I mestieri del futuro

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Dubbi amletici di un esponente della generazione alpha

Ho impiegato un mese a scrivere questo articolo. L’argomento è difficile e a volte controverso. Leggendolo, però, non aspettatevi un tono troppo polemico.

Il coronavirus ha cambiato molti aspetti della nostra vita, alcuni dei quali sarebbero dovuti rimanere invariati: io stesso non mi sono ancora riabituato, ad esempio, agli abbracci.

Il virus ha, però, accelerato un processo che sembrava inevitabilmente insinuarsi nelle nostre vite.

Non sono nessuno per dire se è giusto o se è sbagliato, ma credo di poterlo descrivere.

Chi ha già letto i miei articoli conoscerà la noia contenuta nelle mie introduzioni, ma non sentitevi liberi di saltare questa!

Introduzione noiosa

Nel 4000 a.C. l’uomo iniziò a diventare stanziale e a necessitare di beni sempre più ‘sofisticati’: vestiti, cibo cotto, ripari creati ad hoc, macchine, utensili. Ognuno collaborava per il bene della società che si rifletteva su quello di ciascuno.

Oggi, quella ‘collaborazione’ sociale sembra lontana: il sistema capitalistico ha innescato logiche individualiste e ha trasformato noi poveri cittadini in operai cibernetici. I poteri forti ci inducono a credere che studiare poche cose (ma molto specialistiche) possa assicurare un posto nei più importanti ambiti pubblici e che, una volta arrivati lì, si possano guadagnare stipendi da capogiro grazie anche a “due parole di Inglisc” e rimanendo ore e ore davanti a uno schermo.

Stare davanti ad uno schermo. Ecco dove dovevamo arrivare.

Caspita, divago troppo.

L’argomento centrale (comunque ancora divagante)

Nuovi mestieri, che fino a poco tempo non avremmo potuto immaginare, si stanno facendo strada e la società, noi tutti, ci stiamo adattando e cambiando a velocità allarmante.

Sono qui perché mi sono offerto per scrivere un articolo sui “lavori del futuro” ovvero tutti

quegli impieghi che saranno (si dice) fra i più redditizi negli anni a venire.

Mi sono informato su «La Repubblica» e… indovinate: da nessuna parte ho trovato la citazione di qualifiche come “contadino”, “cuoco” o “pittore”.

Si parlava solo di “smart worker”, di “smart working”, “smart home” … che vuole dire “smart”?

Alcuni di quei lavori sono senza dubbio di massima utilità come ad esempio il “previsore di attacchi hacker”, l’ “investigatore di dati statistici” (ovvero il data miner) oppure l’ “ingegnere ambientale” (il più utile). Dietro questi ruoli di ‘serie A’, ce ne sono tanti altri che vanno a costituire una manovalanza digitale diffusa e sempre più confinata negli spazi domestici: da un lato allettante perché conciliabile con impegni familiari ma paradossalmente esposta, per lo stesso motivo, ad un’accelerazione del ritmo di lavoro. Insomma pro e contro dello “smart working”.

L’intenzione non è sbagliata in sé, ma siamo passati in tre mesi - mi riferisco a quelli dell’anno della pandemia - dall’analogico all’ “esagerazione digitale”.

I lati positivi (sì, ce ne sono alcuni)

Sarebbe così bello se questa rivoluzione potesse essere attenuata un poco e si potesse ‘adattare’ con il nostro essere umani analogici.

Ma sono felice di potere dire che qualche mese fa, in Calabria (bella terra!) è stata istituita una

rete telefonica per chiamare il medico e prenotare una visita da casa.

- Ma è una cosa normalissima! – vi sento già dire. Da noi, però, è normale avere dei parenti che lo facciano per te.

La tecnologia è stata integrata per un bene. È questa l’evoluzione necessaria: essere responsabili, integrare, mettere la tecnologia a disposizione del bene comune e dei più deboli. (Alessandro Bruni)

25 gennaio 2024