«Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie», diceva Theodor Adorno. Non voglio misurarmi con un tema che ha fatto discutere molti intellettuali. A me colpì un libro che narra degli orrori del gulag: “I racconti della Kolyma” di Varlam Salamov. Qui, uno dei 55 brevi racconti, “Il mugo”, diverso da tutti gli altri, è ricco di poesia e testimonia la grande sensibilità umana conservata da un uomo che aveva vissuto 17 anni in assenza di umanità.
IL MUGO.
Nell'Estremo Nord, là dove la taiga raggiunge la tundra, fra le betulle nane, i bassi cespugli di sorbo selvatico coperti di bacche acquose di un giallo luminoso, straordinariamente grandi, tra i larici vecchi di seicento anni che raggiungono la maturità a trecento, vive un albero speciale: il mugo. E' un lontano parente del cedro, è una conifera: un arbusto sempreverde con il tronco più grosso di un braccio umano e lungo due o tre metri. E' di poche pretese e cresce abbarbicandosi con le radici nelle più piccole fessure del roccioso pendio montano. Come tutte le piante nordiche, è coraggioso e caparbio. Ha una sensibilità eccezionale.
L'autunno si attarda, dovrebbero già esserci la neve, l'inverno. Sulla bianca linea dell'orizzonte da molti giorni le nubi passano basse, bluastre, come coperte di ecchimosi. E da stamattina il vento tagliente dell'autunno si è fatto di una calma minacciosa. Presagio di neve? No. Non nevicherà. Il mugo non si è ancora coricato. E i giorni passano, non nevica, le nuvole vagano dietro le montagne, e nell'alto cielo è spuntato un piccolo sole pallido, ed è ancora autunno...
Ma il mugo si curva. Si curva sempre più basso, come sotto un peso infinito che aumenta in continuazione. Con un'estremità graffia una pietra e si comprime al suolo, stendendo le zampe di smeraldo. Si appiattisce. Somiglia a una piovra con delle piume verdi. Disteso, attende un giorno, poi un altro, ed ecco che dal cielo bianco si rovescia una neve polverosa, e il mugo sprofonda nel letargo invernale come un orso. La montagna bianca si copre di grosse bolle di neve - sono gli arbusti di mugo coricati per l'inverno.
E alla fine dell'inverno, quando la neve ricopre ancora la terra con uno strato di tre metri, e nelle gole montane le tormente hanno ammassato una neve dura che cede solo al ferro, gli uomini attendono invano i segni della primavera, che secondo il calendario dovrebbe essere giunta da un pezzo. Ma la giornata non è diversa da una giornata d'inverno: l'aria è rarefatta e secca e non si distingue in nulla dall'aria di gennaio. Per fortuna le sensazioni dell'uomo sono troppo deboli, le sue percezioni troppo elementari; d'altra parte di sensi ne ha pochi, cinque in tutto - insufficienti per predizioni e profezie.
La natura è più acuta dell'uomo nelle sue sensazioni. Ne sappiamo qualche cosa. Pensate ai pesci della razza dei teleostei che vengono a deporre le uova solo nel fiume in cui loro stessi sono stati generati. Pensate ai misteriosi percorsi delle migrazioni degli uccelli. E non sono poche le piante e i fiori barometri noti all'uomo.
Ed ecco, in mezzo allo sconfinato biancore della neve, in mezzo alla totale desolazione, d'improvviso si alza un mugo. Si scuote la neve di dosso, si raddrizza in tutta la sua altezza, leva i verdi aghi coperti di ghiaccio, appena rossicci, verso il cielo. Sente il richiamo della primavera che noi uomini non riusciamo a percepire e, prestandovi fede, si sveglia prima di chiunque altro al Nord. L'inverno è finito.
Ma può essere anche qualcos'altro: un falò, per esempio. Il mugo è troppo credulone. Detesta talmente l'inverno che è pronto a credere al tepore di un falò. Se d'inverno si accende un fuoco vicino a un arbusto di mugo tutto incurvato nel letargo, il mugo si raddrizza. Il fuoco si spegne, e la conifera delusa, piangendo di dispetto, si curva di nuovo per stendersi al posto di prima. E la neve la seppellisce.
No, non è solo il profeta del tempo. Il mugo è la pianta delle speranze, l'unico sempreverde dell'Estremo Nord. Nel bianco bagliore della neve le sue foglie aghiformi d'un verde opaco parlano del Sud, del calore, della vita. D'estate è timido e passa inosservato: tutto, intorno a lui, fiorisce rapidamente, sforzandosi di raggiungere il pieno rigoglio nella breve estate nordica. I fiori primaverili, estivi, autunnali fanno a gara per superarsi nella loro impetuosa fioritura. Ma l'autunno è vicino, ed ecco che già cadono a terra i piccoli aghi gialli che lasciano nudi i larici, l'erba dei campi si accartoccia e diventa secca, il bosco si spoglia, e allora da lontano puoi vedere nel cuore della foresta, sull'erba di un pallido giallo, sul muschio grigio, le grandi fiaccole verdi del mugo che ardono.
l mugo mi è sempre sembrato l'albero russo più poetico, molto più del tanto decantato salice piangente, del platano, del cipresso. Persino la sua legna dona agli uomini più calore.
da “I racconti della Kolyma” di Varlam Salamov - Adelphi -