Un caffè con Tonino

«Non siamo disabili, esiste invece il contesto che ci rende non abile»

di Ivan Marri

VENEGONO SUPERIORE (miv) Tre dicembre, Giornata Mondiale della Persona con disabilità, dal 1981 occasione per promuovere i diritti e il benessere dei disabili. Abbiamo voluto parlarne con Antonio Urgesi, Tonino, il presidente della Pro Loco che dalla nascita vive in carrozzina.

Che cos'è la disabilità, chi è il disabile? E' una persona non abile in qualcosa. Chiunque è disabile in qualcosa. La disabilità non esiste. Esiste invece un contesto che ti rende «non abile». Finché non arrivo a un montascale che mi richiede un'altra persona per essere utilizzato, non c'è differenza tra noi. Esiste quindi la persona, e un contesto che crea la disabilità.

Come si rapporta la società con chi è in carrozzina o vive una situazione di disabilità? Con forte imbarazzo. Se vado al mercato, quando passo le persone smettono di parlare.

Perché? Io credo sia perché la presenza di una persona in carrozzina metta di fronte alle proprie difficoltà, alle proprie «disabilita». Purtroppo manca ancora la cultura dell'altro.

Non c'è stata alcuna evoluzione? Io sono del '63 ma vedo che per certi versi stiamo tornando indietro. Allora c'erano le «scuole protette», chiuse nel 1981, solo per disabili. Che all'epoca si chiamavano ancora «subnormali», addolcendo il «mostri» in voga nel passato. Scuole che sotto altre forme esistono ancora, dove non può esserci incontro fra «disabile» e «normodotati» perché ci sono solo i primi. Dove sta l'integrazione e l'inclusione del bambino? La cultura però è cambiata. Fino agli anni '90 non si vedeva un disabile in giro. Non uscivano di casa, la famiglia si vergognava di avere un figlio disabile, era considerata una maledizione. Poi è arrivata una nuova generazione di genitori che fortunatamente ha abbandonato quella mentalità e ha iniziato a pretendere per i propri figli il diritto a vivere una vita piena. Con l'Anno Mondiale del Disabile si è rotta la vecchia cultura, si sono aperte le porte di casa, ci sono state nuove richieste cui le istituzioni non erano, e non sono ancora, pronte. Tutt'oggi mancano le figure che possano permettere a un bambino in carrozzina disabile di frequentare la scuola come i propri compagni, spesso anche solo di arrivarci nel caso i genitori non possano accompagnarlo. E da questa carenza, la risposta «facile» delle scuole per disabili. Anche fuori dalla scuola, purtroppo, è sempre una lotta. Ci sono alcuni servizi, non sufficienti, fino ai 18 anni. Poi il nulla o quasi.

Come si può cambiare? Per quanto riguarda il rapporto tra le persone, il primo passo è che il disabile smetta di fare l'handicappato. Mi spiego: sono io che devo mettere gli altri a proprio agio quando sono con me, come chiunque fa quando incontra qualcuno. Io devo dimostrare che non è vero che una persona in carrozzina sia impossibilitata a fare qualsiasi cosa. Siamo noi per primi a dover rompere quello schema, quel pregiudizio. Anche per noi stessi. Da piccolo vivevo in una corte coi miei cugini, loro attaccavano la carrozzina alle biciclette e correvamo nei campi. Da lì ho continuato a mettermi alla prova. A 20 anni ho vissuto fuori casa, fino al '93. Andavo in discoteca, al mare, persino in moto con un amico. Ho avuto le mie esperienze, le mie avventure e i miei dolori. Ho vissuto come un ragazzo qualsiasi della mia età. Questo stimolo però deve nascere sin da piccoli, con una nuova pedagogia della disabilità.

Cos'è? Abbandonare la parola «disabile» a favore della parola «persona». Non è una questione solo lessicale, è lo strumento con cui si smette «di fare gli handicappati». Se a un bambino in carrozzina cade la matita mentre è a scuola, se può deve raccoglierla lui, non il compagno. E se continua a farla cadere la maestra lo deve sgridare. Solo iniziando a trattare sin dalla scuola tutti i bambini in maniera uguale si creerà una società, e una cultura, che non guarda alla carrozzina ma alla persona. Che capisce che il gioco inclusivo nel parco è bello solo se accanto all'altalena per la carrozzina c'è quella per chi cammina, così che si possa giocare insieme e non da soli. La sfida successiva, ma attuale, è dare al disabile la possibilità di vivere il tempo libero indipendentemente dall'aiuto degli altri. E' nel tempo libero che si creano le relazioni, le amicizie, gli amori. Si parla del Dopo di Noi, ma è più importante oggi il Durante Noi.

Tra un anno, in che contesto speri ricorra la prossima Giornata Mondiale della Persona con Disabilita? Spero di non leggere più sui giornali che un bambino non può andare a scuola perché il Comune non ha un mezzo di trasporto adatto. Perché escluso dai compagni e dalle loro famiglie, perché non c'è una persona che lo possa accompagnare in bagno quando ha bisogno. Spero che tra un anno (ma anche prima!) tutti i bambini e i ragazzi delle scuole dell'obbligo possano avere l'assistenza di cui hanno bisogno e diritto per frequentare la scuola con i loro amici. Per arrivarci i genitori devono indignarsi, devono dire no, devono pretendere che vengano rispettati i diritti del proprio figlio. Solo così si creerà una società davvero aperta.


Fonte - LA SETTIMANA 14-12-2018