Riscoprire la pedagogia della disabilità

di Claudio Imprudente - 6 settembre 2016


"La sessualità per le persone con disabilità non è più l'argomento tabù di un tempo, la società ha scoperto che anche gli 'angeli' hanno dei bisogni e dei desideri . Oggi è più facile parlare di queste cose perché c'è internet, c'è Facebook, c'è la televisione che usa la storia dei disabili per fare solo audience..."

Tra le varie letture estive che ho fatto una mi ha colpito particolarmente, un lungo articolo, molto interessante e preciso, che mette in campo una richiesta fuori dal coro...

Un articolo che tanto per cambiare parla di sessualità, disabilità, affettività e assistenza sessuale senza però banalizzarle in risposte semplici e preconfezionate ma che ci chiede di ricondurre questi temi entro una cornice più ampia, quella della vita delle persone nel suo complesso e a ridisegnare anche su questi aspetti una nuova pedagogia della disabilità.

Mi spiego meglio.

Sessualità, corpo, relazioni sono oggi temi mainstream, non più pensati per una piccola nicchia, ma temi caldi sulla bocca di tutti, che anche in questo spazio ho con voi affrontato più volte.

Che se ne parli è sempre un bene ma a fare la differenza è spesso il come.

Tonino Urgesi, ecco il nome del nostro misterioso autore, nel suo pezzo "Non ausili sessuali, ma una nuova pedagogia della disabilità", uscito il mese scorso su Superando, riconsidera proprio questo aspetto e lo fa in modo non convenzionale, motivo per cui la mia curiosità si è subito accesa.

La sessualità per le persone con disabilità non è più l'argomento tabù di un tempo, la società ha scoperto che anche gli "angeli" hanno dei bisogni e dei desideri e soprattutto che..."Oggi è più facile parlare di queste cose perché c'è internet, c'è facebook, c'è la televisione che usa la storia dei disabili per fare solo audience..."

Il rischio, per quanto io conservi una certa fiducia nei social in effetti un pochino c'è.

Altra sottolineatura importante di Urgesi è quella di non cadere nel tranello della novità, che quello dell'affettività e della sessualità sia cioè un argomento tutto contemporaneo, ricordando a tal proposito il lavoro di Cesare Padovani negli anni Settanta e il dibattito aperto in numerosi scritti e convegni.

Sull'apertura alla società di questi temi, aggiungo io, dobbiamo diverse considerazioni importanti anche ad Andrea Pancaldi, un'altra voce molto attiva in quegli anni nel settore.

Urgesi si concentra poi sull'assistenza sessuale, la battaglia del momento, una battaglia che può solo in piccola parte rispondere alle esigenze delle persone con disabilità. Anche qui l'autore non usa mezze misure:

"Il dibattito sembra oggi incagliarsi esclusivamente sulla questione del diritto all'assistente sessuale, come fosse la risposta alla vasta area che la problematica della disabilità negata o frustrata comporta. Ma la persona disabile è molto di più di un istinto sessuale. In questo modo il rischio che si corre è quello di ridurre quella persona alla sola necessità di esaurire la propria sessualità nel compimento di un atto sterile, come un coito o la possibilità di autoerotismo."

Perfettamente d'accordo.

Ma non finisce qui...Urgesi si spinge più in là, andando a mettere in campo l'esigenza, piuttosto, di costruire una nuova pedagogia della disabilità, dove la sessualità è solo una parte del percorso personale e della vita di ognuno.

"Faccio appello a una nuova pedagogia della disabilità; occorrerebbe partire dalla situazione, dal contesto, che è malsano, perché non sa accogliere non solo la sessualità del disabile, ma non sa includere nemmeno il disabile stesso, poiché la persona con disabilità diventa "vetrina" di una società basata su un modello televisivo, che è chiamato a idealizzare il bello, la perfezione. Ma se in un secondo tempo una persona "normale" si trovasse di fronte al disabile, a vivere realmente un rapporto di amicizia, questa persona fuggirebbe, perché emergerebbero in lui tutte le reali problematiche che il disabile incarna: psicologiche, emotive, fisiche.

Diciamocelo pure, senza giri di parole: il disabile produce una "fuga dell'altro", perché lo mette di fronte a una problematica, una storia, che il più delle volte non vuole conoscere, il più delle volte è una storia che spaventa, perché mette in discussione chi si avvicina alla disabilità.

La nuova pedagogia dovrebbe includere il disabile in tutte le fasi della sua vita, senza escluderlo, nemmeno dal lutto del dispiacere".

Trattare la persona come tutte le altre, quindi, con le sue difficoltà e le sue risorse, è il primo vero passo per cominciare ad approcciarsi alla sfera dell'affettività e della sessualità.

Imparare a essere individui per imparare a essere con gli altri.

Uno spunto su cui riflettere nelle fresche (si spera!) serate di settembre e il frammento di un discorso davvero ampio che ovviamente non finisce qui.

In tutto questo proliferare di nuovi termini, ruoli, immagini, modi di comunicare che spazio dare a termini come privacy e consapevolezza?

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