Quattro elegie per la fine dell'estate
[«Atelier», II, 1997, n. 6, pp. 64-65]
Queste poesie sono un’esplorazione emotiva e descrittiva del passaggio delle stagioni, in particolare dalla fine dell’estate all’inizio dell’autunno. Riflettendo sulle bellezze e le malinconie tipiche di questi periodi dell’anno, è catturata l’essenza del cambiamento, sia nella natura che nei sentimenti umani. Le immagini evocate - strade deserte, solai silenziosi, nordici regni fasciati dal ghiaccio, aurore rosate, mari assolati, scogli splendenti, e spiagge infinite - sono tutte impregnate di nostalgia e contemplazione.
La poesia si avvale di metafore e simboli per esplorare temi come il passaggio del tempo, la memoria, l’amore e la perdita. La natura è un elemento costante, con le sue manifestazioni stagionali che fungono da metafore per i sentimenti e le esperienze umane. Il vento, il freddo, le rondini che se ne vanno, e i fiori in un cimitero sono tutti simboli potenti che rafforzano il senso di transitorietà e di malinconia.
Con un linguaggio ricco e immaginifico, il poeta invita i lettori a riflettere sulla fugacità della bellezza e sulla inevitabile fine di ogni cosa. Queste poesie sono un viaggio attraverso i cambiamenti sottili ma potenti che segnano la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, catturando il sentimento universale di malinconia che accompagna questi momenti di transizione.
I
Abbiamo camminato
per le strade deserte - la città
sotto un tiepido sole di settembre
giaceva ovattata, intorpidita -
nei vicoli remoti,
nei solai, nei cortili gonfi d'ombra
udivo, a tratti, gemere il silenzio
Tu quieta e triste mi parlavi piano
dell'estate finita, dei tuoi viaggi
che non saprai scordare -
di nordici regni fasciati dal ghiaccio
e di limpide aurore rosate
e di mari assolati, e di scogli
splendenti e di spiagge infinite -
né tacevi di morbide
parole e di tenui menzogne
e di lunghe carezze segrete
Ora che il freddo è vicino, le rondini
gettano roche un rapido saluto
e già, lontane, gemono le meste
litanie delle gelide brume
e dei giorni piovosi -
un lento oblio discende sulle cose,
ogni fuoco crudele
un'acqua chiara dolcemente doma
e docile ogni immagine dilegua
con un liquido passo di fantasma
II
Ora che è quasi autunno, e muoiono
a sera, come un tiepido pianto
gli ultimi soli della breve estate -
mentre svaniscono, a poco a poco, anche dalla memoria
e dai sensi storditi
gli amori di un giorno, ardenti e labili -
su di noi si allunga un artiglio
fatto d'ombra e silenzio
E tu senti, in questa quieta agonia
che scioglie il vano giogo imposto al tempo
che come il tumore si annida
maligno tra i bei seni
così ogni estivo rigoglio
ha in sé celato il seme della morte
III
Il vento passò, scompose
sul ciglio del viale
la verde coltre degli alberi, e svelò, per un attimo
nell'auto che passava veloce
un riso di madre, il suo bimbo
che intrecciava un gioco dolcissimo
con l'oro dei suoi capelli
Lo stesso vento è tornato stasera -
lo stesso vento spandeva ancora nell'aria
il tenue polline di quell'ora remota
Ma sul viale deserto, nel vago
languore dell'autunno incipiente
era come una luce timida che palpiti
nella notte infinita
IV
Il profumo dei fiori
che in segreto alimenta la terra
del cimitero, molle e lacrimosa
nel vento che ghiaccia le carni, nel tetro
ed aspro afrore dei serti avvizziti
è simile a un'offerta pura e vana
che il nostro pianto cancella
O nero dolore che non vale
a lenire l'estrema illusione
che ancora scalda il cuore dell'autunno -
come i fiori che lentamente si sfanno
sul gelido marmo, il profumo
che un vento amaro disperde
anche noi dovremo svanire
Matteo Veronesi