The Riace bronzes ( I bronzi di Riace )

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Museo Archeologico di Reggio Calabria

Palazzo Piacentini, ora sede del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria o Museo Nazionale della Magna Grecia, è uno storico ed importante ente di conservazione della cultura italiana, in possesso di una delle più ragguardevoli collezioni di reperti provenienti dalla Magna Grecia.

Sorto nel XIX secolo con l’intento di raccogliere i materiali ceduti dal museo civico della città, con il tempo so è arricchito di molti reperti, frutto delle varie campagne di scavo condotte fino ad oggi dallaSoprintendenza archeologica della Calabria.

Tra le opere custodite all’interno, sicuramente le più importanti sono i Bronzi di Riace – due statue di bronzo di provenienza greca o magnogreca o siceliota, databili al V secolo a.C. – rinvenute il 16 agosto 1972 nei pressi di Riace, in provincia di Reggio Calabria. Infatti proprio in quell’anno, Stefano Mariottini, giovane sub dilettante romano, si immerse nel Mar Ionio a 300 metri dalle coste di Riace e rinvenne a 8 metri di profondità le statue dei due guerrieri.

L’attenzione del subacqueo fu attratta dal braccio sinistro di quella che poi sarebbe stata denominata statua A, unico elemento che emergeva dalla sabbia del fondo. Per sollevare e recuperare i due capolavori, i Carabinieri del nucleo sommozzatori utilizzarono un pallone gonfiato con l’aria delle bombole. Il 21 agosto fu recuperata la statua B, mentre il giorno successivo toccò alla statua A (che ricadde al fondo una volta prima d’essere portata al sicuro sulla spiaggia).

Considerate tra i capolavori scultorei più significativi dell’arte greca, e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell’ età classica, le ipotesi sulla provenienza e sugli autori delle statue sono diverse, ma non esistono ancora elementi che permettano di attribuire con certezza le opere ad uno specifico scultore, che sono quasi certamente opere originali dell’arte greca del V secolo a.C., e dal momento del ritrovamento hanno stimolato gli studiosi alla ricerca dell’identità dei personaggi e degli autori. Ancora oggi non è stata raggiunta unanimità per quanto riguarda la datazione, la provenienza e tanto meno gli artefici delle due sculture.

Una buona ipotesi sulla provenienza e la datazione delle due statue, potrebbe essere :

• Il Bronzo A (il giovane) potrebbe raffigurare Tideo, un feroce eroe dell’Etolia, figlio del dio Ares e protetto dalla dea Atena.

• Il Bronzo B (il vecchio) sarebbe invece Anfiarao, il profeta guerriero che profetizzò la propria morte sotto le mura di Tebe.

Tutti e due infatti parteciparono alla mitica spedizione della città di Argo contro quella di Tebe che, come lo stesso Anfiarao aveva previsto, ebbe conclusione disastrosa.

Da segnalare la Testa di Filosofo da Porticello, anche questa proveniente dal fondo del mare.

Curiosità: il 9 settembre 1981 le Poste Italiane emettono il primo francobollo raffigurante i Bronzi di Riace.

Indirizzo: Piazza Giuseppe De Nava, 26 – 89123 Reggio Calabria

Telefono: 0965 898272

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Il 16 agosto del 1972 venivano ritrovati i Bronzi di Riace

16 agosto 2016

“Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l’una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, a braccia aperte e con gamba sopravanzante rispetto l’altra. L’altra risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo”

(Denuncia di S.Mariottini del 17 agosto del 1972)

Era il 16 agosto del 1972, quando un sub di nome Stefano Mariottini nelle acque di Riace, in Calabria, fece una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi decenni. Il recupero dei reperti avvenne tra il 21 e il 22 di agosto ad opera del Carabinieri del Nucleo sommozzatori mediante l’utilizzo di un pallone gonfiato con l’aria delle bombole. Di cosa parliamo? Di due celebri bronzi. I Bronzi di Riace.

Bronzo A

Mariottini infatti intravide solo una delle due statue, l’altra giaceva a pochi metri di distanza. Ma chi sono questi straordinari personaggi? Non ci sono ancora teorie certe sull’identità, ma i due sicuramente sono guerrieri nudi, armati, alti quasi due metri. La scoperta venne comunicata immediatamente alle autorità, in primis alla Soprintendenza alle antichità di Reggio Calabria che organizzò il trasporto delle statue al Museo archeologico reggino. Di lì a poco cominciò il primo restauro d’urgenza, che fu poi continuato al Centro di restauro della Soprintendenza toscana dove le statue rimasero dal 1974 al 1980 e dove per altro molti ne poterono ammirare l’esposizione a Firenze. Nel 1981 vennero invece trasferiti ed esposti al Quirinale, dove i numeri dei visitatori furono altrettanto straordinari così come nel capoluogo toscano. Oggi vengono custoditi al Museo archeologico di Reggio Calabria dove i due guerrieri rappresentano il fiore all’occhiello del rinnovato allestimento museale che comunque già li vedeva esposti dal 2015. I Bronzi attualmente godono di una sala apposita che accoglie, mediante il passaggio attraverso una sala pre-filtro, gruppi di massimo 20 persone a volta. Per sfruttare questo tempo di attesa prima della mirabile visione delle due statue, sono stati appositamente predisposti due video, corredati da testi in italiano e inglese, che illustrano i vari momenti della scoperta, i restauri e le ipotesi interpretative che ruotano attorno ai guerrieri venuti dal mare. Una volta entrati nella sala, i visitatori godono di una piena visione delle statue, illuminate da una luce diffusa che rende ancora più suggestiva la visita.

STILE E ANALISI

Il Bronzo contrassegnato con la lettera A, ha una datazione che si attesta tra il 460-450 a.C. e rappresenta un personaggio con barba, maturo, con i capelli sciolti trattenuti da una benda, la bocca socchiusa che mostra i denti realizzati in argento. Siamo nel pieno stile severo; la gamba destra è portante, la sinistra è flessa con il piede avanzato e girato, mentre il tallone è poggiato saldamente a terra. La testa è girata verso destra, il braccio sinistro è piegato e originariamente impugnava uno scudo, ora mancante; la mano destra invece doveva impugnare una lancia. L’anatomia del corpo è estremamente dettagliata e accurata, come si nota nello stile severo, che mette in risalto la possenza muscolare e la struttura slanciata del corpo.

Bronzo B

Il Bronzo B presenta un’analoga postura ma ha un ritmo nella figura abbastanza diverso, spiegato dagli studiosi come sinonimo di uno scarto cronologico presente tra le due statue; si parla infatti di un trentennio di differenza tra la realizzazione del Bronzo A e il Bronzo B.

Il Riace B è ancora rappresentato con sembianze guerriere, con scudo, lancia(mancanti) ed elmo. Il lato destro è portante ed il movimento impresso al bacino provoca un andamento sinuoso. Questo nuovo ritmo, che richiama le ricerche sulla figura umana di Policleto, fa propendere ad una datazione verso il 430 a.C.

Sui Bronzi sono state effettuate diverse analisi e studi, di cui la prima accertò che, la tecnica utilizzata nella realizzazione delle statue, fu il sistema di fusione a cera persa. La tecnica è questa: su una figura modellata in argilla si sovrapponeva uno strato di cera verosimilmente ricca di dettagli così come si voleva che fosse il modello finale. Il modello in cera veniva coperto poi con un ulteriore spesso strato di argilla che veniva cotto per eliminare e liquefare la cera. Successivamente, veniva colato il bronzo nell’intercapedine vuota risultante tra l’anima interna di argilla e il rivestimento esterno e ,spaccato questo rivestimento ed eliminata l’argilla interna, si otteneva una statua di bronzo cava.

Nel restauro reggino degli anni ’80 ci si rese conto che vi erano ancora residui della terra argillosa usata per il modello di fusione attaccata al metallo, la quale aveva pericolosamente creato un agente corrosivo altamente dannoso e che quindi bisognava togliere. Fra il 1992 e il 1995 nei laboratori di restauro del museo di Reggio Calabria, si decise di intervenire tramite un bisturi ad ultrasuoni per rimuovere l’incrostazione; questo, entrò in una statua dal piede e nell’altra dall’occhio e ripulì tutti gli angoli interni. Dopo questo restauro, dei 400 kg di peso iniziale le statue ne uscirono più leggere di 240 chili.

Fin dall’epoca del ritrovamento i due bronzi hanno provocato un intenso e acceso dibattito tra gli studiosi, non solo sull’identità, ma anche sul perché due bronzi di così prestigioso livello si trovassero nei fondali di Riace. Tra le ipotesi, quella che le statue si trovassero su un carico di nave che, partito dalla Grecia, era diretto a Roma. Si è quindi pensato che le statue facessero parte di un donario sottratto a qualche santuario panellenico e destinato a Roma ad ornare piazze e monumenti dell’Urbe. Ma chi si nasconde dietro questi due bronzi? Qual è la loro identità? Sono comandanti? Forse tiranni? Sono eroi? Sicuramente sono armati come opliti (con scudo e lancia) e il capo è coperto da un elmo corinzio (kynè) di cui restano alcune tracce. Paolo Moreno e Daniele Castrizio, due tra i più attenti studiosi dei bronzi, li vedono come i figli di Edipo e Giocasta, Eteocle e Polinice, venerati ad Argo.

Argo è anche il probabile luogo di provenienza della terra di fusione dei bronzi. Castrizio, nell’identificare il maestro dei bronzi, suggerisce come bottega di realizzazione quella di Pitagora di Reggio, attivo nella seconda metà del V secolo a.C., famosa per l’accurata realizzazione dei particolari anatomici, secondo come riporta Plinio il Vecchio nella suaNaturalis Historia. Moreno invece, ha proposto di identificare il Bronzo A come prodotto di Agheladas di Argo, e il Bronzo B opera di Alcamene, ateniese e contemporaneo di Fidia.

Scopriremo mai l’identità di questi barbuti personaggi che tanto attirano migliaia di curiosi e visitatori da tutto il mondo? Ma forse, è davvero così necessario saperlo?

GALLERY FOTO BY MARIA MENTO

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I Bronzi di Riace - Riace

I Bronzi di Riace sono una coppia di statue bronzee di dimensioni leggermente superiori al vero (altezza m 2 circa), di provenienza greca o magnogreca o siceliota, databili al V secolo a.C. e pervenute in eccezionale stato di conservazione. I Bronzi di RiaceLe due statue - rinvenute nel 1972 nei pressi di Riace, in provincia di Reggio Calabria - sono considerate tra i capolavori scultorei più significativi del ciclo ellenico, e tra le poche testimonianze dirette dei grandi maestri scultori del mondo greco classico. I Bronzi si trovavano al Museo Nazionale della Magna Grecia Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria ma, a causa dei lavori di ristrutturazione dello stesso museo, sono temporaneamente ospitati nella sede del Consiglio Regionale della Calabria, sempre a Reggio. I Bronzi sono diventati uno dei simboli della città stessa. Il ritrovamento ed i restauri Il ritrovamento delle statue nel 1972Il 16 agosto 1972 Stefano Mariottini (un giovane sub dilettante romano) si immerge nel Mar Ionio a 300 metri dalle coste di Riace e ritrova casualmente ad 8 metri di profondità le statue dei due guerrieri che diventeranno famose in tutto il mondo come i Bronzi di Riace. In particolare l'attenzione del subacqueo fu attratta dal braccio sinistro di quella che poi sarebbe stata denominata statua A, unica parte delle due statue che emergeva dalla sabbia sul fondo del mare. Per sollevare e recuperare i due capolavori, i Carabinieri del nucleo sommozzatori utilizzarono un pallone gonfiato con l'aria delle bombole. Così il 21 agosto fu recuperata la statua B, mentre il giorno successivo toccò alla statua A (che ricadde al fondo una volta prima d’essere portata al sicuro sulla spiaggia). La denunzia ufficiale depositata il 17 agosto 1972 con Protocollo N. 2232, presso la Soprintendenza alle antichità della Calabria a Reggio Calabria, in cui Stefano Mariottini "... dichiara di aver trovato il giorno 16 c.m. durante una immersione subacquea a scopo di pesca, in località Riace, Km 130 circa sulla SS Nazionale Jonica, alla distanza di circa 300 metri dal litorale ed alla profondità di 10 metri circa, un gruppo di statue, presumibilmente di bronzo. Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l'una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, a braccia aperte e con gamba sopravanzante rispetto l'altra. L'altra risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo. Le statue sono di colore bruno scuro salvo alcune parti più chiare, si conservano perfettamente, modellato pulito, privo di incrostazioni evidenti. Le dimensioni sono all'incirca di 1,80 cm." Sul lato sinistro di questa denuncia ufficiale, tutta battuta a macchina, si nota un appunto scritto a mano, di colore rosso, ed a firma G. Foti (soprintendente scomparso giorni prima l’arrivo a Reggio di Calabria dei Bronzi, n.d.r.). "La presente segnalazione fa seguito alla comunicazione telefonica del 16 agosto 1972, ricevuta alle ore 21 che denunziava la scoperta." Durante i primi interventi di pulitura dalle concrezioni marine (eseguiti dai restauratori del Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria), apparve evidente la straordinaria fattura delle due statue. Fu confermata infatti la prima ipotesi secondo cui i bronzi dovevano essere autentici esemplari dell'arte greca del V secolo a.C., venuti ad affiancare quindi le pochissime statue in bronzo che sono giunte fino ai noi complete, come quelle conservate in Grecia: l'Auriga di Delfi e il Cronide di Capo Artemisio al Museo Archeologico Nazionale di Atene. Divenuti ormai tra i simboli della città di Reggio Calabria, i Bronzi di Riace sono custoditi al Museo Nazionale della Magna Grecia.A Reggio l'equipe di tecnici lavorò alla pulitura delle due statue fino al gennaio 1975, quando la Soprintendenza reggina ebbe la certezza che sarebbe stato impossibile eseguire un completo e valido restauro delle statue utilizzando solo i limitati strumenti che erano a disposizione del proprio laboratorio. Fu allora che si decise di trasferirle al più attrezzato centro di restauro della Soprintendenza della Toscana, presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, costituito dopo l'alluvione del 1966. Oltre alla pulizia totale delle superfici eseguita con strumenti progettati appositamente, a Firenze le statue furono sottoposte ad analisi radiografiche, necessarie per conoscerne la struttura interna, lo stato di conservazione e lo spessore del metallo. Le indagini portarono ad un primo esito sorprendente: il braccio destro della statua B e l’avambraccio sinistro su cui era saldato lo scudo risultarono di una fusione diversa dal resto della statua, furono infatti saldati in epoca successiva alla realizzazione della statua in sostituzione delle braccia originali probabilmente per rimediare ad un danneggiamento sopravvenuto quando la statua era già in esposizione. Durante la meticolosa pulizia si scoprirono alcuni particolari per i quali era stato usato materiale differente dal bronzo: argento per i denti della statua A e per le ciglia d’entrambe le statue, avorio e calcare per le sclere, rame per le labbra e le areole dei capezzoli di entrambe le statue. Le operazioni di restauro - che durarono cinque anni, fino al 1980 - si conclusero il 15 dicembre 1980 con l'inaugurazione di un'esposizione per sei mesi delle due statue sul grande palcoscenico del turismo fiorentino, presso il Museo Archeologico di Firenze come pubblico omaggio all'impegno tecnico e al lavoro ivi svolto. Fu proprio quest'esposizione fiorentina, seguita da quella successiva di Roma, a fare da primo detonatore per il non più tramontato clamoroso entusiasmo nazionale ed internazionale per i due Bronzi trovati a Riace. francobolli delle Poste Italiane raffiguranti i Bronzi di RiacePur essendo stato fatto durante il restauro fiorentino un trattamento conservativo, nei primi novanta sono comparsi numerosi fenomeni di degrado, che hanno consigliato lo svuotamento totale del materiale anticamente servito per modellare le figure (la cosiddetta "terra di fusione") e parzialmente lasciato dai restauratori fiorentini all'interno delle due statue. Così nel 1995, terminata la pulizia interna e dopo aver subito un trattamento anticorrosione, i due Bronzi sono stati nuovamente collocati nella grande sala del museo reggino, tenuta a clima controllato con l'umidità al 40-50% e la temperatura compresa tra i 21 e i 23 °C.

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Vita subacquea / I Bronzi di Riace, nati dal mare

I Bronzi di Riace, nati dal mare

Il rinvenimento. I Bronzi di Riace furono scoperti il 16 agosto 1972 nel tratto dimar Jonio antistante il comune reggino di Riace Marina da Stefano Mariottini, un appassionato subacqueo in vacanza in Calabria, durante un'immersione a circa 200 m dalla costa ed alla profondità di 8 m.

Il recupero fu curato dalla Soprintendenza con la collaborazione del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri di Messina.

Il ritrovamento delle statue il 16 agosto 1972

Le indagini sul fondale. Uno scavo stratigrafico del 1973 e prospezioni nel 1981 permisero di recuperare pochissimi reperti e di proporre questa ricostruzione del naufragio: la nave, spinta da una tempesta a riva, aveva perso la velatura e gli anelli erano colati a picco con altri elementi pesanti come i Bronzi, presumibilmente non legati ad alcuna struttura; le parti leggere si erano disperse e lo scafo, gettato sulla spiaggia, si era progressivamente disgregato.

E' stato anche supposto che non vi sia stato un vero e proprio naufragio ma un alleggerimento del carico, in un momento di pericolo, proprio buttando in mare le statue.

Il restauro. Un primo restauro avvenne negli anni 1975-1980 a Firenze, dove, oltre alla pulizia e alla conservazione delle superfici esterne, si cominciò a svuotare l'interno delle statue dalla terra di fusione originaria, impregnatasi nel corso dei secoli di cloruri che avevano innescato pericolosi fenomeni di corrosione.

Il restauro dei Bronzi di Riace

La rimozione della terra di fusione fu conclusa a Reggio negli anni 1992-1995, in un'operazione di restauro che si trasformò in un vero e proprio microscavo archeologico della terra per ricostruirne la disposizione originaria. Fu utilizzato un sofisticato dispositivo ispirato alla strumentazione per la diagnostica medica e la chirurgia microinvasiva, dotato di microtelecamera ed ablatore ad ultrasuoni.

Caratteri generali. Le due statue, denominate « A » e « B », sono alte 1,98 e 1,97 m; al momento del rinvenimento pesavano circa 400 Kg ma dopo lo svuotamento del loro interno il peso è diminuito a circa 160. Lo spessore medio del bronzo si aggira sui 8,5 mm per A e 7,5 mm per B. Originariamente erano ancorate alla loro base grazie ad una colatura di piombo fuso fatto fluire, sfruttando il principio dei vasi comunicanti, sia entro i piedi sia nell'incavo predisposto nella base stessa. Una volta solidificato, il piombo ha assunto la forma di tenoni, che i restauratori hanno asportato per penetrare all'interno della statua.

Divenuti ormai tra i simboli della città di Reggio Calabria, i Bronzi di Riace sono custoditi al Museo nazionale della Magna Grecia.

I Bronzi rappresentano due uomini completamente nudi ed armati di scudo -imbracciato con la sinistra-, lancia -tenuta con la destra-, ed elmo, forse smontati al momento dell'imbarco per permettere di adagiare sulla schiena le statue e facilitarne il trasporto.

La lancia era in verticale e probabilmente poggiata a terra nella statua A, inclinata e sospesa in aria nella statua B, dove il solco di appoggio per l'asta interessa non solo l'avambraccio ma anche la spalla. Occorre ricordare che il braccio destro e l'avambraccio sinistro della statua B non sono originali ma frutto di un restauro antico risalente all'età romana.

La testa della statua A. Si caratterizza per una raffinatissima resa della barba, con ciocche sinuose fortemente plastiche, e della capigliatura, trattenuta da una larga fascia.

Le lunghe ciocche di capelli ondulati che solcano tutta la calotta, ricadendo in chiome ricciute sulle spalle, fanno supporre che la testa fosse in origine priva di elmo; sulla sua sommità vi è, inoltre, un foro forse per un meniskos, una punta in bronzo funzionale a tenere lontani gli uccelli dalle statue.

In un secondo, tempo, tuttavia, fu alloggiato un elmo corinzio, come indicano dei segni di appoggio e la trasformazione dell'originario foro in un incasso per l'elmo stesso. In quell'occasione le orecchie, ben modellate, furono coperte da ciocche applicate.

La bocca ha labbra in rame e una fila di superiore di cinque denti modellati in una lamina d'argento. Gli occhi hanno ciglia in lamina bronzea e cornee in avorio mentre le iridi, non conservate, erano presumibilmente di pasta vitrea o di una pietra preziosa.

La testa della statua B. Si presenta liscia e deformata, evidentemente perché dotata di un elmo corinzio rialzato, e ricoperta da una cuffia di cuoio o di feltro: ne rimangono alcune placchette coperte da piccole martellature ed il solco lasciato sui lati della barba dal sottogola. Dalla cuffia fuoriuscivano i lobi inferiori delle orecchie e corte ciocche di capelli, simili a quelle della barba poco folta resa in modo non particolarmente plastico.

La bocca ha anch'essa labbra in rame; si conserva solo l'occhio destro con la cornea in marmo bianco, l'iride formata da un anello biancastro ed uno rosato concentrici e la pupilla nera.

Le due statue presentano un sistema di ponderazione a ritmo incrociato: alla gamba destra verticale su cui grava tutto il peso del corpo corrisponde il braccio sinistro piegato a sorreggere il pesante scudo; alla gamba sinistra flessa ed avanzata corrisponde il braccio destro abbassato ad impugnare l'asta.

In conseguenza della posizione delle gambe, l'anca destra risulta rialzata rispetto alla sinistra: tale movimento nel Bronzo A non si ripercuote nella parte superiore del torace, dove pettorali e spalle sono in posizione quasi perfettamente orizzontale, nel Bronzo B si ripercuote sia sui pettorali, definiti da una linea inclinata, sia sulle spalle, con la destra in posizione abbassata rispetto all'opposta.

Francobolli delle Poste Italiane raffiguranti i Bronzi di Riace

La possente muscolatura è resa con forte vigore plastico, ma in modo più geometrico e statico nel Bronzo A, più analitico e dinamico in B.

Fra i particolari anatomici riprodotti nei Bronzi con particolare cura, si segnalano le vene subcutanee, particolarmente apprezzabili nelle mani e nei piedi.

Interessante è la resa dei capezzoli, lavorati a parte ed applicati tramite battitura a martello, di un colore rosa non perché in rame ma in una lega a tenore di stagno molto basso.

Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

Statua B

Statua A

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Le statue bronzee di Riace

di Samantha Lombardi

Riace (300 metri s.l.m.), è un piccolo centro in provincia di Reggio Calabria, il paese divenne famoso quando, il 16 agosto del 1972, sul fondale sabbioso di Porto Forticchio, difronte alla località di Agranci, nelle acque del Mar Jonio, a circa 200 metri dalla costa e ad 8-10 metri di profondità, un sub dilettante ritrovò casualmente due grandi statue di bronzo, alte circa 2 metri, differenti fra loro per pochi centimetri di altezza, che riproducevano, in atteggiamento simile, due guerrieri stanti in nudità eroica. L’attenzione del subacqueo fu richiamata da un braccio sinistro (appartenente a quella poi definita statua A), l’unica parte che emergeva dalla sabbia sul fondo del mare. L’anno dopo il ritrovamento delle statue bronzee, gli stessi fondali furono interessati da un’indagine stratigrafica e nel 1981 scrupolose ricerche portarono al rinvenimento di circa 30 anelli in piombo pertinenti alle vele di una nave antica, un frammento di chiglia di nave riconducibile ad un arco cronologico che va dall’età romana all’età bizantina e la maniglia dello scudo imbracciato dal bronzo A.

Dopo il loro recupero, avvenuto con la collaborazione del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri di Messina, che si avvalsero, per il sollevamento delle stesse, di un pallone gonfiato con l’aria delle bombole, le statue, piene di alghe e concrezioni marine lasciate su di loro da una lunga permanenza in acqua, vennero affidate alla Soprintendenza di Reggio Calabria, dove un’equipe di tecnici si dedicò, fino ai primi mesi del 1975, alla pulizia delle statue.

I responsabili della Soprintendenza, consapevoli dell’impossibilità di eseguire un completo e valido restauro delle statue avvalendosi solo dei limitati strumenti che erano a disposizione del proprio laboratorio, decisero di trasferirle al più attrezzato centro di restauro della Soprintendenza di Firenze. L’Opificio delle Pietre Dure, uno dei più qualificati laboratori di restauro del Mondo, provvide sia alla pulizia che alla conservazione delle superfici esterne, per cui, fu necessario svuotare l’interno delle statue ricolme delle terre di fusione e di sabbia frammista a cloruri che avevano innescato pericolosi fenomeni di corrosione. Le operazioni di restauro durarono cinque anni e si conclusero nel dicembre del 1980 con l’inaugurazione di un’esposizione, a loro dedicata, per sei mesi presso il Museo Archeologico di Firenze come pubblico omaggio al notevole lavoro svolto, le statue bronzee, in tutto il loro splendore suscitarono un notevole interesse fra i visitatori. Dopo un’ulteriore esposizione a Roma, nei Musei Capitolini, nel 1981, i Bronzi di Riace (così denominati dal luogo del ritrovamento), tornarono nuovamente a Reggio Calabria per essere collocati nel Museo Archeologico Nazionale. Una nuova operazione di restauro, effettuata negli anni 1992-95, tesa a concluderne lo svuotamento, non allontanò le statue dalla città: un vero e proprio micro-scavo archeologico ha infatti permesso la rimozione della rimanente terra di fusione attraverso l’uso di una sofisticata strumentazione micro-invasiva.

La decisione di restaurare nuovamente i Bronzi di Riace risale al 2009; l’opera di valorizzazione degli stessi prevedeva interventi di diagnostica attraverso speciali tecniche idonee ad individuare il modo migliore per “curarle”. E’ per questo motivo che vennero trasferite a Palazzo Tommaso Campanella dove ebbero inizio le operazioni di restauro. La rimozione che, dal Museo Nazionale della Magna Grecia, che li ha portati nella Sede del Consiglio Regionale della Calabria, è stata un’operazione molto difficile e delicata data la struttura molto fragile delle due statue.

I reperti sono stati dapprima imbrigliati e poi sollevati per essere poi posizionati su particolari supporti orizzontali di legno che ricopiano, fedelmente, le curve esterne dei corpi. Le accurate radiografie, con raggi gamma, a cui sono state sottoposte, hanno permesso di controllare lo stato delle patine (strato superficiale che con il passare del tempo ricopre il rame e le sue leghe), in particolar modo quella del bronzo A che presenta una patina artificiale di colore nero, mentre nella statua B questa patina non c’è più. Questo significa che la non corretta climatizzazione dell’ambiente ed un tasso di umidità inadeguato non riuscirà a fermare il processo di degrado. Per evitare ciò le statue hanno subito un trattamento particolare che almeno per il momento è in grado di contrastare il processo di corrosione. Finora per il loro restauro sono stati spesi 33 milioni di euro.

Nonostante l’operazione di restauro sia terminata da anni le statue, anche se, sono ancora adagiate all’interno della Sala Monteleone di Palazzo Campanella, sistemate con tutti i crismi del caso su basi antisismiche, sono comunque visibili al pubblico.

La chiusura contemporanea del Museo, nel 2009, per importanti lavori di ristrutturazione, inserita nell’ambito delle opere programmate in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, vede, per “la solita mancanza di fondi”, che tali lavori si sono prolungati ben oltre i tempi previsti. A tutt’oggi non è possibile ancora azzardare una data precisa circa l’inaugurazione del Museo, anche se, uno spiraglio si inizia ad intravedere tramite una convenzione firmata nel febbraio 2013, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, e conclusasi dopo un articolato percorso; con la stessa si è predisposto un finanziamento di 5 milioni di euro (con risorse del Por Calabria Fesr 2007/13) che, attraverso specifici interventi, ci si augura, porti al completamento dei lavori di ristrutturazione del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria*. Il Dipartimento Cultura della Regione ha designato un Comitato Tecnico Scientifico il cui scopo è quello di valutare gli aspetti tecnici e amministrativi dell’intervento di restauro; si è prevista, inoltre, anche l’installazione di attrezzature speciali necessarie per la tenuta delle statue mediante particolari ancoraggi antisismici.

*Inaugurato nel 1959, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, noto anche come “Palazzo Piacentini”, è uno dei Musei Archeologici più prestigiosi d’Italia, al suo interno è custodita una delle più importanti collezioni di reperti provenienti dalle Colonie della Magna Grecia fiorite in Calabria. E’ un edificio progettato, fra i primi d’Italia, ai soli fini dell’esposizione museale; fu ideato da Marcello Piacentini, uno dei massimi architetti del periodo fascista.

All’epoca, il ritrovamento di due così importanti reperti fece notevole scalpore fra gli studiosi; considerate testimonianze dirette dei grandi maestri scultorei del mondo greco-classico, sono oggi ritenute tra i capolavori scultorei più significativi del ciclo ellenico.

Sotto l’aspetto stilistico i corpi delle due statue sono articolati secondo un medesimo schema a “chiasmo” (dal greco chiasmós, disposizione a forma di χ ) per cui: alla gamba destra verticale su cui si appoggia tutto il peso del corpo, corrisponde il braccio sinistro piegato a sorreggere il pesante scudo; alla gamba sinistra flessa e avanzata corrisponde il braccio destro abbassato ad impugnare la lancia; è’ anche possibile notare dalla posizione delle gambe, che l’anca destra appare rialzata rispetto a quella sinistra. Tale movimento, nel bronzo A, non si riflette nella parte superiore del torace, dove i pettorali e le spalle conservano una posizione quasi perfettamente orizzontale, mentre, nel bronzo B, si ripercuote sia sui pettorali, definiti da una linea inclinata, sia sulle spalle, dove la spalla destra è in posizione abbassata rispetto a quella sinistra.

La possente muscolatura è resa con un accentuato vigore plastico, ma mentre, nel bronzo A appare in modo più geometrico e statico, nel bronzo B, risulta invece più particolareggiata e dinamica. I particolari anatomici sono stati rappresentati con particolare cura, si evidenziano infatti, particolarmente apprezzabili, nelle mani e nei piedi, le vene sub-cutanee.

Sul braccio sinistro, di entrambi i corpi bronzei, si sono conservati alcuni elementi che hanno fatto ipotizzare la presenza di uno scudo, ma anche dalle tracce e da alcuni ritagli, presenti nelle capigliature, si è supposto che sulla testa di ognuno vi fosse in origine collocato un elmo e che, sicuramente, le mani destre ripiegate, dovevano impugnare un oggetto che, tuttavia, non è stato ancora individuato con certezza. Inoltre, la statua B, ha il braccio sinistro restaurato in epoca romana. L’intervento non è visibile a occhio nudo, solo un’analisi minuziosa, della composizione della lega, ha permesso di identificare, che nelle parti integrate è presente una percentuale maggiore di piombo.

La testa della statua A si caratterizza per una raffinatissima resa della barba, con morbide ciocche particolarmente plastiche, e della capigliatura tenuta da una larga fascia. Le lunghe ciocche dei capelli sinuosi che segnano tutta la calotta, scendendo in chiome ricciolute sulle spalle, fanno presumere che in origine, la testa, fosse priva di elmo. Sulla sua sommità è presente un foro forse per ospitare un meniskos(una punta in bronzo che aveva lo scopo di tenere lontani gli uccelli dalle statue); Tuttavia, in un secondo momento, fu aggiunto un elmo corinzio come è dimostrato dai segni di appoggio e dalla trasformazione dell’originario foro in un alloggio per l’elmo stesso; fu in questa occasione che le orecchie, ben modellate, furono coperte da ciocche applicate. La bocca presenta labbra realizzate in rame e una fila superiore di cinque denti modellati in una lamina d’argento. Gli occhi hanno ciglia in lamine bronzee e cornee in avorio mentre le iridi, non presenti, forse erano in pasta vitrea o in pietra preziosa. Il posizionamento di queste parti separate era un’opera di grandissima abilità e avveniva secondo gli schemi riprodotti nei disegni.

La testa della statua B si presenta, liscia e deformata, ricoperta da una cuffia di cuoio o di feltro, ha la calotta cranica così modellata perché doveva sicuramente consentire la collocazione di un elmo corinzio rialzato, oggi disperso, ne rimangono, a testimonianza, alcune placchette segnate da piccole martellature ed una impronta lasciata, sui lati della barba, dal sottogola dell’elmo stesso. Dalla cuffia fuoriescono i lobi inferiori delle orecchie e corte ciocche di capelli, simili a quelle della barba, non molto folta, resa in modo non eccessivamente plastico. La bocca presenta anch’essa labbra in rame, si conserva solo l’occhio destro con la cornea in marmo bianco, l’iride è formata da un anello biancastro ed uno rosato concentrici e dalla pupilla nera. I corpi bronzei sono stati realizzati tramite la saldatura di parti fuse separatamente: testa, torace, braccia (mani, piedi e gambe, distinte in tre settori).

Nonostante i caratteri di uniformità, che i bronzi presentano, l’analisi stilistica e scientifica, la stretta somiglianza della lega metallica impiegata e della tecnica di fusione, così come quella delle capacità costruttive usate nell’intarsio di lamine, in materiali diversi, che sono state applicate a parte per ravvivare le areole del petto, le labbra e i denti, possono essere utili per cercare di ricostruire l’identità sia dell’area culturale di produzione sia dell’utilizzazione originaria delle due statue.

L’attribuzione odierna, in base ai confronti stilistici oggi possibili, è di datare la statua A al periodo severo (al 460-450 a.C.), ed al periodo classico (430-420 a.C.) la statua B (v. il notevole spostamento dell’anca destra). Non sembra facile spiegare altrimenti la sopravvivenza per circa 30 anni di tali caratteristiche tanto che questi anni cadono nella fase più vitale, ricca e innovatrice del V secolo a.C. e, per di più, in quell’ambiente attico che ha ospitato Fidia e la grande bottega del Partenone. Forse queste datazioni possono ancora essere modificate anche perché sappiamo veramente molto poco di queste due statue. Anche se fra gli studiosi non si è raggiunta l’unanimità dei consensi, è molto probabile che nelle due Bronzi di Riace si debbano vedere offerte commemorative, poste dai vincitori delle “oplitodromie” (gare di corsa che si facevano indossando l’armatura completa, iniziate ad Atene nel 520 a.C. e replicate fino all’età ellenistica). La fama che investiva i vincitori delle oplitodromie veniva ricordato nel tempo proprio dalla presenza di statue simili.

Riconducibili alla mano di due differenti artisti, non è da escludere che le due statue siano state poste una accanto all’altra solo al momento del trasporto per mare e che possono essere state create solo per essere mostrate insieme. Ignoti sono sia gli autori sia i personaggi raffigurati, non si conosce la collocazione che avevano nell’antichità, né tantomeno il motivo della loro caduta in mare e quale fosse la destinazione finale dei Bronzi di Riace. Si è però a conoscenza che una serie di queste statue si trovava nell’agorà ad Atene; da qui, dopo la conquista della Grecia per mano dei romani, alcune di esse furono rimosse e avviate nel mercato di oggetti d’arte destinati ad abbellire le residenze dei vincitori. Com’è noto dal 146 a.C. inizia il trasporto a Roma di questi oggetti dalla Grecia: il relitto naufragato al largo di Mahdia, nel mare della Tunisia, trasportava uno dei più notevoli carichi del genere.

Curiosità: nel 1981 furono emessi, dalle Poste Italiane, una serie di francobolli da L. 200 raffiguranti la coppia dei Bronzi di Riace.

Nel 2011, sono stati spesi ben 2,5 milioni di euro, per la campagna pubblicitaria, dal gusto discutibile, che ha visto in primo piano i due Bronzi di Riace e che ha scatenato un’infinità di polemiche.

Samantha Lombardi

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I misteri dei Bronzi di Riace

da McArte

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Il misteri dei Bronzi di Riace

Bronzi Di Riace – V secolo a.c.

Stupendi, alteri, puri, i due guerrieri di bronzo si ergono nello splendore dei loro 2 metri circa da quasi 2500 anni. Praticamente intatti sono arrivati fino a noi cavalcando i millenni , sfidando la perfidia delle gelide acque che li custodivano, sovrastando il tempo per non esserne toccati. Dai lineamenti perfetti, la muscolatura sviluppata e armoniosa, la posa naturale, l’espressione accigliata, sono stati fin da subito un enigma: chi sono? O meglio: chi rappresentano? E ancora: chi ne è l’autore o gli autori?

Bronzi Di Riace – ritrovamento

Trovati per caso a circa 200 metri dalla costa di Riace Marina a otto metri di profondità da un sub dilettante che ne vide emergere un braccio tra i fondali, i bronzi furono subito portati al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria per una prima pulitura e valutazione delle condizioni, ma inutile non pensare che anche i primi ritrovatori si fecero queste domande.

I Bronzi di Riace furono creati come guerrieri o come dei?

Bronzo “A”(particolare) – V secolo a.c.

Furono fusi in stampi nel V° secolo a.C. da eccelsi bronzisti, grandissimi artisti, certo greci, poiché solo l’Arte greca è riuscita nel tempo a forgiare statue di così stupenda figura, tanto che la loro grazia perdura oltre i secoli e le opere dei secoli dopo.

La stupenda veridicità delle fattezze, non tanto del viso, quanto del corpo, ingigantito ma naturale e dalle forme ingentilite, dai dettagli vivi, ci fa riflettere prima di tutto su chi fossero stati questi greci. Contadini? Guerrieri? E’ possibili che modelli dai corpi simili siano esistiti davvero? Oppure sono il frutto della sintesi osservatrice di sublimi artisti?

L’Arte greca dopo il più lontano periodo “Arcaico”, lasciava l’impostazione purista delle forme ristrette in atteggiamenti composti e studiatissimi come “Il Discobolo”, per approdare ad una formula più evoluta, chiamata appunto “Severa”. E’ di questo periodo la posa a “chiasmo” proposta nel “Crotonide” e nel “Doriforo”che si riscontra anche nei due guerrieri di Riace, dove ad una rilassatezza di un arto superiore, corrisponde la rigidità di quello inferiore, capovolta nell’altra parte del corpo. Il soggetto assume così una posa fluida, che sembra voler iniziare una camminata o un’azione.

Bronzo “A” (particolare fronte retro) – V secolo a.c.

Così anche i due bronzi, mantengono salda la gamba sinistra a terra mentre l’altra è piegata leggermente in avanti e in contrapposizione, anche il braccio si erge rigido a sollevare lo scudo andato perduto, rispetto all’altro rilassato lungo il fianco che invece sosteneva la lancia, anch’essa perduta.

Non è ancora l’era detta “Classica” dove una più libera interpretazione delle muscolature e delle composizione generava sculture dove si intravedeva un gigantismo anatomico (poi ripreso dal Manierismo) e pose più complesse (il “Laocoonte”, il “Torso Del Belvedere, il “Fauno Barberini”), ma i risultati del periodo greco “Severo” sono comunque da sempre sinonimo di perfezione della raffigurazione del corpo umano.

I Bronzi di Riace sono nel corpo e nella posa così simili da far pensare che siano stati parte di una schiera di guerrieri e che fossero in realtà non raffigurazioni di dei ma monumenti da esposizione. Teoria che cozza con la interpretazione delle sculture dello stesso periodo in cui è solitamente chiara la personificazione di dei.

Bronzo “A” (particolare) – V secolo a.c.

Soprattutto la cura dei dettagli, la stupenda fattura dei singoli pezzi, come i denti fusi a parte in argento, le labbra e i capezzoli in rame e gli intarsi in avorio e calcare che formano le orbite, ci fanno pensare che tanta cura non poteva essere riservata ad una statua che non fosse di identificazione divina. Troppo fini, troppo elaborati, i due guerrieri non possono essere che genia di un dio.

Bronzo “A” (particolare) – V secolo a.c.

La loro magnifica fattura si distingue anche nella testa dove piccoli perni e scanalature furono fatti appositamente per ospitare elmi, calzati in modo da far vedere i capelli finemente lavorati a parte che uscivano da sotto. Il primo bronzo, solitamente detto bronzo “A” sembra dovesse portare sopra la folta capigliatura un elmo corinzio calzato all’estremità del capo, per lasciare scoperta la faccia, simbolo della personificazione di un dio guerriero ma non è sicuro, c’è infatti l’ipotesi che questa prima versione sia stata soppiantata dalla definitiva che vede i perni ridotti per lasciare la testa scoperta e lasciare in mostra la fascia che la cinge dove doveva essere affisso un diadema, simbolo regale.

Bronzi Di Riace (particolare) – V secolo a.c.

Il secondo, detto bronzo “B” aveva invece forse un elmo calato, oppure, la strana foggia della testa era atta ad ospitare un caschetto di pelle tipico dei pugilatori che sarebbe spuntato in modo realistico tra l’elmo e la fronte.

C’è chi ha intravisto in questi guerrieri la rappresentazione di Eutymos da Locri Epizefiri, pugilatore ed eroe, in questo caso sarebbero opera dello scultore Pitagora di Reggio e di altro artista di poco postero oppure entrambe sue.

Bronzi Di Riace – V secolo a.c.

La statua “A” ricorderebbe Eutymos quando giovane eroe, sconfisse il demone che terrorizzava Temesa, mentre la statua “B” sarebbe stata fatta per onorarlo dopo la morte, in ricordo delle sue vittorie alle Olimpiadi come pugilatore.

Questa ipotesi è sostenuta da pochi vista la conformazione dei diversi punti di appoggio disseminati sul cranio che presuppongono un elmo diverso e soprattutto perché le figure avevano in mano lo scudo e la lancia.

Una ipotesi verosimile è che i due bronzi furono creati in epoche vicine ma diverse. La scultura “A” potrebbe quindi essere opera di Fidia, realizzata verso il 460 a.c. mentre il bronzo “B” forse è opera di Policleto del 430 a.c. visto la più accentuata torsione del busto che ne acuisce la posa plastica.

Le prove scientifiche hanno poi accertato che la terra trovata all’interno delle fusioni al momento del restauro, proveniva per quello che riguarda il bronzo “B” da Atene, mentre per il bronzo “A” da Argo.

Quindi si è anche ipotizzato che il bronzo “A” fosse Tideo il giovane, creato dallo scultoreAgelada di Argo, mentre il bronzo “B” sarebbe la rappresentazione di Alfiano il vecchio fatta da Alcamene di Atene e che entrambi avrebbero fatto parte di un gruppo scultoreo rappresentante la rovinosa spedizione contro Tebe.

Bronzi Di Riace, francobollo

Ma, troppo belli per appartenere a un monumento fatto per ricordare una sconfitta, altre ipotesi sono state formulate.

L’ultima pare sia quella che vede nelle due sculture la rappresentazione di Polinice (A) e Eteocle (B), frutto dello scultore già citato Pitagora di Reggio, originario della città di Samo in Grecia, ma operante nell’allora colonia della Magna Grecia Reghion, oggi Reggio.

Questa ipotesi è avvalorata soprattutto dallo stile dei bronzi, fu infatti Pitagora ad iniziare nel periodo “Severo” un approfondito studio sui dettagli quali le venature dei muscoli, i filamenti dei capelli, testimoniato in molti scritti pervenutici.

Bronzo “A” (particolare) – V secolo a.c.

I due bronzi sarebbero quindi i protagonisti dello sventurato mito dei figli di Edipo re di Tebe, Eteocle e Polinice, la voluta simile posa sarebbe allora stata fatta per ottenere una maggiore somiglianza tra i due ed esaltarne la comune origine.

La storia narra che i due avevano patteggiato di regnare un anno alternandosi ma la pace durò poco, si decise quindi una sfida tra le parti in cui sarebbero stati sorteggiati sette tra i migliori guerrieri. Successe che i fratelli furono sorteggiati per ultimi a combattere tra di loro e come si temeva, si uccisero a vicenda.

« Infatti non è difficile che il fratricidio sia tenuto in onore presso di voi, che, vedendo le statue di Polinice e di Eteocle, non distruggete il ricordo di quell’infamia, seppellendole con il loro autore Pitagora »

(Taziano, Adversos Graecos (Contro i pagani), 34, p. 35, 24, trad. di A. De Franciscis)

Detto questo, è possibile credere con un ragionevole dubbio che il grande artista Pitagora di Reggio li abbia modellati e che furono andati perduti durante il trasporto nel naufragio presso Riace Marina, non è invece chiaro chi dovessero rappresentare. La somiglianza potrebbe avvalorare l’ipotesi dei due fratricidi, ma la realtà è che chi siano veramente resta un mistero.

Infine il mistero più intrigante e celato: Cesare Mariotti il 17 Agosto 1972 presenta la denuncia ufficiale presso la Soprintendenza alle antichità della Calabria a Reggio in cui:

“… dichiara di aver trovato il giorno 16 c.m. durante una immersione subacquea a scopo di pesca, in località Riace, Km 130 circa sulla SS Nazionale ionica, alla distanza di circa 300 metri dal litorale ed alla profondità di 10 metri circa, un gruppo di statue, presumibilmente di bronzo. Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l’una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, a braccia aperte e con gamba sopravanzante rispetto all’altra. L’altra risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo. Le statue sono di colore bruno scuro salvo alcune parti più chiare, si conservano perfettamente, modellato pulito, privo di incrostazioni evidenti. Le dimensioni sono all’incirca di 180 cm.” (fonte Wikipedia)

….Che fine ha fatto lo scudo????

Bronzi Di Riace, ritrovamento – V secolo a.c.

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Bronzi di Riace

GreciaV secolo a.C.Reggio Calabria

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I Bronzi di Riace sono due statue di bronzo di provenienza greca omagnogreca o siceliota, databili al V secolo a.C.[1] pervenute in eccezionale stato di conservazione.

Le due statue – rinvenute il 16 agosto 1972nei pressi di Riace Marina, in provincia di Reggio Calabria – sono considerate tra i capolavori scultorei più significativi dell'arte greca, e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell'età classica. Le ipotesi sulla provenienza e sugli autori delle statue sono diverse, ma non esistono ancora elementi che permettano di attribuire con certezza le opere ad uno specifico scultore.

I Bronzi si trovano al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, luogo in cui sono stati riportati il 12 dicembre 2013, dopo la rimozione e il soggiorno per tre anni (con annessi lavori di restauro) presso Palazzo Campanella, sede del Consiglio Regionale della Calabria[2] a causa dei lavori di ristrutturazione dello stesso museo. I Bronzi sono diventati uno dei simboli della città stessa.

Il recupero

Il 16 agosto 1972 Stefano Mariottini (un giovane sub dilettante romano) si immerse nel Mar Ionio a 200 metri dalle coste di Riace Marina e rinvenne a 8 metri di profondità le statue dei due guerrieri che sarebbero diventate famose come i Bronzi di Riace. L'attenzione del subacqueo fu attratta dal braccio sinistro di quella che poi sarebbe stata denominata statua A, unico elemento che emergeva dalla sabbia del fondo. Per sollevare e recuperare i due capolavori, i Carabinieri del nucleo sommozzatori utilizzarono un pallone gonfiato con l'aria delle bombole. Il 21 agosto fu recuperata la statua B, mentre il giorno successivo toccò alla statua A (che ricadde al fondo una volta prima d'essere portata al sicuro sulla spiaggia).

È pubblicata la denuncia ufficiale depositata il 17 agosto 1972 con Protocollo n. 2232, presso la Soprintendenza alle antichità della Calabria a Reggio, in cui Stefano Mariottini: «… dichiara di aver trovato il giorno 16 c.m. durante una immersione subacquea a scopo di pesca, in località Riace, Km 130 circa sulla SS Nazionale ionica, alla distanza di circa 300 metri dal litorale ed alla profondità di 10 metri circa, un gruppo di statue, presumibilmente di bronzo. Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l'una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, a braccia aperte e con una gamba sopravanzanta rispetto all'altra. L'altra statua risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo. Le statue sono di colore bruno scuro salvo alcune parti più chiare, si conservano perfettamente, modellato pulito, privo di incrostazioni evidenti. Le dimensioni sono all'incirca di 180 cm.».

Sul lato sinistro di questa denuncia ufficiale, tutta battuta a macchina, è un appunto scritto a mano, di colore rosso, a firma G. Foti (soprintendente scomparso poco prima dell'arrivo dei Bronzi a Reggio di Calabria): «La presente segnalazione fa seguito alla comunicazione telefonica del 16 agosto 1972, ricevuta alle ore 21 che denunziava la scoperta.».

Durante i primi interventi di pulitura dalle concrezioni marine (eseguiti dai restauratori del Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria), apparve evidente la straordinaria fattura delle due statue. Fu confermata infatti la prima ipotesi secondo cui i bronzi dovevano essere autentici esemplari dell'arte greca del V secolo a.C., venuti ad affiancare quindi le pochissime statue in bronzo che sono giunte fino a noi complete, come quelle conservate in Grecia: l'Auriga di Delfi e ilCronide di Capo Artemisio al Museo Archeologico Nazionale di Atene.

A Reggio l'équipe di tecnici lavorò alla pulitura delle due statue fino al gennaio 1975, quando la Soprintendenza reggina ebbe la certezza che sarebbe stato impossibile eseguire un completo e valido restauro delle statue utilizzando solo i limitati strumenti che erano a disposizione del proprio laboratorio. Fu allora che si decise di trasferirle al più attrezzato Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica della Toscana, costituito dopo l'alluvione del 1966.

Oltre alla pulizia totale delle superfici eseguita con strumenti progettati appositamente, a Firenze le statue furono sottoposte ad analisi radiografiche, necessarie per conoscerne la struttura interna, lo stato di conservazione e lo spessore del metallo. Le indagini portarono ad un primo esito sorprendente: il braccio destro della statua B e l'avambraccio sinistro su cui era saldato lo scudo risultarono di una fusione diversa dal resto della statua, furono infatti saldati in epoca successiva alla realizzazione della statua in sostituzione delle braccia originali probabilmente per rimediare ad un danneggiamento sopravvenuto quando la statua era già in esposizione. Durante la meticolosa pulizia si scoprirono alcuni particolari per i quali era stato usato materiale differente dal bronzo: argento per i denti della statua A e per le ciglia d'entrambe le statue, avorio e calcare per le sclere, rame per le labbra e le areole dei capezzoli di entrambe le statue. Le operazioni di restauro - che durarono cinque anni - si conclusero il 15 dicembre 1980 con l'inaugurazione di un'esposizione per sei mesi delle due statue sul grande palcoscenico del turismo fiorentino, presso il Museo Archeologico di Firenze come pubblico omaggio all'impegno tecnico e al lavoro ivi svolto. Fu proprio quest'esposizione fiorentina, seguita da quella successiva di Roma, a fare da primo detonatore per il non più tramontato clamoroso entusiasmo nazionale ed internazionale per i due Bronzi trovati a Riace.

Pur essendo stato fatto durante il restauro fiorentino un trattamento conservativo, nei primi novanta comparvero numerosi fenomeni di degrado, che hanno fatto propendere per lo svuotamento totale del materiale anticamente servito per modellare le figure (la cosiddetta "terra di fusione") e parzialmente lasciato dai restauratori fiorentini all'interno delle due statue. In questa occasione l'intervento di contrasto alla formazione di ossidi rameosi è stato realizzato con il benzotriazolo.

Così nel 1995, terminata la pulizia interna e dopo aver subito un trattamento anticorrosione, i due Bronzi sono stati nuovamente collocati nella grande sala del museo reggino, tenuta a clima controllato con l'umidità al 40-50% e la temperatura compresa tra i 21 e i 23 °C.

Nel 2009, i Bronzi di Riace sono stati trasportati al Palazzo Campanella, il palazzo della regione, dove era stato allestito un laboratorio aperto al pubblico. Restauratori esperti, coordinati da Paola Donati e Nuccio Schepis, dell'Istituto superiore per la Conservazione e il Restauro, iniziarono i lavori di restauro delle due statue raffiguranti antichi guerrieri che sono stati completati nel 2011.[3]

Si sono potuti osservare i chiodi, di cui alcuni a sezione quadrata, utilizzati dagli artisti per mantenere ferma la struttura durante la fusione. Le gammagrafie effettuate mettono in evidenza le cricche e le fratture dei due bronzi, in particolare sul naso e la barba del Giovane e le fragilità di queste opere. Si conosce anche la percentuale esatta della lega utilizzata per la realizzazione delle due statue. Ma la vera novità consiste nell'individuazione delle tecniche usate per la realizzazione degli occhi e delle bocche delle due statue che sono state osservate per la prima volta dopo l'eliminazione delle terre di fusione all'interno delle teste con l'utilizzo di strumentazioni endoscopiche. Inoltre sono stati individuati analiticamente i materiali costitutivi usati per la realizzazione degli stessi elementi anatomici. Al termine del restauro, all'interno è stato usato un prodotto chimico che le preserverà dalla corrosione.[4].

Inoltre, vengono create delle nuove basi antisismiche, realizzate in marmo di Carrara, che assicurano il massimo isolamento delle statue nei confronti delle sollecitazioni dei terremoti nelle direzioni orizzontali e verticale. Per ciascuna statua è stata realizzata una base costituita da due blocchi di marmo sovrapposti; su entrambe le superfici interne dei due blocchi sono state scavate - in modo speculare - quattro calotte concave, nel mezzo delle quali sono collocate quattro sfere, anch'esse di marmo. Le calotte concave e le sfere di marmo svolgono la funzione antisismica, e la loro dimensione viene definita in fase di progettazione in rapporto al grado di protezione sismica necessaria. Tra i due blocchi sono installati anche elementi dissipativi in acciaio inox per l'isolamento sismico da oscillazioni nella direzione verticale. La realizzazione delle basi in marmo si presta come la più compatibile con il bronzo delle statue, ed i dispositivi installati richiedono una manutenzione minima. In presenza di un terremoto sarà la parte sottostante della base a subire l'azione sismica, e si potrà muovere con il terreno senza trasmettere alla parte superiore le sollecitazioni, in quanto completamente assorbite dal movimento delle sfere all'interno delle cavità ricavate nel marmo. Il movimento delle sfere rende il sistema di protezione poco rigido e con un attrito molto ridotto, caratteristiche che minimizzano o rendono quasi nulle le sollecitazioni. Il sistema è particolarmente adatto per le statue sviluppate in verticale, come i Bronzi di Riace, o il David di Michelangelo, che hanno una base di appoggio molto ridotta e che quindi presentano nelle gambe il loro punto di maggiore vulnerabilità anche alle minime oscillazioni, che ne possono compromettere l'integrità strutturale e causare il ribaltamento[5].

Nel dicembre del 2013, i Bronzi sono finalmente tornati nel museo di Reggio, esposti in un'apposita stanza completamente asettica, alla quale possono accedere poche persone per volta dopo essere passate da una stanza con un filtro per i germi.

Ipotesi sulla datazione, sulla provenienza e sugli artefici

I due bronzi sono quasi certamente opere originali dell'arte greca del V secolo a.C., e dal momento del ritrovamento hanno stimolato gli studiosi alla ricerca dell'identità dei personaggi e degli scultori. Ancora oggi non è stata raggiunta unanimità per quanto riguarda la datazione, la provenienza e tanto meno gli artefici delle due sculture.

Tra chi sostiene che si tratti di opere realizzate in tempi diversi qualcuno afferma che la parte superiore della statua A appare alquanto statica, ricordando alcuni modi dello Stile severo della prima metà del V secolo a.C., mentre la statua B, con la sua esatta e naturale presenza nello spazio, sarebbe dimostrazione di quel superamento di rigidezza nella figura, che la scultura greca incominciò a presentare solo nel corso della seconda parte del V secolo a.C.; ciò ha portato a ipotizzare che la statua A potesse essere opera di Fidia o della sua cerchia, realizzata intorno al 460 a.C. e che la statua B fosse da collegare a Policleto, nella torsione del busto e nella posizione di riposo della gamba sinistra, realizzata perciò alcuni decenni dopo, verso il 430 a.C. Nella ricerca degli scultori, sono stati fatti anche i nomi d'altri famosi bronzisti dell'antichità, fra i quali Pitagora di Reggio, attivo dal 490 al 440 a.C., scultore di molte statue ricordate in Grecia e Magna Grecia, che fu capace per primo di rappresentare minutamente sia i capelli che altri particolari anatomici, come ad esempio le vene.

Insieme alle congetture sui possibili scultori, si sono formulate ipotesi che riguardano da una parte l'identità dei due personaggi raffigurati, dall'altra le località del mondo di cultura greca che aveva ospitato le opere. Per quanto concerne l'identità dei soggetti, certamente ci troviamo di fronte a raffigurazioni di divinità o eroi, perché la realizzazione di statue del genere era sempre dovuta alla committenza di una città o di una comunità che intendeva celebrare i propri Dei o eroi, impegnando un artista, per oltre un anno di lavorazione per ogni statua, e in più, mettendogli a disposizione un materiale, il bronzo, molto costoso. Fino ad oggi, le ipotesi fatte sull'identità dei personaggi, citando divinità ed eroi dell'antica comunità greca, non essendo sostenute da indizi reali, non hanno potuto risolvere gli interrogativi posti dai due Bronzi.

Riguardo alle località che anticamente possono aver ospitato le statue (al di là dell'ipotizzata provenienza da Reggio stessa, Locri Epizefiri, Olimpia o Atene), si è seguito l'indizio reale costituito dai tenoni ancora presenti, al momento del ritrovamento, sotto i piedi dei due Bronzi – usati originariamente per ancorarli a basi di pietra. I calchi dei tenoni, seguendo una delle ipotesi più affascinanti, sono stati trovati nei Donari del Santuario di Apollo a Delfi, dove però non hanno trovato collocazione giusta in nessuna base di monumento ancor oggi esistente, facendo restare non dimostrata anche l'ipotesi della provenienza di almeno una delle due statue dal complesso degli ex voto che, ai lati della Via Sacra del Santuario, comprendeva al tempo un centinaio di statue d'eroi della comunità greca.

Come l'attribuzione dello scultore e l'identificazione delle due statue, è ancora incerta la località di partenza del viaggio di queste statue, perché la nave che li trasportava si trovava lungo una rotta marittima normalmente seguita tra Grecia, Magna Grecia e Italia tirrenica (e viceversa); naturalmente non si hanno poi indicazioni sulla destinazione del trasporto.

Qualcosa si può dire in merito alla presenza delle due statue su una nave che fece naufragio, o che si liberò del peso delle due statue per non affondare, in quel tratto della costa calabra. Infatti le due statue sono praticamente integre (non in pezzi com'erano invece quelle, avviate alla fusione, della nave della Testa del Filosofo), ed hanno ambedue i tenoni in piombo alla base dei piedi che indicano come fossero state in precedenza fissate su basamenti, quindi esposte in pubblico; prendendo in considerazione tutto questo si può verosimilmente pensare che la nave facesse un trasporto per traffico antiquario di statue che non erano più riconosciute come simboli ma considerate solo come opere d'arte. Come conseguenza di questa ipotesi del commercio antiquario, si può anche ipotizzare l'arco di tempo nel quale avvenne il trasporto e l'affondamento delle due statue: tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., quindi durante il periodo in cui fu forte l'innamoramento romano per la cultura greca.

Descrizione e stile

I Bronzi di Riace presentano una notevole elasticità muscolare essendo raffigurati nella posizione definita a chiasmo. In particolare il bronzo A appare più nervoso e vitale, mentre il bronzo B sembra più calmo e rilassato. Le statue trasmettono una notevole sensazione di potenza, dovuta soprattutto allo scatto delle braccia che si distanziano con vigore dal corpo. Il braccio piegato sicuramente sorreggeva uno scudo, l'altra mano certamente impugnava un'arma. Il bronzo B ha la testa modellata in modo strano, appare piccola perché consentiva la collocazione di un elmo corinzio. Il braccio destro e l'avambraccio sinistro della statua B hanno subito un'altra fusione, probabilmente per un intervento di restauro antico.

Lo studio dei materiali e della tecnica di fusione rivela comunque una certa differenza tra le due statue, che secondo alcuni potrebbero essere attribuite ad artisti differenti o realizzate in epoche distinte oppure da uno stesso artista in luoghi differenti.

A seguito del restauro terminato il 14 Giugno 1995, il materiale interno ai Bronzi ha rivelato la tecnica usata per realizzare la forma delle due statue. Si è appreso che, intorno al simulacro iniziale, il modello finale (prima del perfezionamento nei dettagli con la cera), fu realizzato sovrapponendo varie centinaia di strisce d'argilla, rese facili da manipolare perché vi erano stati mescolati peli d'animali. Era questo un modo di lavoro particolarmente difficile e lento, che però alla fine riusciva a far crescere nel modo voluto le masse del corpo e dei muscoli, come dimostrano le stratificazioni concentriche dell'argilla trovata nelle gambe e nel torace dei due Bronzi. Il materiale, argilla costituita da prodotti di disgregazione di rocce calcaree, recuperato dall'interno delle statue durante l'ultimo restauro (quasi 60 kg per statua), per la prima volta è stato conservato per restare a futura disposizione per approfondimenti tecnici[N 1].

Prime ipotesi (1979-1992)

Tra il 1979 e il 1982 W. Fuchs ipotizzò che le due statue appartenessero al donario degli Ateniesi a Delfi, e che fossero opera di Fidia. Con questa opinione concordano Alberto Busignani, Antonio Giuliano e Maurizio Harari. Le opere sarebbero state realizzate verso la metà del V secolo a.C.

Nel 1982 Carlo Odo Pavese lanciò l'ipotesi che le statue ritraessero due oplitodromi, e che fossero opera di due distinti artisti attici. 470-460 a.C.per il bronzo A, 430 a.C. per il bronzo B.

Hans Peter Isler, nel 1983 e Paolo Enrico Arias nel 1984 pensarono a due eroi ateniesi, opera di Fidia il bronzo A, verso il 460-450 a.C. e della sua scuola il bronzo B, realizzato un trentennio dopo.

Ipotesi di Rolley

Nello stesso 1983 Claude Rolley, professore emerito dell'Università di Bourgogne e tra i massimi studiosi di statue bronzee, sostiene che il bronzo A rappresenterebbe un eroe eponimo attico, scolpito da un artista ateniese verso il 460 a.C.; mentre il bronzo B sarebbe un altro eroe eponimo attico, scultura di provenienza della scuola fidiaca, con una datazione al 430 a.C. La ricostruzione offerta dal Rolley è differente dalle precedenti, poiché la statua A sarebbe stata realizzata senza l'elmo, data la presenza di un perno tagliato e ribattuto per sostenere forse una protezione della testa dagli escrementi degli uccelli, e la fascia all'altezza delle tempie avrebbe invece il significato iconografico di un diadema, simbolo di un re attico.

Ma l'ipotesi di un "meniskos" non sembra reggere alla prova dei fatti, essendo chiaro che un perno usato per sostenere l'elmo corinzio si sia rotto e sia stato sostituito da un altro più robusto, rinvenuto in effetti al centro della testa. Riguardo al diadema poi, i segni sulla testa mostrano la presenza di un elmo che copriva quasi totalmente la fascia, negando dunque anche questa ipotesi. Inoltre le due fasce pendenti di cui sono dotati i diademi in tutte le loro rappresentazioni non sono presenti nella statua A, dove invece la fascia sembra essere la protezione tra la testa e l'elmo del personaggio

Ipotesi di Paribeni

Affermando con chiarezza che il Bronzo A non sia di fattura attica, Enrico Paribeni indaga nella tanto celebrata scultura magnogreca, di cui però oggi non rimane molto. Considerando dunque con maggiore attenzione il luogo del rinvenimento (nella Locride reggina) e respingendo l'ipotesi di un possibile abbandono del carico da parte di una nave di passaggio, Paribeni ritiene che il Bronzo A rappresenti un eroe, forse Aiace Oileo, scolpito da un artista peloponnesiaco tra il 460 e il 450 a.C.; mentre il Bronzo B uno stratego, scolpito da un artista dell'ambito attico tra il 410 e il 400 a.C. La supposizione che la statua A raffiguri Aiace Oileo avrebbe come unica prova quella di essere "eroe nazionale" dei Locresi Ozoli della Grecia, i quali potrebbero essere tra i fondatori della Locri nella provincia reggina. Inoltre Paribeni si accosta ad altri che individuano tra le due statue un'ampia distanza cronologica, ritenendo il Bronzo A di stile severo ed il Bronzo B di stile classico maturo.

Ma se tale considerazione deriva dalla conoscenza che si ha della storia della scultura in ambito ateniese, non si può dire lo stesso di quella occidentale, dato che opere di scuole artistiche differenti da quella attica (peloponnesiaca, magnogreca e siceliota) hanno avuto un'evoluzione abbastanza differente. Inoltre riguardo alla statua B Paribeni non ha un'ipotesi chiara, tant'è che incorre in errore supponendo che essa possa aver impugnato una spada con la mano destra, contrariamente a quanto è stato accertato, cioè che la statua portava una lancia.

Ipotesi di Di Vita

L'archeologo italiano Antonino Di Vita avanza una originale ipotesi ritenendo che i due bronzi raffigurino degli atleti vincitori nella specialità della corsa oplitica (corsa con le armi); la statua A sarebbe opera di un artista attico, forse Mirone, datata al 460 a.C., mentre la statua B di un altro artista attico, eseguita intorno al 430 a.C. L'ipotesi di Di Vita è legata alla ricostruzione di elementi mancanti nelle due statue, che lo studioso sostiene aver individuato nella presenza ipotetica del simbolo di una vittoria olimpica (ad es. un ramo d'ulivo o d'alloro) tenuto nelle mani destre dei bronzi, e nella presenza di un elmo calcidese sulla testa della statua A.

Ma i successivi studi hanno in effetti dimostrato che le statue reggevano delle lance, cosa che smentisce in maniera definitiva le ipotesi che vedono i bronzi come la raffigurazione di due atleti. Inoltre la ricostruzione presentata dallo studioso riguardo all'elmo della statua A è incompatibile con i segni presenti sulla testa, che mostrano invece la presenza di un elmo corinzio.

Ipotesi di Dontàs

L'archeologo greco Geòrghios Dontàs si accosta invece agli studiosi che - probabilmente per l'eredità culturale degli ultimi secoli intrisa di neoclassicismo - respingono la possibilità che si tratti di due opere realizzate nell'occidente greco, dando per scontato che si tratti di opere attiche, ed in particolare ateniesi. Secondo lo studioso il bronzo A rappresenterebbe un eroe eponimo ateniese, scolpito da Mirone e collocato nell'agorà di Atene; mentre il bronzo B raffigurerebbe un altro degli eroi eponimi di Atene, opera dello scultore attico Alkamenes; le due opere sarebbero dunque state scolpite entrambe verso il 450 a.C.

Ma oltre ad una poco attenta visione ellenocentrica, che respinge la scultura magnogreca e siceliota con una semplice generica affermazione, i confronti proposti dall'archeologo con alcune copie romane di opere greche, quali la testa di Zeus (copia di un'opera di Mirone), la testa di Hermes Propylaios (copia di un'opera di Alkamenes), appaiono abbastanza lontani dai due Bronzi da Riace, la cui perfezione nella resa dei capelli e della barba risulta chiaramente opera di una scuola totalmente differente. Inoltre gli indizi riguardo a una possibile collocazione ateniese delle due statue si sono dimostrati del tutto inconsistenti, anche nel caso di ipotesi che vedevano una collocazione ad Olimpia nel donario degli Achei, o l'ipotesi - molto in voga alla fine degli anni ottanta - di un'attribuzione addirittura a Fidia per il donario degli Ateniesi a Delfi, che sono state progressivamente abbandonate dagli studiosi.

Ipotesi di Harrison, Bol e Deubner

Per quanto riguarda un possibile localizzazione in Grecia delle statue, si sono espressi anche altri studiosi. Ad esempio nel 1985 E. Harrison, ritiene che i due bronzi, opere di Onata eseguite tra il 470 ed il 460 a.C., appartengano al donario degli Achei ad Olimpia, cosa che esprimono l'anno seguente anche P.C. Bol e O. Deubner.

Ipotesi di Stucchi

Secondo l'ipotesi avanzata dall'archeologo Sandro Stucchi, i bronzi rappresenterebbero entrambi il pugile Euthymos da Locri Epizephiri, ritratto: nella statua A scolpito poco dopo il 470 a.C. da Pitagora di Reggio come "vincitore aTemesa"; mentre nella statua B scolpito da un artista magnogreco poco prima del 425 a.C. che lo avrebbe eroizzato dopo la morte presentandolo come un pugile. Il mito vuole infatti che Euthymos abbia prima sconfitto un demone che terrorizzava gli abitanti di Temesa, e poi vinto le olimpiadi nella specialità del pugilato. Ciò ha portato lo Stucchi per primo a formulare un'ipotesi che consideri le due statue nell'insieme, affermando che una probabile cuffia da integrare sulla testa del Bronzo B (visibile sotto l'elmo corinzio anticamente presente sulla statua), sarebbe l'elemento caratterizzante dell'iconografia del pugile, quindi corrispondente al mito di Euthymos.

Ma osservando attentamente il copricapo dei pugili, ci si accorge che esso appare iconograficamente molto diverso, con due lembi laterali molto lunghi e senza il paranuca, elemento caratterizzante invece dell'elemento sul bronzo B.

Ipotesi di Holloway

L'archeologo americano R. Ross Holloway pubblica nel 1998 un'ipotesi secondo cui i bronzi sono la rappresentazione di due ecisti (fondatori) di città della Sicilia (probabilmente Gela, Agrigento oCamarina). Inoltre egli ritiene che esse siano opere realizzate intorno alla metà del V secolo a.C. da un bronzista siceliota.

Ipotesi di Ridgway

Contrariamente a tutti gli altri studiosi, nel 1981 B.S. Ridgway ritiene che i Bronzi siano di epoca romana, e che raffigurino due guerrieri di un poema epico, prodotti di scuola eclettica e classicistica realizzati tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., ma la statua B più recente di circa venti anni.

Ma l'ipotesi non ha trovato reali prove, nata probabilmente dal fatto che nelle due statue mancano i caratteri attici, non ha infatti avuto l'adesione di alcun altro studioso. Inoltre lo spessore del bronzo delle statue è così esiguo da non corrispondere alle opere d'epoca romana.

Nuove ipotesi (dopo il 1995)

Gli elementi forniti dal nuovo restauro sono stati oggi uniti agli studi sull'esegesi eseguiti da Stucchi riguardo agli attributi delle due statue andati perduti. Egli, attraverso articoli scientifici ha sgombrato il campo internazionale da alcune fantasiose ipotesi avanzate dagli archeologi, riconducendo dunque all'obiettività scientifica gli elementi da ricostruire.

Ciò ha portato ad un'analisi esclusivamente scientifica delle fonti storiche, dei materiali e degli stili, che ha permesso a Paolo Moreno e Daniele Castrizio di formulare due nuove ipotesi, probabilmente molto vicine alla realtà dei fatti.

Tali ipotesi sono avvalorate da considerazioni tecnico-scientifiche, a differenza delle precedenti congetture scaturite dagli ottimi, ma pur sempre soggettivi, occhi degli esperti in materia.

Il fatto che le statue appartengano al medesimo gruppo viene indicato dai risultati dell'ultimo intervento di restauro eseguito tra il 1992 e il 1995 dall'Istituto Centrale per il Restauro. In seguito alla rimozione della terra di fusione all'interno delle statue, per evitare che il metallo si corrodesse, i campioni di materiale hanno permesso di effettuare nuovi studi e dunque di formulare una nuova e più accreditata ipotesi.

Ipotesi di Moreno

La strada seguita da Paolo Moreno, che sembra essere riuscito a fissare dei punti fermi su un numero consistente di dati certi, riguarda lo studio delle terre di fusione e di probabili documenti storici.

Tenendo conto delle precedenti ipotesi di attribuzione, Moreno scarta l'ipotesi, per quanto riguarda la statua A, che si possa trattare di un eroe o un atleta, data la sua raffigurazione in atteggiamento "ostile"; mentre la forte carica emotiva nell'espressione facciale della statua B escluderebbe la raffigurazione di un personaggio storico. Piuttosto le statue sembrano essere le rappresentazioni di personaggi mitologici, appartenenti allo stesso gruppo statuario.

Effettuando studi approfonditi sulla terra di fusione e sui documenti storici, Moreno ha formulato una buona ipotesi sulla provenienza e la datazione delle due statue. In particolare:

    • Il Bronzo A (il giovane) potrebbe raffigurare Tideo, un feroce eroe dell'Etolia, figlio del dio Ares e protetto dalla dea Atena.

    • Il Bronzo B (il vecchio) sarebbe invece Anfiarao, il profeta guerriero che profetizzò la propria morte sotto le mura di Tebe.

Tutti e due infatti parteciparono alla mitica spedizione della città di Argo contro quella di Tebe(episodio noto come i Sette contro Tebe) che, come lo stesso Anfiarao aveva previsto, ebbe conclusione disastrosa.

Identificazione degli artisti

Analizzando la terra estratta dai fori nei piedi, si scoprì che quella presente nel bronzo B proveniva dall'Atene del V secolo a.C., mentre quella presente nel bronzo A dalla pianura dell'antica città di Argo risalente allo stesso periodo. Dallo stesso studio si evince che le statue furono fabbricate con la fusione diretta, un metodo poco usato che non consentiva errori quando si versava il bronzo fuso perché dopo, il modello originale andava per sempre perduto.

Dunque la provenienza della terra e l'analisi della tecnica usata inducono a pensare che:

    • l'autore del bronzo A (Tideo, il giovane) sia Agelada, uno scultore di Argo che lavorava presso il santuario di Delfi verso la metà del V secolo a.C. Tideo assomiglia molto alle decorazioni presenti nel tempio di Zeus a Olimpia.

    • Moreno conferma l'ipotesi dell'archeologo greco Geòrghios Dontàs riguardo al bronzo B (Anfiarao, il vecchio) affermando che a scolpirlo fu Alcamene, originario di Lemno, onorato dicittadinanza ateniese per la sua bravura artistica.

Esame dei documenti storici

Non meno importante è lo studio dei documenti storici di Pausania, che scrisse una sorta di guida turistica della Grecia tra il 160 e il 177. Pausania descrive un monumento ai Sette contro Tebenell'agorà di Argo, gli eroi che fallirono l'impresa, e gli Epigoni (i loro figli) che affrontarono nuovamente l'impresa con successo. Il monumento ad Argo comprendeva una quindicina di statue, delle quali facevano parte i due Bronzi di Riace, adornate di lance, elmi, spade e scudi (lo si evince sia dalla posizione delle braccia che dal ritrovamento successivo del bracciale di uno scudo in bronzo, sugli stessi fondali di Riace).

Ipotesi di Castrizio

Dagli studi effettuati sui segni lasciati dagli attributi mancanti sulle statue e dallo studio dei documenti storici, l'archeologo Daniele Castrizio ha formulato una nuova ipotesi sull'identificazione delle statue e dell'artefice. Egli ritiene infatti che si possa trattare dell'originale del gruppo statuario di Eteocle e Polinice, opera di Pitagora di Reggio, scultore celebrato nell'antichità poiché:

Bronzi di Riace

In primo piano Guerriero A (il giovane),

in fondo il Guerriero B (il vecchio)

Autore

Data

Materiale

Altezza

Ubicazione

Il ritrovamento delle statue il 16 agosto 1972

Divenuti ormai tra i simboli della città diReggio Calabria, i Bronzi di Riace sono custoditi al Museo nazionale della Magna Grecia.

Francobolli delle Poste Italiane raffiguranti i Bronzi di Riace

Guerriero A, probabilmente Tideo oPolinice.

Guerriero B, probabilmente Anfiarao oEteocle.

Vaso greco raffigurante una corsa di oplitodromi

Hermes Propylaios di Alkamenes

Mappa del sito di Olimpia. Al centro (n° 17) il Donario degli Achei.

« capace di rendere come nessun altro i riccioli di barba e capelli, e per fare "respirare" le statue, cioè rendere perfetta l’anatomia dei vasi sanguigni »

Eteocle e Polinice

(Plinio il Vecchio, XXXIV 59)

In particolare secondo il Castrizio:

    • il Bronzo A (il giovane) potrebbe raffigurare Polinice

    • il Bronzo B (il vecchio) sarebbe invece Eteocle

I bronzi di Riace si presentano integri nella loro "nudità eroica", stando dunque ai segni presenti sulle due statue si deduce che gli elementi che sicuramente facevano parte dell'iconografia sono:

Dunque non raffigurati come atleti, re, filosofi o divinità, ma essenzialmente come dei guerrieri eroizzati. Osservando le due statue inoltre, in base alle proporzioni e alla loro reciproca somiglianza, si deduce che esse appartengano chiaramente ad un unico gruppo statuario, concepite dall'artista volutamente ed estremamente somiglianti tra loro.

La testa del bronzo A

Analizzando con attenzione due elementi chiave sulla testa del bronzo A, appaiono chiari degli indizi di fondamentale importanza per dedurre quale fosse l'aspetto che la statua aveva in origine. La grossa fascia presente poco più in alto delle tempie non può essere infatti né un diadema né lo spazio per una corona d'alloro (come si era precedentemente ipotizzato), ma si tratta piuttosto di una fascia di lana che più semplicemente serviva a proteggere la testa del guerriero dal contatto con l'elmo metallico permettendo di appoggiarlo agevolmente. La fascia infatti non è liscia, ma presenta una sporgenza triangolare con la punta in alto: elemento che combacia perfettamente con l'angolo presente su ogni elmo corinzio tra il paranuca e le paragnatidi. Sulla nuca è inoltre visibile una larga base di appoggio, ulteriore segno del paranuca dell'elmo. Riguardo al foro con il perno in bronzo presente sulla sommità della testa sono state formulate molte strane ipotesi (tra cui anche la ipotetica presenza di un ombrellino per proteggere la statua dagli escrementi degli uccelli), ma più semplicemente Castrizio afferma che il perno serviva a fissare l'elmo corinzio, il quale avendo pochi punti d'appoggio non sarebbe così stato spostato da urti o eventi atmosferici. Dunque la statua A portava in origine un elmo corinzio, collocato in posizione rialzata sulla fronte (come era consuetudine fare nella rappresentazione di un guerriero eroizzato) affinché si vedesse il volto altrimenti coperto. L'effetto realistico dei capelli, fusi uno ad uno, che si intravedevano da sotto l'elmo doveva in effetti essere notevole.

La testa del bronzo B

Nel bronzo B l'artista non ha seguito gli stessi criteri adottati per l'altra statua, nella nuova scultura infatti la stabilità dell'elmo "appoggiato" sulla testa era garantita dalla forma innaturalmente allungata della calotta cranica, che però in tal modo manteneva saldo l'elmo sulla testa. D'altro canto questa maggiore sicurezza nel fissaggio dell'elmo avrebbe comportato la perdita del realismo che caratterizzava l'altra statua non potendovi scorgere i capelli sotto l'elmo. Ma proprio qui lo scultore sembra nuovamente stupire, poiché l'elemento realistico che caratterizza la statua B è dato da un altro particolare: non dai capelli ma da qualcosa che li ricopre. All'altezza dei fori per gli occhi dell'elmo corinzio la testa presenta un alloggiamento per untassello rettangolare con delle ribattiture che lo rendono pieno di puntini, proprio sulla fronte poi si vede un triangolo che copre i capelli con le medesime ribattute che simulano il tipico aspetto della pelle animale conciata. Se ne deduce chiaramente che il bronzo B aveva tra la testa e l'elmo una specie di cuffia di cuoio. Questa sorta di caschetto in pelle è testimoniato da altri segni nel bronzo, infatti le orecchie presentano il foro di un chiodo per fissare un elemento aggiunto a parte, e la barba è profondamente segnata da un incavo che sembra segnalare un sottogola allacciato sotto il mento.Partendo da questi segni evidenti alcuni studiosi hanno in precedenza ipotizzato che la statua portasse un caschetto da pugile, concludendo che si trattasse di un atleta raffigurato come guerriero (e dunque si sarebbe trattato di Eutymos da Locri Epizefiri, pugilatore ed eroe, opera dello scultore Pitagora di Reggio); ma non tutto concorda perfettamente con tale ipotesi. Innanzitutto i caschetti di cuoio dei pugili (o dei pancraziasti) hanno una strana forma con lunghissimi paraorecchi e privi di lacci e paranuca "a ricciolo"; inoltre, anche volendo accettare tale interpretazione, i segni presenti sulla statua non troverebbero adeguata spiegazione, come i tre appoggi uno dei quali sotto la nuca, al di sotto dell'appoggio dell'elmo, gli altri due dietro le orecchie; dunque si tratta di segni molto evidenti che necessitano di un'analisi più accurata.

Sulle monete in corso nel V e IV secolo a.C. al di sotto dell'elmo corinzio viene raffigurato un caschetto di cuoio (in greco kynê) con paraorecchie ed un particolare paranuca "a ricciolo". Dunque sembra essere questo l'elemento chiave che mancava all'analisi del casco di cuoio. L'esempio più completo lo si trova su un vaso attico del Guglielmi painter che raffiguraEttore munito di elmo corinzio, con sotto la kynê con paraorecchie, laccio e paranuca a ricciolo. L'elemento recuperato diventa così importantissimo ai fini della ricostruzione e dell'interpretazione delle statue, perché la kynê è il segno che contraddistingue lo stratego, il generale dell'esercito di una polis greca. Il nostro bronzo B allora è stato caratterizzato per farlo riconoscere dai contemporanei come il comandante di un'armata.

Gli scudi e le armi

La ricostruzione degli scudi (andati perduti come gli elmi) imbracciati dalle due statue si rivela più semplice, infatti è ancora presente sul braccio sinistro di ambedue le statue il porpax che serviva ad imbracciare lo scudo, e le maniglie che erano strette nelle mani per rendere più salda la presa. Contrariamente a quanto sostenuto in precedenza, la dimensione degli scudi doveva essere abbastanza grande per permettere a chi guardava le statue di riconoscere l'hoplon, pesante scudo tipico dell'oplita delle poleis del V secolo a.C.

Riguardo alle armi che i due bronzi tenevano nelle mani, sono state moltissime le ipotesi formulate in precedenza dagli studiosi: si è detto rami d'alloro, una spada, oppure un giavellotto di cui sarebbero stati riconosciuti nella mano i segni per il fissaggio di una corda che serviva ad aumentare la propulsione e la precisione dell'arma. Tale ipotesi però cade nel momento in cui dalle fonti emerge chiara la scarsa considerazione nella quale si tenevano le armi da lancio, che non permettevano di mostrare il proprio valore. Sarebbe infatti improbabile che lo scultore avesse voluto mostrare un personaggio sminuito nella sua dignità, come un lanciatore di giavellotto, che non aveva una parte importante nell'ambito della battaglia oplitica. È chiaro pensare dunque che l'arma tenuta in mano fosse una pesante lancia oplitica, della quale infatti rimangono anche i segni dell'appoggio sull'avambraccio. Si vede chiaramente che il bronzo A teneva la lancia tra l'indice e il medio, con un gesto che permetteva di non fare toccare terra la seconda punta dell'arma, per non rischiare di "spuntarla" (dunque un altro particolare di estremo realismo eseguito dallo scultore), in mancanza di appoggio i perni fissati nelle dita per sorreggere la lancia hanno fatto erroneamente pensare alle corregge del giavellotto. Il bronzo B invece teneva la lancia in un modo più normale, mantenendola nel palmo della mano.

L'esame dei documenti storici

Se nella tragedia attica dei Sette a Tebe di Eschilo i due fratelli Eteocle e Polinice si uccidono senza l'intervento della madre, e nell'Edipo re di Sofocle ella si suicida quando comprende di aver sposato il figlio, il mito magnogreco opera di Stesicoro riporta la tradizione secondo cui Giocasta non si suicida, ma tenta di dividere i figli nel momento in cui i due si affrontano.

Quest'ultima versione del mito è raffigurata con tutti i personaggi in una serie di sarcofagi attici. Al centro della scena, mentre i due si fronteggiano, la vecchia madre tenta di dividerli, scoprendo i propri seni per ricordare loro di aver succhiato lo stesso latte e di essere dunque fratelli.

Alcuni studiosi ritengono che la scena rappresentata sui sarcofagi copi un celebre gruppo statuario dell'antichità:

un elmo corinzio

moneta del IV secolo a.C.: è visibile il paranuca "a ricciolo" sotto l'elmo corinzio.

« Infatti non è difficile che il fratricidio sia tenuto in onore presso di voi, che, vedendo le statue di Polinice e di Eteocle, non distruggete il ricordo di quell’infamia, seppellendole con il loro autore Pitagora »

(Taziano, Adversos Graecos (Contro i pagani), 34, p. 35, 24, trad. di A. De Franciscis)

Che tale opera sia tramandata attraverso i sarcofagi è stato provato e confermato dagli studiosi, ma la cosa più sorprendente è il fatto che i due fratelli rappresentati sui sarcofagi siano estremamente simili nella composizione ai due Bronzi da Riace, in una posa simmetrica che ricorda la loro comune origine; inoltre alcune di queste rappresentazioni, mostrano la smorfia di Polinice che digrigna i denti, perfettamente corrispondente a quella della statua A.

Tabelle riassuntive

Ipotesi formulate tra il primo e il secondo restauro (1979-1995)

Ipotesi formulate dopo l'ultimo restauro del 1995

Si scarta l'ipotesi che si possa trattare di atleti e di personaggi storici, mentre va consolidandosi l'ipotesi che si tratti di due figure mitologiche dei Sette contro Tebe.

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GREECE - ancient art wasn't black&white

amarildo topalis

Uploaded on Dec 9, 2009

Its a video about ancient art, every statue had colors.

by Amarildo Topalis

duration 07:30 minutes

https://www.youtube.com/watch?v=dixoeGWkWwM

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Painting on Greek Statues 2

murrheather13

Published on Nov 25, 2012

Second attempt to get my video to work for my art history professor.

duration 04:12 minutes

https://www.youtube.com/watch?v=fIPjFYukyhM

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for more information, please visit the "The polychromy of Greek and Roman sculpture and architecture" web page

( please using the right click of your mouse, and Open Link in Next Private Window, )

The polychromy of Greek and Roman sculpture and architecture

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