Mafia e religione

Giacomo Roncaia, Denis Cosoana e Tommaso Roviglioni (3^B)

Come si uniscono mafia e religione?

Attraverso l’ostentazione della fede, i clan mafiosi si assicurano un maggior consenso popolare.

I boss si battezzano, si sposano in Chiesa, fanno ricevere ai propri figli tutti i sacramenti previsti, richiedono il funerale religioso, elargiscono offerte in parrocchia e si propongono per organizzare le processioni in occasione delle feste patronali.

Del resto, risulterebbe difficile considerarli delinquenti se i boss vengono scelti come organizzatori di processioni o se portano i Santi e la Madonna sulle spalle.

Magari nella loro assurdità i mafiosi si sentono davvero devoti, però essi strumentalizzano l’utilizzo di questa simbologia per aumentare il loro prestigio sociale.

Secondo alcuni la religione non ha l'unico scopo di ottenere credibilità sociale, ma è anche un aiuto morale, in quanto si sentono in questo modo legittimati nel compiere atti illeciti.

Alcuni religiosi "perdonano" nonostante conoscano il fenomeno mafioso, come per esempio il celebre caso di Mario Frittitta, frate carmelitano arrestato negli anni ’90 con l’accusa di favoreggiamento del boss Pietro Aglieri.

Frittitta non ha mai negato d’aver frequentato per un certo periodo il covo di Aglieri, derivando da questo comportamento l’accusa di averne favorito la latitanza; il frate si è giustificato adducendo come ci fosse la necessità degli uomini di chiesa di interloquire con le persone e soprattutto con i boss di mafia, proprio per favorirne la purificazione

Per molti anni la Chiesa è rimasta in silenzio rispetto alla questione mafiosa.

Solo nella seconda metà del Novecento vengono alla luce alcuni uomini di Chiesa che riconoscono l'esistenza del fenomeno e lo condannano: tra queste spiccano in particolare Don Pino Puglisi e Don Peppe Diana, che si sono distinti per il loro impegno nella lotta contro la mafia.