Il Sì! Maria

di Tonino Urgesi -- 08 maggio 2024









La figura di Maria ha sempre suscitato un grande fascino nel mondo artistico, religioso e non solo, ma adesso proviamo per un momento a distaccarci dall'iconografia classica di questa ragazza per vedere oltre. In questo intervento, vorrei seguire il suo percorso come narrato nei Vangeli, in particolare nel Vangelo mariano di Luca.

Le due annunciazioni

Il nostro evangelista apre il suo racconto con due annunciazioni: la prima rivolta a Zaccaria, un sacerdote del tempio; e la seconda a una fanciulla nella propria abitazione a Nazareth. Qui possiamo già notare una differenza fondamentale. Quando l’Angelo annuncia a Zaccaria la nascita di un figlio, egli rimane incredulo, poiché sua moglie Elisabetta era anziana e non poteva più avere figli. L'angelo lo ammutolisce fino a quando non proclama il nome del bambino: Giovanni.

Sei mesi dopo, lo stesso angelo va a Nazareth, di fronte a una fanciulla di cui non sappiamo nulla, tranne il nome: Maria, promessa sposa a Giuseppe, discendente dalla casa di Davide; come troviamo scritto più dettagliatamente nella genealogia del Vangelo di Matteo. Possiamo supporre, dalla tradizione del tempo, che questa fanciulla fosse giovanissima, forse che non avesse più di undici o dodici anni, poiché le ragazze in quel tempo non potevano entrare nella casa del promesso sposo prima del menarca. Non sappiamo neppure se lei frequentasse il tempio. Luca si limita a darci pochi dettagli; la fanciulla era in casa, forse intenta nelle faccende domestiche, quando le appare un angelo che le annuncia la sua maternità. Di primo acchito, possiamo notare che Maria non dubita della veridicità dell’annuncio; e qui differisce da quello di Zaccaria, infatti, lei dice: “Eccomi!”.

 

Le domande di Maria e di Mosè

Ma noi vogliamo andare oltre a quel suo “Eccomi!”. Come fa Maria così giovane a dare tutta se stessa al Signore? La fede di Maria non è cieca, incondizionata e irrazionale. Lei si interroga davanti all'angelo e anche davanti a Dio; è un dialogo alla pari tra una fanciulla e l’Altissimo. Lei si interroga sulla possibilità di concepire un figlio, dato che non conosce uomo; la ragazza nella sua domanda esprime dubbi di natura teologica al Signore; infatti, dalla risposta dell’angelo, possiamo supporre che abbia fatto altre domande, altre obiezioni. Interroga l’angelo per essere rassicurata, tanto vero è che l’angelo le dirà che il frutto del suo ventre sarà chiamato figlio di Dio e che l’ombra dell’Altissimo sarà sempre sopra di lei. Solo a quel punto lei accetta, sapendo che non sarà mai sola, e si affida totalmente a Dio.

Un altro personaggio che dialoga con Dio, chiedendogli spiegazioni, è Mosè, che chiede: “Chi sei tu? Quale è il tuo nome? Fatti vedere! E quali prove potrò dare al Faraone?" La fede di Mosè e di Maria sono contrarie a quella di Abramo e Sara; pensiamo solo all'annuncio della nascita di Isacco fatto ad Abramo, che ride incredulo, e a Sara che ride anche lei incredula, ma quel bambino arriverà comunque, nonostante l’età avanzata di entrambi. Quel loro figlio porterà il nome Isacco, che significa: “egli ha riso”. Abramo e Sara si affidano ciecamente a Dio, mentre Mosè e Maria pongono domande, dubbi, quasi volendo essere artefici di una storia più grande di loro. L’angelo non dice a Maria che vita avrà quel figlio, né parla della sua morte; solo quando ella presenterà il bambino al tempio, Simeone le dirà che una spada le trafiggerà l’anima. Abbiamo sempre dedotto che Simeone si riferisse alla crocifissione del figlio, ma possiamo anche pensare che si riferisse alla vita di Maria; a colei che crede veramente, e che quindi potrebbe legittimamente domandarsi: “Ma che senso ha tutto ciò che vivo? Perché devo subire la sofferenza dell’uomo, la morte di chi ci sta accanto?” A questo proposito mi viene in mente il grido di Giobbe, o la domanda di Gesù sulla croce: “Padre, dove sei? Perché mi hai abbandonato?” Io credo che questa sia la spada che Simeone profetizzava a Maria.

 

L’incontro con Elisabetta

Un altro momento in cui dobbiamo concentrarci su Maria è l'incontro con Elisabetta. In questo episodio, Maria si rivela in tutta la sua umanità e fragilità di giovanissima fanciulla. Proviamo a domandarci: perché la ragazza di Nazareth ha bisogno di incontrare sua cugina Elisabetta? E quanto è durato quel viaggio? E durante quel viaggio, lei quante volte avrà pensato e riflettuto sulle parole dell’angelo? Sicuramente molte volte, e probabilmente è ancora incredula o si sarà chiesta: “Perché proprio io?”. In questa domanda possiamo riassumere “il dubbio umano”. E ora come potrà dirlo ai genitori o a Giuseppe, suo promesso sposo? Chi potrebbe crederle? La chiameranno sgualdrina, la allontaneranno da casa. Tutte queste domande l’avranno assillata; ora la ragazza sente il bisogno di confidarsi, sente l’esigenza di condividere questo suo segreto.

Ora, proviamo a pensare a una ragazza dei giorni nostri. A chi confiderebbe una notizia del genere? Senz’altro a un’amica che possa capirla fino in fondo o a un’amica che abbia vissuto la stessa esperienza. Quindi Maria si reca da Elisabetta. Anche qui il dialogo è serrato, essenziale. L'incontro tra Maria ed Elisabetta, strutturato attraverso una narrazione di solidarietà tra donne, è un incontro teologico. Appena Elisabetta sente il saluto di Maria, il bambino le balza in grembo. Elisabetta è colmata dello Spirito Santo e ad alta voce saluta a sua volta Maria, dicendole che è benedetta fra le donne e benedetto il frutto del suo seno. Nel momento del saluto, Elisabetta comprende che Maria porta in grembo il figlio di Dio. In questo momento Luca, per la prima volta nel suo vangelo, usa la parola “beata”; possiamo interpretarla come la prima beatitudine. Nel suo viaggio tortuoso in questa vocazione, Maria ha bisogno di una conferma; quindi, si incontra con questa donna di un'altra generazione, di un'altra classe sociale, e tutte e due trovano coraggio nell’altra, e sigillano il loro sì a Dio. Questo ci fa capire che se incontriamo veramente “l’altro”, lo aiutiamo a vivere la propria vita e la propria fede. È significativo che uno dei momenti più teologici dei Vangeli non avvenga nel tempio di Zaccaria, ma in un dialogo intimo fra una ragazzina e una donna, in un ambiente non sacro, ma domestico. Luca sposta il centro della scena di Dio dalla storia del tempio alla "storia di una vita quotidiana", in una casa che può diventare una "chiesa" nel senso più etimologico del termine.

 

Il Magnificat

La ragazza di Nazaret, che ha tenuto testa al Signore dell'universo, non canta davanti a Lui nel momento dell’Annunciazione, ma canta il proprio cantico solo dopo l'abbraccio di Elisabetta. Questo abbraccio di riconoscimento immediatamente le fa sgorgare un canto. Maria con il suo canto conferma ancora una volta, il suo sì a Dio. Possiamo ancora sottolineare la condizione che lei pone a Dio, cioè che Lui non l’abbandoni e non la lasci mai sola nella sua vita. Il Magnificat è un canto rivoluzionario che anticipa e riassume tutta la teologia del vangelo di Luca. È un grido di gioia che scaturisce nel momento in cui la sua vocazione viene riconosciuta dall’altro. E allora Maria canta il suo canto, che è chiaramente universale, che parte dalla sua esperienza personale, per raccontare un mondo dove Dio mette sottosopra l’ordine costituito. Dove gli oppressi sono innalzati, e una ragazzina della periferia di Nazaret porta in grembo il figlio di Dio, i potenti sono spodestati, e Zaccaria è azzittito nel tempio; qui possiamo intravedere un percorso personale di una semplice fanciulla. Maria attraverso il Magnificat annuncia anch’essa la buona novella, diventando rivoluzionaria è una delle prime predicatrici. Con un linguaggio potente ma efficace, mostra l'agire deciso di Dio nella storia, mostra la realtà sognata dal Padre, anticipa il progetto di Dio; ecco il Dio nella storia della salvezza.

 

Nozze di Cana

Adesso per un attimo spostiamoci dal vangelo di Luca a quello di Giovanni. Qui la scena si apre durante un banchetto nuziale. Ancora una volta, troviamo un dialogo scarno ma essenziale, in questa circostanza tra una madre e un figlio. La madre dice: “Non c’è più vino”. In un matrimonio, come sappiamo, il vino è un elemento importante, rappresenta la festa, l’ospitalità, l’unione e il brindisi alla felicità degli sposi.

In questa situazione, chi si accorge che manca il vino? È ancora Maria, la nostra ragazza di Nazareth, quella di Luca, che sa guardare oltre. Riprende il figlio in modo pedagogico e gli dice: “Decidi cosa vuoi fare della tua vita, è il momento che tu viva la tua svolta”. È una madre decisa, con il polso fermo, che si ricorda dell’annuncio fatto dall’angelo, lei mette il figlio davanti a una scelta. Gesù tenta di sgattaiolare, tenta di procrastinare e come ogni figlio prova anche ad azzittire la madre, ma lei, fedele al suo “Eccomi!”, non ascolta nemmeno le parole del figlio, va dritta per la sua strada chiamando i servi e dicendo loro: “Fate quello che vi dirà”.

Cosa vogliono significare queste parole di Maria? Stanno a significare che la “madre” vuole far prendere coscienza al figlio; parole che vogliono dire: è il momento che tu diventi adulto, grande; e che la promessa di Dio si attui: “l’uomo nell’uomo”, osservare il mondo e vedere cosa manca; manca il vino? D’accordo, io ti do l’acqua e tu Dio mi hai promesso che non mi avresti mai lasciata da sola, e “tu” sai tramutare “questa mia acqua” in una nuova speranza per l’umanità, cioè in vino; con questa richiesta della ragazza di Nazareth possiamo azzardarci a dire che con l’acqua lei battezza il figlio, e lui la tramuta in vino, il vino della sua ultima cena. Gesù sa che non può più sottrarsi a questa nuova alleanza tra il padre e la madre. Lui ora diventa il ponte che collega le due storie: il Padre è la storia dell’universo, e la Madre è la storia dell’uomo.

Da che cosa è rappresentata in questo quadro delle nozze di Cana l’umanità? Non solo dalla ragazza di Nazareth, ma anche dai servi. Questi servi che devono riempire sei giare di acqua. L’ultima parola di Maria è: “Fate quello che vi dirà”, non penso che sia rivolta solo ai servitori, Giovanni qui, con il suo vangelo intrinseco di simbologia, ci vuole dire altro; che quella sua ultima frase la rivolge all’umanità intera; ovvero anche a noi oggi. I servi non sapevano quello che dovevano fare, ma si sono fidati di quella giovane ragazza, e hanno ascoltato il comando di Gesù, un comando di fatica di cui loro non vedevano né comprendevano lo scopo, il perché, eppure lo hanno fatto; hanno riempito quelle giare. Quanta fatica viviamo oggi senza capirne il “senso”. Credo che adesso più che mai, non serva più offrire la nostra sofferenza come espiazione a un dio; ma piuttosto prenderne coscienza, vivendo questa nostra fatica, condividendola con gli altri e gli altri con noi.

 

Ognuno di noi dovrebbe essere il sì, di Maria

   Dopo questo percorso dove si è tentato di dare un viso, un’umanità a questa giovane sposa, ci dobbiamo fare un’ultima domanda, forse la più vera: e noi? Come possiamo dire a Dio quel sì, come fece Maria? Potreste obiettarmi che oggi non ci sono più voci e angeli né Dio si rivela più all’uomo. Questo forse è vero ma io credo che ci siano persone accanto a noi che ci chiedono un sì giorno dopo giorno, esattamente come l’angelo ha chiesto il sì a quella fanciulla. Abbiamo visto nel Magnificat che il sì di Maria non è solo saper accogliere nel ventre Dio ma è ancora di più: è un sì che sa capovolgere la storia, che sovverte la visione del mondo e anche noi oggi dobbiamo saper stravolgere il mondo, il nostro mondo comodo e sottolineo troppo comodo; come Maria accoglie nel suo ventre “la promessa”, noi dobbiamo accogliere nelle nostre mani l’umanità e la sofferenza di Dio; e quindi, dobbiamo affermare il nostro sì, incontrando i crocifissi di oggi, i crocefissi della storia, che sono il nostro prossimo, “l’altro da noi”, così diventando comunione vivente per chi ha fame di giustizia e di solidarietà, per chi ha bisogno di essere accolto e sorretto, ecco come far rinascere di nuovo l’eucarestia, quel Figlio della donna di Nazaret .

Abbiamo già visto che l’angelo annuncia la nascita del figlio dell’Uomo non nel tempio ma in una realtà quotidiana, in una casa di persone comuni come ognuno di noi. Il nostro sì deve essere un assenso disinteressato, non bisogna considerare quanto o cosa ci ritorna indietro; il Padre ci ha dimostrato di sapere diventare uomo e di morire come un uomo e Maria è colei che ha saputo accogliere questo Dio uomo, questo Dio, indifeso alla nascita, e morto sulla croce.

Ora voi mi chiederete cosa vuol dire accogliere? Io con una domanda provocatoria come il mio solito, vi chiedo: cosa vuol dire accogliere un figlio? Vuol dire aprire le braccia verso quel figlio, accettandolo così com’è secondo la sua natura, col proprio aspetto e il proprio carattere, perché quel figlio non è solo un figlio ma è il frutto dell’amore ed è tuo, ecco come dovremmo accogliere l’altro, senza condizioni, ascoltando la voce dell’altro, le sue richieste e i suoi silenzi colmi di gratitudine o di sofferenza e solitudine. Ricordiamo il dialogo tra Maria e l’angelo? Chiamiamolo patto per semplificare un po’ il concetto. La ragazza gli chiese:” come può avvenire tutto ciò? “e l’angelo le rispose: “…su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo”, le promette quindi che non sarà mai sola, a quel punto la ragazza pronuncia il suo sì. Sembra che lei stia dicendo a Dio: io potrò fare tutto ciò, se tu sei con me, e mi aiuti, e mi dai coraggio e tenacia.

Per concludere questo viaggio in compagnia della ragazza di Nazareth, possiamo dire che ancora una volta ci ha spinto a essere artefici della nostra storia e a non subire la storia dei potenti, ci ha anche insegnato a stare accanto a chi ci tende una mano e a tenderla a nostra volta, vivendo così anche noi il Magnificat.