La nascita del "Rock"
Pagina a cura del prof. Giovanni Ballerini
Ascolti consigliati per questo periodo:
Muddy Waters - Mannish Boy, Rolling Stones, I'M a Man
Howlin’ Wolf - I Put a Spell On You, Smokestack Lightin', Spoonful
Frank Sinatra - Strangers in the Night, My Way, I,m a Fool to Want You
Paul Anka - Diana, Lonely Boy
Fats Domino - The Fat Man, Ain’t That a Shame, Blue Monday
Billy Haley - Shake, Rattle and Roll, Rock Around the Clock
Carl Perkins - Blue Suede Shoes
Elvis Presley - Hound Dog, Love Me Tender, Blue Suede Shoes
Chuck Berry - Maybellene, School Days, Johnny Be Good, Sweet Little Sixteen
Cliff Richard - Move It, Travellin' Light, Please Don't Tease
Little Richard - Tutti Frutti, Lucille, Rip It Up, Long Tall Sally
The Coasters - Charlie Brown, Along Came Jones, Sh Boom Life Could Be a Dream
The Drifters - Money Honey, Honey Love, Adorable, Dance With Me, On Broadway
The Everly Brothers - Bye Bye Love, Wake Up Little Susie, All I Have to Do Is Dream, Crying il the Rain
The Platters - Only You, Then Great Pretender, Smoke Gets in Your Eyes
The Supremes - Baby Love, Come See About Me, You Can't Hurry Love, I Hear a Symphony, The Happening
Agli inizi del dopoguerra la musica di tutti i generi musicali era ancora disponibile su dischi a 78 giri/minuto, custoditi in libri simili a un album fotografico (il termine album è stato poi ereditato dai più recenti long playing a 33 giri). Durante la seconda guerra mondiale la penuria di materie prime aveva spinto l’industria discografica a cercare nuovi composti in sostituzione della gommalacca, arrivando così al disco in vinile. Un’altra importante innovazione fu il registratore audio a nastro. Commercializzato dalla AEG-Telefunken già nel 1937, il registratore a nastro magnetico era stato utilizzato durante la guerra dalla propaganda nazista per modificare i discorsi alla radio, intervenendo sulle registrazioni originali. Tale novità tecnologica ebbe grosse ricadute nella produzione discografica: diventò possibile assemblare tracce ottenute durante sedute di registrazione diverse, raggiungendo così una perfezione esecutiva impossibile nelle performance dal vivo.
Finita la guerra, le major americane del disco, Columbia e RCA, si contendevano il mercato discografico: la Columbia prevaleva nel genere della musica colta, la RCA nella popular music. Nel 1948 la Columbia lanciò sul mercato i primi dischi microsolco a 33 giri, mentre la rivale RCA adottò nel 1949 un altro sistema con dischi di dimensioni minori, dal foro più grande e velocità a 45 giri/minuto. Dopo un periodo di disputa (“guerra delle velocità”), le case discografiche raggiunsero un accordo e decisero di procedere all’avvicendamento della produzione dei dischi a 78 giri con quelli nuovi a 45 e 33 giri, per i minori costi e le migliori caratteristiche dell’incisione a microsolco. Ma questo passaggio non fu privo di difficoltà: per sentire i nuovi dischi era necessario un giradischi più moderno con un selettore di velocità (33, 45 e 78 giri/minuto) e pochi erano entusiasti di affrontare un’ulteriore spesa per adeguarsi. Nel 1954 si studiò una soluzione al problema: le case discografiche concordarono che in futuro avrebbero passato ai disc jockey solo i dischi nei nuovi formati, mentre sul mercato fu immesso un modello più economico di giradischi. Il costo maggiore e il contenuto più impegnativo (tutte canzoni dello stesso interprete) indirizzarono il 33 giri verso un pubblico adulto, mentre i giovani preferivano di solito acquistare i 45 giri, con le novità del momento, ascoltate alla radio o consigliate dagli amici.
L’evoluzione musicale negli Anni Sessanta fece sì che in generale la durata dei brani si allungasse fino a poter entrare solo nel long playing a 33 giri, che perse la sua esclusività per il pubblico adulto. Il 45 giri rimase così per le “canzonette”, fino a estinguersi gradualmente. In quegli anni aumentò anche la disponibilità dei brani disponibili nei juke-box, che nel 1955 arrivò a 200 per apparecchio. «Oltre alla varietà di musica, che ha già permesso al juke-box di diventare uno dei media più importanti per la popular music, è notevole la qualità del suono con un’abbondanza di basse frequenze rese possibili dalle dimensioni degli altoparlanti e dall’amplificazione»[1]. Le frequenze basse avevano inoltre acquistato maggiore rilevanza con l’adozione da parte dei gruppi del basso elettrico al posto del contrabbasso.
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Un ruolo notevole nella diffusione della musica rock fu ricoperto dalla radio. Nacquero le prime Hit Parade e assunse importanza anche il ruolo del disc jockey che selezionava le canzoni da trasmettere (non mancarono episodi di corruzione di disc jockey che passavano più frequentemente le canzoni sponsorizzate con regali e bustarelle). Nel 1949 il giornalista Jerry Wexler della rivista «Billboard», in linea con nuovi valori di tolleranza e antirazzismo, cambiò intestazione alle classifiche di vendita dei dischi, sostituendo race records con rhythm & blues. Il genere, eseguito da afroamericani in prevalenza per loro stessi, comprendeva un blues dal ritmo più duro e la musica d’orchestra; la classifica riconosceva al nuovo settore un apprezzamento, anche in termini commerciali. Prima dell’avvento del rock, la musica di massa era suddivisa negli Stati Uniti in tre campi generici: pop, rhythm & blues e country western. «Ogni campo aveva i suoi artisti e le sue case discografiche, una catena di stazioni radio da cui si poteva ascoltare quel genere di musica, e un pubblico a cui dedicare il suo messaggio più intenso. Ognuno di questi settori aveva un distinto stile musicale e una tradizione artistica che era generalmente data per scontata sia dagli artisti che dagli ascoltatori»[2]. Le major discografiche contavano su un repertorio artistico che, oltre al pop, comprendeva anche la musica classica e il jazz. Attraverso solidi contatti, con radio e televisione, le “maggiori” potevano contare su agevolazioni promozionali che potevano attirare l’attenzione nazionale su una nuova canzone nel giro di pochi giorni»[3]. «Certo, il fatto di nominare diversamente un genere contribuisce, alla lunga, a farne un’altra musica: ma che il rock’n’ roll sia all’inizio semplicemente un altro modo di chiamare il rhythm & blues è ormai indubitabile»[4].
Fu Alan Freed (1922-65), un disc jockey bianco che lavorava per una radio che promuoveva il rhythm and blues, a diffondere nel 1951 il termine rock and roll, alla lettera “dondola e rotola” (con allusione all’atto sessuale). La sua trasmissione si chiamava The Moondog House Rock’n’ Roll Party e perseguiva «l’intento di mitigare il carattere prettamente nero di quel genere musicale popolare per farne un nuovo oggetto di consumo per un più vasto pubblico bianco, soprattutto attraverso esecuzioni di quel patrimonio musicale a cura di musicisti non di colore»[5]. L’obiettivo non era facile da raggiungere e solo Elvis Presley ci riuscì qualche anno dopo, avvicinando al rhythm and blues il suo retroterra country western, ottenendo il rock and roll, «una musica che riesce a fondere la tendenza puramente ritmica del primo con la naturale vena melodica del secondo[6]». Dopo il 1954 il mondo della musica subì uno sconvolgimento: ai pochi artisti già affermati si sostituì un enorme numero di solisti e gruppi del rock emergente che raggiungevano il successo a livello nazionale, per poi tornare nell’anonimato. Le classifiche delle vendite cominciarono a cambiare a una velocità mai vista prima.
Il genere del pop, che fino ad allora affiancava gli esponenti del kitsch (i crooners, cantanti che proponevano brani melodici indirizzati in prevalenza al pubblico adulto e bianco) agli artisti folk, inglobò la nuova musica con caratteristiche di rhythm & blues, prodotta sia da artisti bianchi che di colore. La musica rock esprimeva il disagio di quella generazione a cui alludeva il titolo del film del 1955, Rebel without a Cause (in Italia Gioventù bruciata), malessere non compreso dagli adulti. Agli inizi, parlando apertamente di sesso, alcool e problemi razziali, il rock dovette infatti far fronte anche alla resistenza e alle critiche dei conservatori, che giudicavano questo genere “pericoloso”, con possibili danni assimilabili all’uso delle droghe.
Un fenomeno caratteristico del periodo fu quello delle cover, tentativi, spesso riusciti, di prolungare il successo di un brano riproponendolo con un nuovo interprete. Questa pratica fu incoraggiata dagli editori che traevano un vantaggio dalla maggiore diffusione di un brano, mentre fu invece contrastata dai discografici che volevano salvaguardare gli originali. In molte occasioni le cover erano versioni “riviste” di brani composti ed eseguiti da afroamericani: se il testo era ritenuto inadeguato o volgare, i musicisti bianchi erano soliti modificare e riadattare la canzone, così da renderla fruibile al grande pubblico.
La crescente diffusione degli apparecchi TV, che nel 1951 raggiunsero i sedici milioni, spostò «[…] gli investimenti pubblicitari dai network radiofonici alla televisione»[7], mettendo in crisi le emittenti radiofoniche a diffusione nazionale. Questo avvicendamento portò però a una maggiore diffusione delle radio locali (per le minori spese di gestione), che nel 1952 superarono i juke-box come strumento promozionale. Risale al 1955 la nascita del primo format radiofonico, il cosiddetto Top Forty, dove alla discrezionalità del dj nella scelta dei brani da passare si sostituiva una più attendibile statistica, basata sull’effettiva vendita dei dischi e compilata dal gestore della radio: a essere trasmesse a rotazione erano così le canzoni ai primi quaranta posti delle classifiche. Anche la televisione, nuovo mass media dalle potenzialità ancora sconosciute ai più, facilitò la diffusione di alcuni brani, esercitando un potente influsso sugli spettatori. Si ricordano due esempi: nel 1954 la canzone Let Me Go, Lover della sconosciuta Joan Weber, fu cantata in diretta durante un programma TV e le vendite del disco, già presente sul mercato con scarso successo da due anni, aumentarono vertiginosamente; Teenage Crash di Tommy Sands, del 1957, fu un caso analogo. Sempre nel 1957 fu presentato a livello nazionale uno spettacolo televisivo dedicato alla musica rock, che ebbe successo e che continuò a esistere, anche se con una presenza più esigua, fino alla fine degli anni ’60: American Bandstand[8]. Durante il programma venivano suonate delle canzoni e i ragazzi presenti in studio ballavano. Si alternavano visite di ospiti, proiezione di filmati a soggetto musicale, interviste ai ragazzi che brevemente si presentavano e commenti alle canzoni trasmesse. Lo spettacolo così concepito metteva in luce le abitudini e i gusti dei giovani in sala, che diventavano in fondo le vere attrazioni del programma.
L’espansione della musica rock fu così affiancata dalla diffusione dei balli rock. «La maggior parte di essi nasceva soprattutto fra il pubblico rock, e i giovani l’imparavano osservandosi l’un l’altro. Queste erano invenzioni folk. Sebbene ciascuna delle nuove danze fosse caratterizzata da movimenti tipici, altri movimenti erano inventati così in fretta che nessuno stile particolare divenne uno standard»[9]. In piena espansione, la musica rock era senza dubbio quella maggiormente presente nel panorama musicale di questo periodo, ma il successo degli artisti lasciava ancora nell’ombra i musicisti che li accompagnavano: gli unici gruppi a ricevere le dovute attenzioni erano quelli vocali, a riprova che il canto restava al centro dell’attenzione. Questo fenomeno si attenuò alla fine del decennio, con l’ascesa nelle classifiche di brani strumentali, spesso colonne sonore di film western, come Red River Rock del 1958.
Note:
[1] F. Fabbri, La Popular music, in Storia della Musica, diretta da Alberto Basso, Volume IV, Torino, UTET, 2005, p. 347.
[2] C. Belz, La storia del rock, cit., 1975, p. 13.
[3] Ibidem, p.14.
[4] F. Fabbri, La Popular music, in Storia della Musica, diretta da Alberto Basso, Volume quarto, cit., p. 349.
[5] G. Rausa, Dizionario della musica rock – Volume secondo: Canada, Usa e Australia, p. 9.
[6] Ibidem, p. 7.
[7] F. Fabbri, La Popular music, in Storia della Musica, diretta da Alberto Basso, Volume quarto, cit., p. 347.
[8] American Bandstand, spettacolo nato a Filadelfia nel 1952 con il nome di Bandstand e presentato da Bob Horn. Nel 1956 gli subentrò Dick Clark, un disc jockey di Filadelfia che legò il suo nome alla trasmissione.
[9] E. Gentile, A. Tonti, Dizionario del pop-rock 2006, Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2005, p. 66.