La strage dei Georgofili

Nadia, Caterina e tutti gli altri......la mafia che non risparmia i bambini

Perchè?

Nella notte del 27 maggio del 1993, a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo. Nell'esplosione perdono la vita 5 persone: Caterina Nencioni (50 giorni di vita), Nadia Nencioni (9 anni), Dario Capolicchio (22 anni), Angela Fiume (36 anni), Fabrizio Nencioni (39 anni), 48 persone rimangono ferite : oltre alla Torre vengono distrutte moltissime abitazioni e perfino la Galleria degli Uffizi subisce gravi danneggiamenti.

 La strage viene inquadrata nell'ambito della feroce risposta del clan mafioso dei Corleonesi di Totò Riina all'applicazione dell'articolo 41 bis che prevede il carcere duro e l'isolamento per i mafiosi. Due mesi dopo, il 27 luglio, altri attentati mafiosi sono sono compiuti a Roma (alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giovanni al Velabro) e a Milano, in via Palestro, dove un'autobomba provoca 5 morti: tre vigili del fuoco, un agente della Polizia Municipale intervenuti sul posto, e un cittadino straniero che dormiva su una panchina.

Sono trascorsi 25 anni da quella terribile notte, che segnò un cambiamento nelle modalità criminali utilizzate da Cosa Nostra: nel suo mirino anche il patrimonio artistico nazionale, e come sempre, nessuna considerazione per le vittime innocenti, compresi i bambini.


 A Firenze, Cosa nostra riprese la stagione delle stragi iniziata il 23 maggio del 1992 a Capaci (Pa), portando per la prima volta la strategia del terrore fuori dalla Sicilia,  i suoi obiettivi divennero alcuni dei più importanti beni del patrimonio artistico nazionale.

I depliant di viaggio e la torre di Pisa

Il 22 luglio del 1993, due mesi dopo la strage e cinque giorni prima degli attentati a Roma e a Milano, Salvatore Cancemi, il reggente della famiglia mafiosa di Porta Nuova (PA), si consegnò ai carabinieri, rivelando che Cosa nostra non aveva la mente "fina" di mettere un'autobomba come quella di Firenze. Anche un'altro pentito Giovanni Brusca rivela che mai si era pensato ad un attacco al patrimonio storico e artistico. Fu un oscuro personaggio, Paolo Bellini, assassino, estremista nero, ladro di quadri e di oggetti di antiquariato, a suggerire ai mafiosi che l'attacco ai tesori d'arte avrebbe potuto piegare lo Stato. Fu in una di queste conversazioni che egli disse: "Se tu a Pisa vai a togliere la torre, è finita Pisa". Un'altro pentito Gaspare Spatuzza, che fu uno dei componenti del gruppo di fuoco che eseguì l'attentato di Firenze, rivela il particolare del Depliant, in un villino di Santa Flavia (PA), sul tavolo erano disposti dei depliant di viaggio, servivano per fare vedere agli esecutori , gli obiettivi da colpire.

L'esplosivo

Le rivelazioni di Spatuzza hanno permesso alla procura di Firenze di risalire alla fornitura delle ingentissime quantità di tritolo utilizzate nella campagna di stragi del '92-'93. Secondo le accuse, è stato un povero pescatore di Porticello (PA), cugino di Cosimo Lo Nigro, uno dei componenti del gruppo di fuoco, a provvedere alle necessità di Cosa nostra, ripescando dai fondali marini, le bombe inesplose della seconda guerra mondiale, (1280-1340 chili di tritolo). Una volta inertizzati e aperti gli ordigni, il tritolo veniva macinato, ridotto in sabbia e confezionate in forme simili a quelle del parmigiano.Del loro trasporto "in continente", per gli attentati del '93, venne incaricato un camionista palermitano Pietro Carra. 


La base logistica a Prato

Per l'attentato di Firenze, Cosa nostra aveva bisogno di una "base logistica", fu scelta Prato, perchè vi abitava Antonino Messana, cognato del boss di Alcamo (Trapani) , Giuseppe Ferro.


Antonino Messana (una vita onesta in Toscana, ma una parentela pesante in Sicilia)

 Egli aveva tre figli, viveva a Prato, lavorava onestamente e non voleva avere alcun contatto con i lontani parenti mafiosi. Fu invece costretto a fornire un garage e le automobili di famiglia per eseguire i sopralluoghi. Fu proprio suo nipote, Vincenzo Ferro, medico, a riprendere i contatti con lui. Avrebbe potuto avvertire le forze di polizia, ma non lo fece. Della mafia non voleva saperne, ma non fino al punto di denunciarne i crimini.

Vincenzo Ferro è stato in seguito il primo figlio di un boss mafioso a rifiutare Cosa nostra e a collaborare con lo Stato, raccontò sempre lui, che suo zio Antonino si era rifiutato con tutte le sue forze di ospitare dei mafiosi, fino a quando non cedette per le minacce rivolte ai suoi familiari.

Olio su tela del pittore Gaetano Porcasi

Nadia e Caterina, le sorelline.

"Abbiamo dato l'esplosivo per Capaci e ne abbiamo tanto gioito. Ho partecipato alla strage di via D'Amelio. Capaci ci appartiene, via d'Amelio ci appartiene...ma i morti di Firenze e di Milano no. Io sentivo il malessere per la bambina di Firenze. E solo da poco, mi scuso, ho capito che le bambine uccise erano due. Nadia e Caterina. Ora mi inginocchio davanti allo Stato e chiedo perdono" , queste le parole del pentito Gaspare Spatuzza. Forse non ha pace ed è bene che sia così.

Nadia e Caterina, due nomi da pronunciare con infinita dolcezza

Poesia che Nadia Nencioni, alunna di terza elementare, aveva scritto il 24 maggio.

Che cos'è la "trattativa Stato-mafia"

La trattativa Stato-mafia fu una negoziazione tra importanti funzionari dello Stato italiano e rappresentanti di Cosa nostra finalizzata a far cessare gli attentati e le stragi del 1992-1993. Obiettivo: indurre lo Stato a piegarsi alle richieste di Cosa nostra, ponendo fine alla stagione stragista in cambio di un'attenuazione delle musure detentive previste dall'articolo 41 bis. Infatti il pool antimafia di Palermo guidato da Giovanni Falcone aveva condannato ad anni di carcere duro centinaia di mafiosi. 


La sentenza tanto attesa sulla trattativa

20 aprile 2018

Questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia. La sentenza conferma la tesi principale  dell'accusa che riguardava l'ignobile ricatto fatto dalla Mafia allo Stato a cui si sono piegati pezzi delle istituzioni. Mentre i giudici "saltavano", qualcuno nelle istituzioni aiutava i boss a ottenere i risultati chiesti da Riina.

Mentre la piovra assassinava magistrati e inermi cittadini, uomini delle istituzioni hanno cercato un contatto: sono diventati il canale che ha condotto fino al cuore dello Stato, la minaccia violenta dei corleonesi, hanno consentito che il governo si intimidisse sotto la minaccia di altre bombe e altre stragi.

Mori (generale dei carabinieri), e Dell'Utri (senatore della Repubblica condannati a 12 anni.

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