Allevamenti intensivi: perché inquinano?

Emissioni di ammoniaca prodotti dagli allevamenti intensivi sul territorio italiano

Grattacielo di 26 piani destinato a un allevamento intensivo di maiali, costruito recentemente a Ezhou in Cina e che ha fatto molto discutere 

Con allevamento intensivo intendiamo una pratica che soddisfa la richiesta di prodotti di origine animale sempre più in aumento. Questa forma estrema di allevamento del bestiame, aumenta la produzione, rispetto alla modalità tradizionale,  riducendo al minimo le spese e gli spazi. In poche parole: allevare un animale in modo intensivo produce molti più prodotti rispetto ad un allevamento estensivo o semiestensivo, dove l'animale è invece libero di pascolare in una zona completamente libera e mangiare quello che vuole o in una zona limitata ma molto vasta. L'allevamento intensivo è possibile attraverso la meccanizzazione e l’industrializzazione dei sistemi di allevamento tradizionali, quindi l'animale avrà pochissimo spazio per vivere e sarà costretto a mangiare più di quanto necessario.

L’obiettivo è quello di abbattere i costi, per rendere i prodotti derivati dagli animali adatti al consumo. Quindi, offrire i beni più richiesti sul mercato alimentare, a basso costo.

Perché gli allevamenti intensivi sono oggetto di critica?

In alcuni casi, le condizioni di vita degli animali sono decisamente innaturali. Si assiste a scenari in cui gli animali sono confinati in spazi ristretti e insufficienti a soddisfare le loro necessità di base, con persistente luce artificiale o di contro assente, gabbie, possibilità minima di movimento, alimentazione differente da quella naturale. Per evitare malattie derivanti da queste condizioni si fa uso massiccio di farmaci come antibiotici ed ormoni.

Perché sono inquinanti?                                                                               

L’allevamento intensivo viene considerato una delle cause principali del riscaldamento globale, per le emissioni di gas serra provenienti dalle deiezioni e la deforestazione per lasciare spazio alle coltivazioni e al pascolo. Gli allevamenti intensivi in Italia sono tra le maggiori cause dell’inquinamento da particolato. Contaminano l’aria, infatti, più delle emissioni degli autoveicoli. Per di più, a differenza dell’inquinamento dei mezzi di trasporto, il settore dell’allevamento non ha subito miglioramenti nei livelli di abbattimento di polveri sottili nell’aria.

Secondo uno studio pubblicato dalla FAO, l’allevamento bovino americano è tra i maggiori responsabili dell’inquinamento atmosferico del globo terrestre. L’allevamento intensivo contamina la terra, le acque dolci e i mari attraverso sostanze tossiche mortali e la presenza di azoto e fosforo nell’acqua e nell’aria provoca carenza di ossigeno e danneggia gravemente gli ecosistemi. Gli animali, infatti, producono grandi quantità di liquami ricchi di azoto, fosforo e antibiotici. Va precisato che il concime naturale generato dagli animali, è utile a reintegrare il suolo delle sue sostanze nutritive. Però, il modello di allevamento intensivo rende le deiezioni animali eccessivamente elevate rispetto a ciò che sarebbe necessario e sufficiente. I rifiuti, non vengono gestiti e reimpiegati correttamente. Il loro accumulo libera ammoniaca nell’aria che, combinata ad altre componenti, genera polveri sottili.

Un altro aspetto da non sottovalutare è il consumo delle risorse naturali e del suolo. Il settore dell’allevamento rappresenta il maggiore fattore d’uso antropico delle terre. In sostanza si verifica un paradosso: come già anticipato, gli animali sono costretti alla sopravvivenza in piccolissimi spazi, eppure l’industria zootecnica occupa il 30% del suolo calpestabile ed è responsabile della deforestazione come ad esempio quella amazzonica. Questo poiché risulta necessario coltivare mangime destinato a sfamare gli animali da macello.

Un ulteriore elemento da considerare è il consumo di acqua, una risorsa fondamentale e sempre più scarsa. Qualsiasi prodotto di origine animale ha un’impronta idrica più elevata dei prodotti vegetali. Basti pensare che per produrre 1 kg di carne bovina sono necessari circa 15.500 L di acqua, 8.550 per un chilo di carne ovina, 6.000 per quella suina, 4.300 per il pollame contro i 320 L circa per 1 kg di verdure. 

Non si dimentichi poi il fattore ‘igiene’ spesso trascurato negli allevamenti intensivi che diventano così spesso focolaio di pandemie. Se non bastasse l’allarme ecologico a frenare il consumo eccessivo di carne e quindi la produzione, si tenga presente il rischio di mortalità nell’uomo legato all’eccessivo consumo di carne rossa, responsabile di molti tumori, in particolare uno di quelli oggi più diffusi ovvero quello al colon-retto.

Eppure la tendenza al consumo di carne è in forte aumento. Secondo la FAO potrebbe crescere del 73% entro il 2050. Dunque, una rapida soluzione a cui si può pensare comporta un cambiamento di stile di vita di ognuno di noi. Il cittadino responsabile è colui che sceglie di migliorare le sue abitudini alimentari, mettendo meno carne nel piatto per lottare contro l’inquinamento e quindi inducendo la riduzione degli allevamenti intensivi a favore della propria salute. (Matteo Colonna)

23 marzo 2023