Sintesi del mio intervento alla presentazione del Premio Marcantonio Sabellico - Vicovaro 10.05.2015.
L'origine medievale dei nostri borghi ci fa spesso trascurare l'importanza del rinascimento nel loro sviluppo civile e urbano.
Con il Sabellico però siamo costretti a tenerne conto e parlarne.
Dal punto di vista del territorio del Parco dei Monti Lucretili possiamo dire che l'epoca del rinascimento è testimoniata dalla costruzione del tempietto di S. Giacomo a Vicovaro, dagli scritti del Sabellico e dunque dalla nascita e dallo sviluppo dell'umanesimo, che culminerà a fine 500, inizio 600, con il lavoro di studio e di ricerca scientifica sul campo, portata avanti da Federico Cesi nel territorio dei Monti Lucretili. E qui azzardo, mi permetto di suggerire un'ipotesi di lavoro per il prossimo anno, con questo titolo: “Dal Sabellico a Federico Cesi, tra Vicovaro e i Monti Lucretili, dall'umanesimo alle origini della scienza moderna”
Il Sabellico sceglie di allontanarsi da Vicovaro, dai Monti Lucretili, dalla Valle dell'Aniene, per trasferirsi a Venezia dove potrà meglio dedicarsi al suo lavoro di storiografo, di filologo, di scrittore ed anche di poeta, ma in lui è sempre vivo il legame con il territorio delle sue origini.
Come rappresentante del Parco dei Monti Lucretili m'è toccato di ricercare qualche citazione relativa al nostro territorio, qualche descrizione dell'ambiente naturale o di fenomeni della natura. Ma il Sabellico non concede molto a questo. È concentrato nel suo lavoro di storiografo, pensa soprattutto a raccontare le glorie della Repubblica di Venezia. Ed anche come poeta, nei suoi versi prevale il racconto storiografico. Così nel Carmen sulla strage dell'Isonzo, come pure nel precedente Carmen sulla Fortificazione di questo fiume di confine. Però, nella Fortificazione dell'Isonzo, ho trovato i 15 versi iniziali, che descrivono il fiume, di grande efficacia.
Li leggo dalla traduzione di Giovanni Rita per l'edizione del premio Sabellico del 2004.
Dai monti friulani impetuoso un fiume si sparge
impervio a ciascuno, se cresce con l'acqua invernale:
e in corsa folle infuriato, trascina grandi macigni
roteando nei gorghi perfino foreste divelte,
e i lieti campi aggredisce, e le fatiche degli uomini
con giubilo abbatte, dagli argini godendo di liberarsi.
Ma dopo, quando s'incendia l'estate nel segno
del Leone, ecco allora che il fiume, impoverito,
raccoglie le acque sparse contentandosi
di proceder, se vuole, tra più modesti confini
e fender poi l'Adriatico con l'onda leggera.
E mentre la riva del fiume che volge al tramonto
è solcata dal vomere dei Carnici,
quella invece che guarda il sole nascente
gli Istriani insieme ai Dalmati arano in pace.
Grande efficacia, si, ma anche grande attualità di questi versi, se pensiamo agli attuali disastri idrogeologici. (Genova)
Ma c'è anche l'Aniene in Sabellico, egli così scrive:
“Pio II sostò a Vicovaro nel settembre del 1455, gli fu riservata una camera in una casa che dominava l'Aniene dalla quale si godeva una veduta piacevolissima che comprendeva al di là del fiume il vicino monte tutto coperto di bosco fitto e verde. I punti più bassi erano coltivati a prati e vigne che risalivano la collina sino a mezza altezza... Poi prevalgono querce ghiandifere...”
Qui c'è la descrizione del nostro ambiente, del paesaggio com'era e come è ancora , e cioè allo stesso tempo il prodotto spontaneo della natura e del lavoro dell'uomo. Diciamo il giardino italiano che hanno dipinto tanti artisti nei loro viaggi.
E come non pensare al pittore Enrico Coleman che è passato da queste parti e che ricordiamo in un sentiero a lui dedicato fra i Lucretili e i Simbruini?
E come non pensare a Orazio nell'epistola a Quinzio? :
“Devi figurarti una valle che si apre entro una lunga sfilata di monti, tutta in ombra, dove però il sole, quando spunta, illumina il lato destro e quando tramonta colora di porpora il lato sinistro: puoi non lodarne l’esposizione? Che dirti di più? Sui rovi abbondano lamponi rubizzi e more e la quercia e il leccio offrono in abbondanza ghiande al bestiame e ombra al proprietario... Sgorga poi una sorgente che genera un ruscello, le cui acque (freschissime, purissime!)...”
Le acque potrebbero essere quelle del Maricella, o del Licenza, oppure di Fonte Bandusia che Orazio descrive ancora:
“Fonte Bandusia, più luminosa del cristallo: vino schietto e fiori per farti compagnia! ... A te non arriva l’arsura atroce della canicola, offri la tua amabile frescura ai buoi stanchi dell’aratro e alle greggi al pascolo. Sarai anche tu tra le fonti più note, grazie a me che canto la foresta di querce, alta sulle rocce da cui sgorgano, sonore, le tue acque.”
Tornando al Carmen sulla Fortificazione dell'Isonzo, il Sabellico, nei versi successivi esaltarà il lavoro della fortificazione, sicuro che permetterà di sconfiggere il nemico, i turchi .
“Ora sta la fortezza turrìta, con possanza a vendicar gli oltraggi e le rapine atroci dei barbari … e le sue membra [del nemico] lasciate in pasto ai corvi del Friuli.”
Ma nel Carmen successivo, sulla “Tragedia dell'Isonzo”, dovrà prendere atto amaramente del contrario:
“… e di nessuno il nemico ebbe compassione:
e ancora le rive dell'Isonzo spumeggiarono di sangue italico.”
La delusione per la strage dell'Isonzo insieme ad altri tragici avvenimenti personali, alimenteranno un pessimismo nel Sabellico che, per Giovanni Rita nel “Sabellico 2004”, sembra precorrere il pessimismo universale di Leopardi. Io non saprei dire su questo, ma credo sia giusto rileggere l'intera opera del Sabellico, come per l'appunto scrive Rita, sotto una diversa luce da quella tradizionale, direi una luce più umana.
E allora, noi uomini contemporanei, che di tragici scontri di confine ne abbiamo registrati tanti e che ormai sappiamo, dagli insegnamenti della storia, che più che fortezze è necessario costruire ponti, potremmo immaginare di scrivere da Vicovaro nel Parco dei Monti Lucretili la nostra epistola a Marcantonio Sabellico a Venezia, e, quasi a consolarlo, e con saggezza invitarlo a qualche volta ritornare, ricordargli le bellezze dei luoghi della sua origine, di nuovo con le parole di Orazio: Caro Marcantonio, qui “si uniscono i rami di un'alta quercia e di un candido pioppo per darti riparo con la loro ombra, mentre l’acqua di un ruscello scorre rapida e saltella sul suo letto tortuoso: dì che ti portino qui vini e profumi, e il fiore effimero della leggiadra rosa finché la sorte ti concederà vita.”
(L'ottima traduzione dei testi di Orazio è di Gennaro Lopez)