Data pubblicazione: 13-ott-2009 7.58.00
Natascia, la figlia del dottor Karasik – arrestato e ucciso nel Trentasette – di tanto in tanto si metteva a cantare, sul treno. Succedeva anche di notte, talvolta, ma nessuno si arrabbiava.
Era sempre stata timida, parlava con un filo di voce, a occhi bassi, andava a trovare solo i parenti più prossimi e l'audacia delle fanciulle che osavano danzare alle feste la disorientava.
Quando scelsero chi eliminare, non la inclusero fra i pochi artigiani e dottori utili a cui salvare la vita. Non serviva a nessuno che quella ragazza sfiorita e canuta continuasse a esistere.
Un poliziotto la spinse verso la collinetta del mercato, verso tre uomini ubriachi; uno, l'attuale capo della polizia, lo conosceva da prima della guerra, aveva diretto il deposito ferroviario. Natascia non aveva ancora capito che quei tre avevano diritto di vita e di morte sulla gente. Un polizei la spintonò nella folla vociante di migliaia di uomini, donne e bambini inutili.
Presero la via dell'aereoporto sotto quella che sarebbe stata la loro ultima canicola d'agosto, costeggiando i meli polverosi ai lati della strada, urlando disperati un'ultima volta, strappandosi i vestiti di dosso, pregando. Natascia camminava in silenzio.
Non aveva mai pensato che il sangue potesse essere tanto rosso, al sole. Quando per un attimo le grida si spegnevano, oltre agli spari e ai rantoli dalla fossa saliva il rumore del sangue che scorreva e gorgogliava, scivolando sul bianco dei corpi come sui ciottoli di un fiume.
Il seguito fu la parte meno spaventosa: il crepitare sommesso del mitra e il boia dal viso semplice e buono, stremato dal troppo lavoro, che attese paziente di vederla avvicinare e mettersi sull'orlo di quella fossa gorgogliante.
Quella notte dopo aver strizzato la camicia madida, Natascia tornò in città. I morti non escono dalle tombe, dunque era ancora viva.
E mentre passava tranquilla di cortile in cortile, vide una festa sulla piazza del ghetto: un'orchestra di fiati e archi suonava la melodia triste e sognante di un valzer che aveva sempre amato; alla luce fioca della luna e dei lampioni sulla piazza polverosa era tutto un vorticare di coppie di ragazze e soldati, e il rumore dei passi si confondeva con la musica. La ragazza sfiorita provò una gioia profonda nel cuore, si sentì sicura, e da quel momento si mise a cantare, cantava in continuazione, sottovoce, nell'attesa di una felicità che sarebbe sicuramente arrivata. E se nessuno la vedeva, accennava persino qualche passo di valzer.
vedi anche
L'OCULISTA EBREA ANNA SEMEROVA SCRIVE AL FIGLIO PRIMA DI ESSERE UCCISA
(Da “Vita e destino” di Vasilij Grossman – libro 1° - cap. 46 – pag. 186)