Corpo e società

di Tonino Urgesi - 4 settembre 2023

«Ho recentemente risentito l’intervista su Repubblica online, fatta a Massimo Recalcati il 23 giugno 2023, dove rifletteva sul concetto di corpo. Ha attirato la mia attenzione un suo passaggio che mi ha dato degli spunti di analisi; in particolare, mi ha colpito quando parlava del corpo come tempio del feticismo, il corpo come estetica estrema del bello, il corpo curato che annulla la relazione con l’altro.»

Ho recentemente risentito l’intervista su Repubblica online, fatta a Massimo Recalcati il 23 giugno 2023, dove rifletteva sul concetto di corpo. Ha attirato la mia attenzione un suo passaggio che mi ha dato degli spunti di analisi; in particolare, mi ha colpito quando parlava del corpo come tempio del feticismo, il corpo come estetica estrema del bello, il corpo curato che annulla la relazione con l’altro.

Se riferissimo le sue considerazioni al mondo della disabilità, ci troveremmo sconcertati perché il professore afferma che: “…La nostra religione era una religione dell'anima, il nostro tempo invece, che non crede più all'anima, fondamentalmente ha divinizzato il corpo e lo ha divinizzato in diversi modi, da una parte esponendolo appunto come una cifra feticistica, dall'altra esaltando la salute del corpo, il corpo in forma, il corpo fitness, ma anche il corpo in gara. L'uso eccessivo della chirurgia estetica, soprattutto nelle donne ma non solo, l'ortoressia che significa appunto mangiare rigorosamente sani e l'esasperazione anche della immagine estetica del corpo, non servono alla relazione; il rifacimento dei seni non è semplicemente e non è tanto in rapporto al desiderio dell'altro, ma è una sorta di costruzione dell'immagine di sé perfetta, ma è un perfettissimo che esclude la relazione, ma ne abbiamo tanti esempi, l'anoressia tra questi è uno tra i più emblematici, dove il corpo diventa un burka, diventa una fortezza.

 

Noi ora cerchiamo di entrare proprio nel vivo del problema, proviamo a pensare proprio a un disabile che vive nel mondo descritto da Recalcati, dove il corpo diventa il plus della questione, dove il ragazzo va in palestra per diventare prestante, bello, per passeggiare a petto nudo sulle spiagge; proviamo a pensare alla ragazza che va dall’estetista per definire ancora una volta una bellezza codificata.

 

Allora facciamoci una domanda: che cos’è un corpo? Come ho già scritto in queste pagine, un corpo è la relazione nel mondo, “l’io nel mondo”. Se togliamo la relazione il corpo diventa solo organismo e nient’altro che membra; su questo punto mi trovo d’accordissimo con il professore. Oggi cosa si cura? Il proprio organismo? O il proprio corpo nel mondo? Si cura il nostro apparire? O il nostro essere? Io direi di più. Non si cura né l’uno, né l’altro, perché chi cura il proprio “organismo” in modo maniacale neppure si pone la domanda: “io chi sono?” È orientato più sul proprio estetismo, vuole piacersi per piacere alla società, all’altro, senza chiedersi realmente chi è “l’altro”. In questo modo viviamo solo un “estetismo organico”, intendo dire curiamo solo l’involucro, l’estetica delle nostre membra.

Come possiamo curare realmente il nostro corpo nel mondo? Partendo dalle domande, perché vivo? Chi sono io? Queste ci possono apparire domande arcaiche, vecchie quanto l’uomo, ma alla fine ricompaiono sempre se ci estraniamo da questa frenesia compulsiva della società. Una società che emargina chi ha un corpo non codificato secondi canoni prestabiliti, possa essere una persona con una disabilità fisica, oppure con un corpo non ritenuto aitante e prestante secondo un modello prestabilito. Quindi, una società che emargina la persona disabile pur riempiendoci la bocca con la parola inclusione o accessibilità, a meno che la persona disabile non dedichi tutti i suoi sforzi a costruire un corpo muscoloso e vigoroso, come per esempio gli atleti paraolimpici.

Se la nostra società volesse essere davvero inclusiva, dovrebbe saper fare spazio all’altro, permettere a chiunque di vivere i propri desideri e le proprie volontà e pulsioni. Un disabile che vive il proprio corpo nel mondo sente la scissione tra le sue membra inutili a questo estetismo del bello e questa società tanto produttiva.

 

Bisognerebbe fare un salto di qualità perché il disabile possa vivere “l’interazione” con il mondo e nel mondo, cosicché possa veramente accudire il proprio corpo le proprie membra.

Accudire il proprio corpo vuol dire che io decido come vivere il mio essere nel mondo, con i miei tempi e i miei spazi, in sostanza avendo la possibilità di vivere la mia intimità nel mondo, nella certezza che la mia volontà sia ascoltata. Solamente così si può veramente abbattere ogni tipo di barriera culturale, e ipocrisia morale nel mondo dei disabili.

C’è da chiedersi come un disabile possa vivere nella società descritta da Recalcati,

dove, al di là dell’apparire esiste la necessità di creare una relazione fra il corpo organico e il desiderio di essere corpo nel mondo, con le sue pulsioni, volontà, il suo sentirsi vivo nonostante la condizione di corpo statico, immobile. Mancando una relazione con l’altro, con il corpo-mondo, si inibisce tutta la sfera sessuale e affettiva. Inoltre, un corpo che necessita dell’altro per curare le proprie membra (le mani di chi lo lava, veste, sposta…) si trova in un “tempo” non suo e in uno “spazio” dove non può decidere come vivere il proprio essere “corpo-mondo”, se affidato a chi, nella cura, non si pone in ascolto del desiderio, della volontà della persona disabile che, invece, vorrebbe viversi in pienezza.