commercializzazione. Takeo Fujisawa fu quindi invece costretto a spedire il Super Cub, 50 cm³ di cilindrata, inizialmente giudicato troppo piccolo per il mercato d’oltreoceano. Il successo di vendite, grazie anche ad accordi con venditori di attrezzature sportive e da campeggio, fu assolutamente incoraggiante.
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