don Pino Puglisi

Il prete che combatteva la mafia col sorriso

Matilde Guerzoni, Mara Iacob e Aurora Zanini (3^B)

Chi era don Puglisi, il prete ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993 a Palermo e beatificato il 25 maggio 2013?

Don Pino sorrise al killer che gli sparò sotto casa

Nel quartiere Brancaccio di Palermo, dilaniata dalla guerra delle cosche mafiose, riuscì a coinvolgere nei gruppi parrocchiali molti ragazzi strappandoli alla strada e alla criminalità. «Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto», ha detto papa Francesco, «li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto».

LA VITA

Nato il 15 settembre 1937 a Palermo in una famiglia modesta, Giuseppe “Pino” Puglisi cresce nel quartiere popolare di Brancaccio. Entra in seminario a 16 anni e viene ordinato sacerdote nel 1960. Nominato l’anno successivo viceparroco della parrocchia del Santissimo Salvatore, borgata di Settecannoli, nel 1962 diventa rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi, sempre nello stesso quartiere di Palermo. Negli anni successivi, spesi tra l’orfanotrofio Roosevelt e la parrocchia di Valdesi, Puglisi inizia l’attività di insegnante, maturando la sua attività educativa rivolta particolarmente ai giovani.

Il 1970 è per lui un anno cruciale: viene infatti nominato parroco di Godrano, piccolo paese in provincia di Palermo interessato da una faida tra due cosche mafiose, che con la sua opera di evangelizzazione riesce in qualche modo a far riconciliare.

DON PINO NEL QUARTIERE BRANCACCIO

Don Pino Puglisi rimane a Godrano fino all’estate del 1978. Nel decennio successivo, tornato a Palermo, ricopre vari incarichi: pro-rettore del seminario minore, direttore del Centro diocesano vocazioni, membro del Consiglio nazionale. Nel frattempo partecipa alle attività di realtà come Azione Cattolica e Federazione Universitaria Cattolica Italiana. In più, continua a insegnare matematica e religione in diversi istituti di Palermo e provincia.

Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città. La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.

A settembre del 1990, l’arcivescovo Salvatore Pappalardo lo nomina parroco della chiesa di San Gaetano, nel suo quartiere Brancaccio controllato di fatto dai fratelli Graviano, capimafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella.

LA LOTTA ALLA MAFIA: IL LAVORO CON I GIOVANI

A Brancaccio don Pino Puglisi inizia davvero la lotta alla mafia: non tenta tanto di riportare sulla retta via chi ormai è “perduto”, ma si impegna per togliere dalla strada tanti giovani che, senza il suo aiuto, sarebbero risucchiati dalla criminalità organizzata, cercando attraverso dei giochi di far loro capire che si può essere rispettati anche senza essere mafiosi, ma credendo nei propri ideali.

Nelle sue omelie si rivolgeva spesso ai mafiosi, i quali lo consideravano come un ostacolo perché toglieva giovani alla mafia. Con la sua attività pastorale causa l’ostilità dei fratelli Graviano, che decisero così di avvertirlo con una serie di minacce di cui Puglisi non parlò con nessuno, finché arrivò l’ordine di ucciderlo.

“Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”

(Don P. Puglisi)


ASSASSINIO

Il 15 settembre 1993, giorno del suo 56º compleanno, intorno alle 22,45 venne ucciso davanti al portone di casa in Piazzale Anita Garibaldi, nella zona est di Palermo. Sulla base delle ricostruzioni, don Pino Puglisi era a bordo della sua Fiat Uno e si stava avvicinando al portone della sua abitazione. Qualcuno lo chiamò, lui si voltò mentre qualcun altro gli scivolò alle spalle e lo uccise con un colpo di pistola alla nuca.

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Nel 1997 viene arrestato a Palermo Salvatore Grigoli, latitante accusato di diversi omicidi, tra cui quello di don Puglisi. Ne confesserà in tutto 46, ammettendo di aver ucciso il prete di strada, come mano armata di un commando che comprendeva anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, tutti condannati all’ergastolo. I mandanti dell’omicidio, come detto, sono identificati nei capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati già tre anni prima, poi anche loro condannati all’ergastolo.


“Il prete era una spina nel fianco: predicava, predicava, prendeva i ragazzini e li toglieva dalla strada; faceva manifestazione e diceva che si doveva distruggere la mafia. Insomma ogni giorno martellava e rompeva le scatole. Questo era sufficiente, anzi sufficientissimo, per farne un obiettivo da togliere di mezzo.”

Dichiarazione di Giovanni Drago, pentito, vicinissimo ai boss Graviano, capimafia di Brancaccio