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Tecnologia e disabilità: i benefìci e le insidie

di Tonino Urgesi - 19 giugno 2023

«Le tecnologie si evolvono rapidamente – scrive Tonino Urgesi -, ma come potranno interfacciarsi in futuro con la realtà delle persone con disabilità? Ben vengano, quindi, tutti gli ausili che aiutano a superare le difficoltà quotidiane affrontate dalle persone, consentendo loro di vivere in autonomia un deficit, facendo attenzione, però, che questi ausili o strumenti tecnologici non annullino le proprie capacità e identità, ma che siano equilibrati e calibrati in base a ciò che realmente ci è possibile (o impossibile) eseguire»



Il mondo della persona con deficit è circondato anche da ausili, a partire dalla carrozzina, dal sollevatore, dalla comoda del bagno e molto altro, per facilitarne la vita e la quotidianità. Da qualche anno sentiamo parlare di una tecnologia davvero innovativa: metaverso, realtà virtuale, intelligenza artificiale e GPT ecc. ecc., termini ormai entrati nel linguaggio odierno. Ci chiediamo quindi: in futuro, come tutto ciò potrà interfacciarsi in un contesto disabilizzante, ossia in una realtà con disabilità?

Di primo acchito ci verrebbe da dire: ben vengano tutte le tecnologie che facilitano la vita quotidiana delle persone con disabilità e di chi le assiste, ma noi intravediamo in questo anche una certa insidia.
Come sappiamo e come già detto, gli ausili hanno sempre facilitato la vita della persona con deficit e di chi la assiste. Pensiamo alla carrozzina, che consente di vivere una vita nella società, andare a scuola, al lavoro o anche di fare sport. Pensiamo agli sportivi paralimpici o semplicemente a un ragazzino o ragazzina che oggi finalmente può praticare sport sia individuali che di squadra; consideriamo il computer stesso ormai come un ausilio anche per le persone con deficit; proviamo infatti a riflettere su quanto un semplice PC faciliti la comunicazione in tutti i sensi: dalla possibilità di inviare e-mail e messaggi, alle chat o ai social network che consentono di connettersi con gli altri ovunque essi siano e senza i quali il mondo del lavoro non sarebbe alla portata di una così vasta platea di persone che vivono in contesti disabilizzanti e non. Oppure a quanto le moderne applicazioni rendano la lettura di notizie ormai usufruibili a chi ha difficoltà, ad esempio alle persone non vedenti, grazie all’ausilio di sintetizzatori vocali, tastiere e schermi Braille.

Sin qui, dunque, abbiamo constatato quanto l’ausilio consenta di sviluppare le proprie attitudini e di relazionarsi con esse, oltreché di favorire una qualità della vita più accettabile, permettendo anche a una persona con disabilità di vivere come protagonista il proprio ruolo nella società.
Immaginiamo, però, di poter costruire un “castello totalmente domotico” dove la persona con disabilità solo con un click del mouse potrà comandare ogni cosa, dall’alzare le tapparelle a spegnere la luce o rispondere al cellulare, avviare la lavatrice, regolare il termostato… Questi ausili facilitano la quotidianità e offrono una grande opportunità per vivere quell’autonomia che molti di noi desiderano.
Eppure, trovo questo “castello” molto pericoloso, perché ogni persona ha le proprie piccole capacità di azione, di movimento, che deve esercitare, coltivare, sviluppare e che un eccessivo impiego della tecnologia potrebbe non stimolare a mettere in gioco.
È sempre positivo utilizzare un comando vocale per evitare la fatica di spostarsi per azionare un pulsante? Pertanto, il rischio che intravediamo, è che da un lato sostituisca le competenze residue della persona con disabilità e dall’altro lato che annulli la relazione con l’altro, con chi presta assistenza, con il rischio che la persona con disabilità si arrocchi in questo “castello” in cui potrebbe vivere senza doversi sforzare di confrontarsi con un mondo che oppone le sue difficoltà.

È pur vero che tale insidia non riguarda solo la realtà della persona con disabilità, ma la percepiamo per tutta la collettività. Il pericolo di perdita di competenze, perché delegate a tecnologie sempre più sofisticate, è reale e coinvolge ogni essere umano. Anche sotto il profilo della comunicazione, l’oggettività virtuale che si sta sostituendo all’uomo ci spaventa, perché elide tutto un aspetto relazionale, il quale costituisce la persona in sé: la relazione, infatti, consente di sentirsi parte del mondo, nel “mondo” dell’altro.
Questo pericolo lo possiamo già percepire intorno a noi, se siamo capaci di osservare ciò che ci circonda. Quante persone vediamo al ristorante con il cellulare in mano? La moglie con il cellulare, il marito con il cellulare e persino i figli più piccoli con i propri cellulari, tutti immersi in una realtà diversa da quella in cui sono fisicamente presenti.
Come sempre mi voglio porre un quesito: con chi, e se, stanno comunicando?
Così ci aiuta a riflettere sul tema Zygmunt Bauman, «le comunità virtuali che hanno sostituito quelle naturali creano solo l’illusione di intimità e una finzione di comunità. Non sono validi sostituti del sedersi insieme ad un tavolo, guardarsi in faccia, avere una conversazione reale. Né sono in grado queste comunità virtuali di dare sostanza all’identità personale, la ragione primaria per cui le si cerca. Rendono semmai più difficile di quanto non sia già accordarsi con se stessi. Le persone camminano qua e là con l’auricolare parlando ad alta voce da soli, come schizofrenici, paranoici, incuranti di ciò che sta loro intorno. L’introspezione è un’attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri, controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno da qualche parte forse li vuole o ha bisogno di loro».

Per tentare di tirare un po’ le fila del discorso, ribadirei che ben vengano tutti gli ausili che conosciamo e che aiutino a superare le difficoltà quotidiane affrontate dalle persone, consentendo loro di vivere in autonomia un deficit, facendo attenzione, però, che questi ausili o strumenti tecnologici non annullino le proprie capacità e identità, ma che siano equilibrati e calibrati in base a ciò che realmente ci è possibile (o impossibile) eseguire.
Oggi la tecnologia ci sta offrendo strumenti che permettono una migliore qualità della vita, ma essa si sta evolvendo rapidamente e ci prospetta addirittura un futuro dove la realtà aumentata entrerà pienamente nella nostra realtà e anche in quella delle persone con disabilità. Queste ultime come potrà aiutarle? Pur fantasticando in una dimensione di metaverso, la persona con disabilità potrà sì “abbattere il proprio deficit”, in quel mondo, infatti, potrà camminare, correre, e vivere ogni cosa che nella sua vita reale non gli è possibile. Ma prima o poi dovrà uscire da quella dimensione e tornare a fare i conti con il proprio sé e con la propria persona e questo porterebbe un risvolto molto più amaro della realtà stessa.

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