Progressive Rock



Prof. Giovanni Ballerini /  8 gennaio 2024

Questo è il filone musicale che preferisco, la colonna sonora della mia gioventù. Se qualche studente appassionato al Prog, genere particolarmente legato alla musica classica, volesse partecipare al lavoro di miglioria di questa pagina potremo arricchirla insieme (G. B.).

Possiamo collocare il fenomeno del  “progressive” dal 1967 a 1976, in un arco temporale di dieci anni che spazia dalla pubblicazione di Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles all’avvento del punk. 

«Se il rock & roll degli anni ’50 fu musica per il corpo e il rock dei ’60 fu musica per liberare il corpo attraverso la mente, il cosiddetto rock “progressivo” fu musica prima di tutto per la crescita della mente».   [1] 

«Un brano musicale esce dal seminato più facilmente alla svolta in cui supera il dogma dei quattro quarti e del tempo canonico. Diventa straordinario, cioè fuori dell’ordinario, quando ha qualcosa in meno o qualcosa in più del “normale”». [2]   «Il rock progressivo fu quindi musica seria, talmente seria che i detrattori ne parlano come di uno dei pericoli più depressi del rock, lontanissimo nel tempo e indissolubilmente legato a quegli anni». [3] 

Era il 1967, con la musica psichedelica in auge, quando nel tentativo di legittimare il rock come forma di arte e andare oltre i soliti pezzi in 4/4, alcuni gruppi attinsero dal patrimonio classico idee per le loro composizioni. «Nel giro di pochi mesi, tra maggio e novembre, Procol Harum, Moody Blues, Nice provarono a coniugare i ritmi rock con le armonie della musica classica con risultati che ora paiono ingenui e maldestri ma che allora fecero scalpore. Fu un primo tentativo di educare il rock, di insegnargli un po’ di storia della musica, soprattutto di liberarsi dei rigidi schemi del 45 giri, dei suoi limiti fisici, dei ritmi un po’ tribali di Chuck Berry, del disimpegno ad oltranza del beat».  [4] 

«Gli elementi fondamentali del progressive sono essenzialmente tre: la suite (ovvero brano esteso in più movimenti legati tra loro), l’uso della tastiera a scapito della chitarra (che, non dimentichiamolo, è stato lo strumento principe del rock & roll), i testi impegnati, colti, meglio se di ispirazione letteraria, non importa quanto comprensibili». [5] 

«Il progressivo fu quindi prerogativa del Vecchio Mondo e si è discusso a lungo sulle ragioni, che paiono essere squisitamente culturali, questione di semplice educazione e tradizione della vecchia Europa rispetto alla nuova America. Non più rock come musica da strada né come momento di ribellione sociale o politica, ma un genere più colto, nato istruito già in partenza e non educato nel tempo».  [6]    

«Il prog è dunque una scala per il paradiso, qualunque sia la dimensione che l’Eden rappresenta per ogni singolo partecipante all’impresa. Si può immaginare di percorrerla con “In Held ‘Twas in I” dei Procol Harum, passando per “21 Century Schizoid Man” (King Crimson), “Siberian Khatru” (Yes), “Supper’s Ready” Genesis, “A Plague of Lighthouse Keepers” Van Der Graaf Generator. Sono brani che in apparenza non hanno molto in comune se non che rappresentano un tentativo di andare “Oltre”». [7] 

Agli inizi degli anni Settanta accanto ai gruppi prog che fanno propri elementi della musica classica ne troviamo altri che contaminano il rock avvicinandosi ai canoni jazzistici come Soft Machine, Nucleus, Matching Mole. Troviamo anche chi ricerca l’nnovazione facendo scelte diverse come esaltando l’uso del sintetizzatore nella Kosmische Musik di stampo tedesco. «La musica, a esempio, degli Amon Düül, dei Tangerine Dream e dei Popul Vuh, anche se certamente non troppo commerciale, per mezzo di combinazioni timbriche originali, riesce a varcare i confini nazionali e a ottenere un suo spazio e un suo mercato anche all’estero, persino in Gran Bretagna».  [8] 

Il prog può sembrare un gran pentolone con dentro di tutto ma ha prodotto musica di ottima qualità tecnica senza legarsi agli sconvolgimenti sociali che hanno caratterizzato altri fenomeni rock. «Non musica da ballo o sballo, neppure politica o ribellione giovanile: il progressive non ha generato mostri né rivoluzioni, e quindi sotto certi aspetti non è passato alla storia, che ha sempre celebrato più volentieri le due stagioni immediatamente prima e dopo: quella politico psichedelica di fine ’60 e quella sociale punk di fine ‘70».   [9]

«Nella primavera del 1973 uscirono per opera di musicisti progressive due tra gli album più venduti della storia del pop. In marzo arrivò nei negozi Dark Side of the Moon dei Pink Floyd; in maggio Tubolar Bells. Il primo vendette all’incirca quindici milioni di copie, il secondo più o meno diciassette milioni».    [10]        

«Il declino investe soprattutto le grandi band sciolte (King Crimson o Moody Blues), in secca creativa (Gentle Giant e Van Der Graaf), prigioniere del loro stesso suono (ELP, Yes), passate rapidamente ad altro (Jethro Tull). Tutti patirono la crisi, tranne i Genesis, abili a cambiare marcia e stile, e i Pink Floyd, che approfittarono della spinta del progressive per entrare nell’Olimpo rock».   [11]      

Per la musica progressive resta difficile consigliare brani singoli, il contesto è più ampio, così segnaleremo album (all’epoca dischi in vinile Long Playing, di durata dai 35 ai 50 minuti circa). Per gli artisti più longevi ci atterremo ai titoli con caratteristiche progressive.

Ascolti raccomandati

Sono stati scelti un album per gruppo, due per i gruppi cult, tre per il top di genere.

Audience: The House on the Hill (1971)

Kevin Ayers: Joy of a Toy (1969), Shooting at the Moon (1970)

Black Widow: Sacrifice (1970)

Camel: Mirage (1974)

Caravan: In the Land of Grey and Pink (!971)

Colosseum: Vakentyne Suite (1969)

Curved Air: Second Album (1971)

Deep Purple: The Book of Taliesyn (1969)

East of Eden: Snafu (1970)

Ekseption: Beggar Julia's Time Trip (1970)

Emerson, Lake & Palmer: Emerson, Lake & Palmer (1970), Pictures at an Exhibition (1971)

Family: Family Entertainment (1969)

Focus: 3 (1972)

Genesis: Foxtrot (1972), Selling England by the Pound (1973)

Gentle Giant: Acquiring the Taste (1971)

Gong: Camembert Electrique (1971), Radio Gnome Invisible part 2-Angel’s Egg (1973)

Greenslade: Greenslade (1973)

Hawkwind: In Search of Space (1971)

Henry Cow: Legend (1973)

Jethro Tull: Aqualung (1971), Living in the Past (1972)

Khan: Space Shanty (1972)

King Crimson: In the Court of the Crimson King (1969), Lizard (1970), Lark’s Tongues in Aspic (1973)

Matching Mole: Matching Mole (1972)  

Moody Blues: In Search of the Lost Chord (1968)

Nice: The Nice (1969)

Nucleus: We’ll Talk About It Later (1970)

Mike Oldfield: Tubolar Bells (1973)

Pavlov’s Dog: Pampered Menial (1975)

Pink Floyd: Atom Heart Mother (1970), The Dark Side of the Moon (1973)

Procol Harum: Shine on Brightly (1968)

Quatermass: Quatermass (1970)

Renaissance: Ashes Are Burning (1973)

Soft Machine: Third (1970)

Strawbs: Just a Collection of Antiques and Curios (1970)

Third Ear Band: Third Ear Band (1970)

Traffic: John Barleycorn Must Die (1970)

Van Der Graaf Generator: H to He - Who Am the Only One (1970), Pawn Hearts (1971)

Rick Wakeman: The Six Wives of Henry VIII (1973)

Yes: Fragile (1972), Close to The Edge (1972) 

La situazione in Italia

Il progressive è stato un fenomeno europeo perciò ha avuto un seguito anche in Italia. Tra gli artisti nostrani hanno avuto un periodo, più o meno lungo, "prog" i seguenti: Banco del Mutuo Soccorso, Franco Battiato, Delirium, Garybaldi, Giganti, New Trolls, Orme, Osanna, Perigeo, Pooh, Premiata Forneria Marconi, Sensation's Fix, Alan Sorrenti, Trip, Il volo.

Note:

[1] C. Rizzi, Progressive & Underground, Firenze, Giunti Editore, 2003, p. 5

[2] M. Zatterin, dalla prefazione a  David Weigel, Progressive Rock, Torino, EDT, 2018, p. X

[3]  C. Rizzi, Progressive & Underground, cit., p. 5

[4] Ibidem, p. 6-7

[5] Ibidem, p. 7

[6] Ibidem, p. 6

[7] M. Zatterin, dalla prefazione a  David Weigel, Progressive Rock, cit., p. XI

[8] A. Pasquali, Pop Music, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, diretto da Alberto Basso, Volume terzo – Il lessico Liz – Pra, Torino, UTET, 1984, p. 695

[9]  C. Rizzi, Progressive & Underground, cit., p. 9

[10]  D. Weigel, Progressive Rock – Ascesa e caduta di un genere musicale, Torino, EDT, 2018, p. 121

[11] C. Rizzi, Progressive & Underground, cit., p. 10