Mare fuori...carcere dentro

Venerdì 22 marzo 2023 è andata in onda l’ultima puntata della stagione 3 di Mare Fuori: una serie italiana, visibile su Rai Play e prodotta da Rai Fiction che, in pochissimi giorni, ha spopolato sui social, soprattutto tra i ragazzi. Adesso si attende con ansia la quarta stagione che dovrebbe essere girata a maggio per poi essere visibile la prossima primavera.

Le vicende sono molto realistiche e crude e raccontano le esperienze di quattro ragazzi napoletani con situazioni familiari difficili che, dopo aver compiuto reati gravissimi, provano a costruirsi una nuova vita con sogni e coraggio, aiutati dalla polizia penitenziaria e dagli specialisti. La fiction è ambientata nell’IPM (Istituto penale per minorenni) di Napoli, in quanto, chi ha ideato la serie, aveva anche lo scopo di puntare i riflettori sulle condizioni di vita nelle carceri minorili italiane odierne.

Queste strutture sono nate negli anni ‘90 e accolgono i ragazzi dai 14 ai 25 anni, anche prima della condanna, mentre si sta svolgendo il loro processo per reati minori, ma anche gravi come omicidio o spaccio di droga. In Italia, esistono diciassette IPM, di cui dieci si trovano nel Sud e la metà di questi si trova in Sicilia. Questo dato indica il collegamento con le problematiche del territorio. Spesso, infatti, i giovani compiono reati non perché vogliono, ma perché spinti e manipolati come burattini dalle organizzazioni criminali che sono più concentrate nell’Italia meridionale. Gli IPM sono organizzati in modo tale che i ragazzi possano essere rieducati per non sbagliare più ed entrare nel mondo del lavoro. Di fondamentale importanza per il raggiungimento di questo obiettivo, sono gli psicologi, gli educatori e la polizia penitenziaria che organizzano le attività quotidiane. In un carcere minorile, una giornata normale inizia con la colazione nelle sale comuni e prosegue con attività scolastiche, di lavoro e di socializzazione fino a mezzanotte. I detenuti possono parlare con le loro famiglie, dalle sei alle otto volte al mese, per circa un’ora e posseggono una piccola somma di denaro per effettuare delle spese dal carcere.

Una domanda, però, sorge spontanea:”Queste persone vogliono davvero cambiare vita?”.

Se lo chiedessimo a tutti, solo pochi risponderebbero sì. Le storie difficili di ragazzi detenuti sono purtroppo molte, alcune però, riescono a concludersi con un lieto fine ed un cambiamento di vita. Una di queste vicende è quella di Antonio, un ragazzo napoletano che, durante una rapina, ha ucciso la guardia Gaetano Montanino. Dopo il reato, il giovane è stato condannato a ventidue anni di carcere nell’IPM di Nisida, all’età di diciassette anni.

Lucia Di Mauro, moglie di Gaetano Montanino, ha voluto incontrare l’assassino di suo marito ed è andata a trovarlo in carcere più volte. La donna, poco per volta si è così tanto affezionata al ragazzo che lo ha perdonato. Infatti, compiuti i venticinque anni, Antonio non è stato trasferito in un carcere normale, per superamento dell’età consentita, ma è stato accudito in casa da Lucia, in libertà vigilata. Adesso, Antonio ha finito di scontare la pena ed è diventato un lavoratore onesto, così legato a Lucia, da chiamarla “mamma”.

Altre volte, invece, essendo gli IPM strutture molto grandi, si trasformano in luoghi in cui fare amicizie sbagliate e in cui peggiorare il proprio comportamento. Il carcere può anche diventare un’arena in cui combattere altre faide solo per dimostrare di essere forti o per prendere il potere. Entrano in tanti, molti già maggiorenni, ma solo pochi fortunati escono “nuovi” perché la maggior parte non crede nel potere della giustizia e pensa che sia meglio trascorrere tutta la vita nell’illegalità. Si crede che la permanenza in carcere sia una tortura ingiusta ed uno spreco di tempo e ci si ribella contro chi cerca di aiutare.

Ritorna in mente ciò che ha scritto Cesare Beccaria nel suo libro “Dei delitti e delle pene” in cui sosteneva che, in uno Stato giusto, la pena non può eliminare un delitto già commesso e, per essere corretta, non deve essere una tortura, ma un modo per riportare l’imputato sulla giusta via, impedire nuovi danni ai cittadini e distoglierli dal farne uguali.

Secondo questo principio, negli ultimi anni, i giudici hanno preferito assegnare i ragazzi minorenni o colpevoli di reati minori in comunità di recupero che, essendo più piccole, li tutelano e garantiscono loro migliori possibilità di successo. Con questo sistema, sta diminuendo il numero dei detenuti negli IPM che ultimamente è arrivato a circa quattrocento.

Speriamo che questa cifra si riduca sempre di più, fino a scomparire. (Gianluca Giliberto)

21 aprile 2023