IN BICI LUNGO IL DANUBIO
Mentre pedalo per raggiungere la stazione Termini di Roma non mi preoccupo dell’intenso traffico che mi circonda, mi dà invece qualche preoccupazione l’impegnativa pedalata lungo il Danubio, da Ulm a Budapest, che inizierò domani dopo una notte passata in treno insieme alla mia bicicletta da corsa. Sarà però motivo di soddisfazione vivere il grande fiume da solo e insieme a due amici che mi raggiungeranno in auto a Persenbeug.
Dalla città dei giovani fratelli Scholl alla città dei ragazzi della via Pàl, le pedalate sono state tante ma non monotone. Diversificate nella cadenza, sono state ricche di sorprese. D'altronde le stesse piste variano, dalla brecciosa e difficoltosa alle sterrate scorrevoli, alle velocissime asfaltate. Su di esse si pedala serenamente con il Danubio a fianco, ma il fiume può eclissarsi dietro una fitta boscaglia per poi riapparire improvvisamente nella sua maestosità. A volte invece si scopre con gradualità e t'incanta con i suoi cigni e i suoi germani; ti sorprende con le lepri che scappano verso la boscaglia, con il fagiano che cerca di nascondersi, con quella faina che sembra, essa, incantata dal mio pedalare. Quando hai qualche pedalata difficoltosa o quando accenni a scoraggiarti per qualche errore di percorso o se ti rammarichi per la pioggia insistente che t'inzuppa, il grande fiume ti ricompensa immediatamente con i suoi splendidi colori, le sue belle città, con gli uomini e le donne che ti fa incontrare. Quell'anziana e gentile signora che per indicarmi la pista migliore si fa seguire per qualche chilometro tenendo in mano due racchette e pedalando con un equilibrio migliore del mio; quella donna sportiva che per facilitarmi il percorso corre insieme a me per venti chilometri; quei giovani in tandem che pedalano forte e mi tirano e si fanno tirare fra i trenta e i quaranta chilometri orari; quei due giovani di origine magrebina che scendono dalla bicicletta per salire a piedi su una collina e ammirare meglio il paesaggio; i due amici che, provenienti dal campo di Mauthausen, ritrovano finalmente il sorriso quando mi rintracciano mentre pedalo per le vie di Persenbeug.
Ho attraversato valli silenziose, fertili pianure, meravigliosi vigneti, ma le più belle pedalate sono state quelle fra Passau e Linz proprio nel punto dove ho incontrato i due giovani magrebini, lì, grazie ad un'ansa, una collina a nord del fiume ti appare come isola senza esserlo ed il Danubio che scorre verso Linz si ritrova stretto fra due alture boscose. Fra il fiume e la verde collina a sud c'è solo una lingua di terra che contiene appena l'asfaltata ciclabile delle mie pedalate. Qui, immerso nel verde intenso, mi viene in mente l'”Imbianchino”, è così che Brecht chiamava con disprezzo Hitler, il quale oltre ad essere stato un feroce dittatore, pretendeva di essere un pittore. All'Imbianchino piaceva passare le vacanze fra gli splendidi paesaggi di Linz e voleva passarci anche la sua vecchiaia. Fortunatamente non gli è stato permesso ed ora vi circolano liberamente donne e uomini di tutte le razze.
La bicicletta che mi ha trasportato nel cuore dell'Europa è una Moser dai bei colori: il rosso, il bianco e il nero. Non mi ha dato problemi, neanche una foratura. Non si è mai lamentata, nemmeno quando percorreva strade più adatte ad una mountain bike. Alcuni la chiamano, anche in versi, “compagna fedele”. Non amo quest'espressione, neanche se riferita ad una donna, figurarsi ad una bicicletta ma durante questo viaggio l'ho un po' umanizzata anch'io. Tant'è che prima dell'ultima tappa, Estergom–Budapest, ho voluto premiarla facendola lavare e lubrificare per farla arrivare splendente nella capitale ungherese dove ritroverò gli amici che avevo lasciato a Persenbeug. Forse proprio perché colpito dalla lucentezza della mia Moser, un ciclista di Budapest mi ha accompagnato sorridente nella complicata entrata in città per poi salutarmi con un “Welcome to Hungary”.
Pure il signore che ci ha accolto nell'appartamento di via Kiraly si è innamorato della mia bicicletta e mi ha chiesto se volevo vendergliela. Credevo scherzasse.
Il giorno dopo, la bicicletta, mi ha accompagnato per le strade di Budapest a scoprire la più bella città del Danubio. È stato duro salire nella parte più alta di Buda, in compenso ho avuto la sensazione di raggiungere una Montmarte senza artisti ma con una chiesa neo gotica più bella del bianco Sacre Coeur. È stato naturalmente piacevole ridiscendere e poi correre in bici lungo i grandi boulevards e constatare che la capitale ungherese, per la sua autorevolezza, regge il confronto con Parigi più di Vienna.
Solo quando con i due amici prendiamo il battello per vivere la città attraverso il grande fiume, la bicicletta si riposa in camera. Ma quando arriviamo all'Isola Margherita non possiamo fare a meno di prendere in affitto tre bici da città per correre felici nei prati e fra i faggi.
Prima di lasciare l'appartamento di Budapest il signore innamorato della mia Moser torna a chiedermela. Lasciare la bicicletta proprio quando il viaggio me l'ha fatta amare di più?
A dire il vero da qualche tempo pensavo di darla via per una più nuova e più leggera e non è stato difficile cederla, felice della ricompensa che mi aiuterà ad averne un'altra più bella che pria.
Finisce a Budapest il viaggio lungo il Danubio. A me ed ai miei amici non resta che metterci in macchina e, raggiunto il suolo italiano, riservarci un ultimo piacere: andare a mangiare i cappellacci alla zucca nella città estense che ci accoglie con un gradito segnale: “FERRARA CITTÀ DELLE BICICLETTE”.