Per una pedagogia della scelta

di d.marsicano - 15 settembre 2016


Due parole in particolare meritano a mio parere una riflessione: privacy e consapevolezza, due parole che implicano una terza parola ben più complessa, autonomia.

ROMA - Rieccoci qui, a parlare ancora della nuova "pedagogia della disabilità". Ci eravamo da poco lasciati su un tema piuttosto controverso e scottante, introdotto da un bell'articolo di Tonino Urgesi, uscito qualche tempo fa su Superando, che contestualizzava il termine nell'ambito del più ampio discorso su affettività e sessualità. Due parole in particolare meritano a mio parere una riflessione: privacy e consapevolezza, due parole che implicano una terza parola ben più complessa, autonomia.

Ce ne parla proprio il nostro collega Urgesi: "E' più facile creare nuovi ausili anche per la sessualità, piuttosto che integrare un pensiero nuovo, ed eticamente scomodo; è più comodo evitare di proiettarsi a una vita indipendente, dove il disabile non sia obbligato a vivere in luoghi protetti o familiari. In una vita indipendente si possono costruire nuove prospettive e possibilità di incontrare l'altro, di incontrare chi si vuole. Un disabile deve avere la propria privacy, dove esplorare come chiunque il proprio corpo e il proprio sé".

A far la differenza e a diventare più rivoluzionario delle possibilità di accesso alla sessualità più o meno consapevole e/o esibita dunque è un più elementare principio di quotidianità, costruire la propria identità all'interno della società.

"Ecco perché mi appello a una nuova pedagogia, a un nuovo pensiero - continua Urgesi- dove tutto diventa naturale, dall'andare al bar, e poter dare un bacio alla persona di cui si è innamorati, e da lei poter anche ricevere un "no!", perché anche un "no!" è educativo, e si può dire anche a un disabile".

Non "ausili sessuali", si potrebbe allora dire, ma nuovi modelli di società e nuovi contesti. Mi trovo piuttosto d'accordo, considerando anche che, come prosegue l'autore: "Le discussioni e i dibattiti sul tema cadano in un fraintendimento, che non è proprio solo del mondo del disabile, ma di tutta la società: la confusione tra sessualità e sesso, tra affettività e compassione. Quindi la persona con disabilità non ha bisogno di ausili, ma di quella nuova società che può nascere da quella pedagogia, pensiero, che sa travolgere, ha bisogno di essere compreso, "preso con", senza snudarlo del proprio pudore".

Quello di Tonino Urgesi e della nuova pedagogia della disabilità, va comunque detto, è un punto di vista. Il dibattito è infatti acceso e contraddittorio, motivo per cui il mio pezzo, oltre a un bel rimando di Urgesi, ha scatenato subito altri contributi e risposte, cosa che mi ha fatto molto piacere.

Tra questi ho trovato particolarmente interessante quello di Valeria Alpi, giornalista con disabilità e caporedattore della rivista HP-Accaparlante:

"Non dobbiamo dimenticare che nella proposta italiana l'assistente sessuale sarà una persona che si limiterà ad accarezzare il disabile (senza rapporto sessuale completo) e a far scoprire, attraverso massaggi, il proprio corpo al disabile, a fargli capire che anche il suo corpo può provare piacere e dare piacere. Se poi il disabile lo vorrà (e qui si pone il problema dei gravi deficit mentali) i massaggi potranno passare anche alle parti intime ma senza altro. Quindi, l'idea è quella che con l'assistente sessuale il disabile diventi più consapevole del proprio corpo e più consapevole di essere una persona che può anche buttarsi nella mischia della sessualità/affettività, dove potrà ricevere dei no come anche qualunque normodotato.

Che poi oggi-aggiunge la giornalista- si parli prevalentemente di tutto questo legato al mondo della disabilità, mi rendo conto, è limitante ma, forse, non dobbiamo neanche lasciarci coinvolgere troppo dalle polemiche. Lancio infine una provocazione: se mai dovesse arrivare la figura dell'assistente sessuale in Italia, quanti disabili rimarranno a questo punto delusi? Se non si arriva all'atto completo, qualcuno potrebbe chiedersi, a che cosa serve?"

Anche Valeria Alpi, senza troppi peli sulla lingua, arriva subito a introdurre un altro punto importante: non esistono disabili tutti uguali, le persone sono per natura diverse così come è diverso quello che ciascuno di noi chiede alle relazioni e al sesso.

Un bello stimolo per continuare la storia dell'inclusione. E voi, che stimoli suggerite alla nuova pedagogia della disabilità?

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