Tonino Urgesi: «Basta parchi “inclusivi”: insegniamo ai bambini a giocare insieme»

di Giulia Nicora e Gabriele Galassi - 9 maggio - 2021

Tonino Urgesi nella nuova area gioco "inclusiva" del parco Pratone di Venegono Superiore: la sua riflessione parte (anche) da qui


Il 57enne venegonese, da sempre attivo per trasmettere la “cultura della disabilità”, porta il suo punto di vista sull’inaugurazione di due nuovi parchi a Varese e Venegono. E lancia un appello alle mamme: «Capisco il vostro dolore, ma trattate vostro figlio come un bambino, non come un disabile»

Sabato 17 e sabato 24 aprile. A una settimana di distanza, sono state inaugurate due aree gioco rispettivamente nel Parco Pratone, a Venegono Superiore, e a Villa Mylius, a Varese - nota come “Parco Gioia” - la cui particolarità sta nell’essere "inclusive", ovvero sviluppate per consentire ai bambini con disabilità fisiche di giocare insieme agli amici.

Ma, esattamente, «cos’è un gioco inclusivo? Chi deve includere? E chi, invece, ne rimane escluso?».

Queste sono le domande che si (e ci) pone il venegonese Tonino Urgesi, 57 anni di cui la maggior parte dedicati a diffondere quella che lui stesso chiama “cultura della disabilità”. «Non sapevo dell’inaugurazione al Parco Pratone - precisa subito - a cui, oltretutto, non erano presenti neanche bambini disabili, ma solo due normodotati. Si tratta di un castello con una rampa, che dovrebbe essere l’elemento inclusivo. In realtà, i bambini disabili possono fare solo altri giochi, come piccoli puzzle», ma non possono vedere o stare con i loro amici, o, per esempio, usare il cannocchiale alla fine della rampa, troppo alto per essere raggiungibile stando seduti in carrozzina.

Quello che, quindi, dovrebbe rappresentare un momento di divertimento aperto e fruibile da tutti, si rivela, in realtà, un’ulteriore barriera, un altro modo per sottolineare una diversità a cui, però, i bambini non penserebbero mai, «perché a loro importa solo giocare, felici e tranquilli».

Eppure, c’è sempre qualcosa che disturba la quiete, che ricorda che non siamo tutti uguali, nemmeno a sette anni, quando la tua massima preoccupazione è trovare lo scivolo libero per fare su e giù con i tuoi amici.

Non inclusione. Ma interazione

«Basta con i giochi “inclusivi”, stanno nascendo come funghi nella nostra provincia. Il 24 aprile, in Villa Mylius a Varese, è stato inaugurato il Parco Gioia: ma dov’è la gioia nella disabilità? Saranno i bambini a decidere cosa fare e non fare tutti insieme, ognuno secondo le proprie abilità. Un bambino che soffre di vergini sale sullo scivolo? No. Io vorrei un parco in cui un bambino disabile possa giocare con uno normodotato: dove ci sia interazione, quindi, non inclusione. Invece, sembra che i giochi siano “targhettizzati”, si creano sempre più differenze, con questo principio dovrebbero esserci un parco “normale” e uno inclusivo, ma sarebbe sbagliato, i bambini devono giocare tutti nello stesso parco. Dobbiamo insegnare ai bambini a giocare insieme».

Perché i bambini, nella loro innocenza, questa differenza non la conoscono, non la concepiscono – né, tutto sommato, se ne curano troppo – se chiedono ai genitori, ai nonni, «cos’è quello?», loro non dovrebbero rispondere: «È un gioco per i disabili». Quello è un gioco, punto. «Così, non andiamo lontano, serve una cultura, una filosofia, un pensiero: il disabile non deve essere trattato come tale. Ma il pensiero deve nascere proprio da lui. L'ho già detto e lo ripeto: il disabile deve smettere di fare l’handicappato. I familiari, mamma, papà, nonna, zio, devono portare il bambino a guardare oltre la propria disabilità, perché se non riesci, è allora che lo tratti come un handicappato», afferma Tonino con fermezza. E prosegue: «Sono le mamme a chiedere i giochi inclusivi. Io capisco le loro difficoltà, la loro lotta psicologica, una donna che partorisce un figlio disabile è frustrata, sola, delusa. Per questo le invito e le supplico: fate un passo ulteriore. Guardate da un’altra prospettiva. Non pensate sempre che questo figlio è il piccolo indifeso. Non lo è. Perché se quel figlio diventerà ragazzo, uomo, cosa farete dopo? Cosa gli direte? Se quel figlio si innamora, se quel figlio vuole fare l’amore, cosa gli darete? La ragazza inclusiva? Ma dai! Sai invece che c’è già? Si chiama “assistente sessuale”».

E c’è di più: il 4 marzo 2021 è stata emanata dalla Regione Lombardia l’Ordinanza n. 714 e un articolo, in particolare, ha attirato l’attenzione di Tonino, l’1 punto 9, “non è consentito l’utilizzo delle aree attrezzate per gioco e sport (a mero titolo esemplificativo, aree attrezzate con scivoli ed altalene, campi di basket, aree skate etc.) all’interno di parchi, ville e giardini pubblici, fatta salva la possibilità di fruizione da parte di soggetti con disabilità”. «C’è stata un’associazione, in zona rossa, che ha chiesto ai sindaci di riaprire le zone dei parchi inclusivi, quindi “solo per i disabili”, come leggiamo nell’articolo. Ancora una volta, mi tratti da handicappato, io non voglio questo privilegio. Alla fine, anche questa è una legge di esclusione».

Per creare una “cultura della disabilità”, si parte dall’essere uomini

A questo punto, la domanda è lecita: come si crea, quindi, una cultura della disabilità? «Trattami come un uomo. Se vogliamo andare a berci una birra, prendiamo l’auto e andiamo, senza il bisogno di bar “inclusivi”. Come faccio a sentirmi incluso, finché esiste qualcosa solo per me? Mio figlio ha 15 anni. Se deve andare al parco, va al parco. Non è un problema essere disabili, non devo educare il mondo a mio figlio, ma mio figlio a stare nel mondo».

Togliere i pregiudizi, quindi, non guardare più attraverso lo specchio che distorce la realtà. È un passo che stanno compiendo, per esempio, gli adolescenti di oggi, una generazione fatta di nuove idee, nuovi pensieri, nuovi valori, che si stanno costruendo a fatica, «io mi arrabbio con chi dice “i giovani non hanno valori”: è falso! Li hanno, per fortuna diversi dai nostri, vedono il mondo in un altro modo. E non è vero che non hanno interessi, ce li hanno, purtroppo da un anno sono ancora più distanti, abbiamo chiesto loro tanto, è stata quasi una violenza, nessuna generazione è mai stata costretta a stare in casa. Ad andare in guerra, forse, ma a restare a casa mai!».

«Voglio ridere della mia disabilità»

«Io non voglio attaccare l’amministrazione – conclude Tonino, con un po' di amarezza, ma con ancora tanta voglia di fare sentire la propria voce – o fare polemica più o meno sterile, non mi interessa, sto solo dimostrando che tutti i giochi “inclusivi” non servono a niente senza una base culturale, che, come si può notare, non è contemplata dalla gente. Se certe persone non arrivano a capire le minime difficoltà che rappresentano questi giochi, vuol dire che nei loro occhi dimora molta disabilità, direi quasi un handicap. La Giunta Comunale mi risponde che questi giochi sono stati valutati e premiati da un gruppo di esperti, allora mi piacerebbe tanto confrontare con loro il mio pensiero critico di chi vive un contesto disabilitante per mettermi in discussione; non credo di essere così tanto assolutista e non voglio che mi vengano messe in bocca banalità che non ho detto. Essere fraintesi su questi argomenti è facile, pertanto sono contento che la Giunta abbia rimodernato il parco con giochi nuovi e pavimentazione nuova, ma che non me lo chiami parco inclusivo solo per una rampa, lo era già prima! L’inclusione parte dalla relazione che crei con l’altro. Credo anche che, in questo momento storico, le persone “disabili” non abbiano bisogno solo di giochi “inclusivi”, piuttosto di vedersi riconosciuti i loro diritti essenziali, dove possono essere inclusi, o meglio, integrati, ma viene negato anche questo. Io voglio ridere della mia disabilità, del mio handicap. Anche perché se non ridi... che palle!».


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