Vera Pegna

Anna Busoli, Matilde Pavesi, Linda Alaia e Vittoria Ligabue (3^B)

“Io non sapevo cos’era la mafia. Quando sono arrivata a Caccamo e i compagni mi hanno spiegato subito cos’era in grado di fare, allora ho incominciato a capire dov’ero e quello che mi aspettava”

Nata nel 1934 ad Alessandria d’Egitto da una famiglia di origini ebraiche fuggita dalla Spagna per arrivare a Livorno, Vera Pegna fu un’attivista italiana che combattè contro la mafia: realtà contro la quale si scontrerà a Caccamo, comune palermitano noto negli anni '60 per essere dominato dal fenomeno mafioso.

Fu un incontro del tutto casuale con uno studente universitario buddista a portarla sulla strada della non-violenza e a permetterle di entrare in contatto con colui che veniva chiamato “il Gandhi Siciliano”: Danilo Dolci.

Con la sua mentalità “no alla violenza” (talvolta inutile) riuscì a mettere in luce alcuni aspetti, fino ad ora rimasti nascosti, della Sicilia: la miseria, l’analfabetismo, la disoccupazione, la mafia.

Dopo due anni passati al fianco di Danilo, Vera capì che una nuova mentalità, diversa da quella di Dolci, l’avrebbe portata ad allontanarsi da quest’ultimo; è così che Vera arriverà a Caccamo, dove in quegli anni vi era un partito politico, il PCI, che l’accolse come una comunista.

Vera arrivò nell’entroterra palermitano per aiutare durante le elezioni comunali il partito, contro il quale era schierata la malavita palermitana.

In quegli anni, infatti, il PCI e il Partito Socialista Italiano erano gli unici a combattere apertamente il fenomeno mafioso.

Salvatore Carnevale e Filippo Intili, due sindacalisti socialisti uccisi brutalmente dalla mafia e rimasti senza giustizia

Ma chi era e come si comportava questa “mafia” di Caccamo?

Stiamo parlando di uno scontro tra due fazioni politiche: il PCI (Partito Comunista Italiano) e la DC (Democrazia Cristiana), unico partito che riesce a presentarsi alle elezioni in quanto le liste elettoriali presentate dal PCI venivano tutte scartate dai mafiosi.

La mafia di Caccamo rispondeva al nome di Giuseppe Panzeca, conosciuto anche con l’appellativo di “Don Peppino”, colui che teneva stretto controllo il consiglio comunale della cittadina.

A questo punto Vera ricevette le prime minacce, ma la svolta arriverà dopo la strage di Ciaculli (attentato organizzato da Cosa Nostra), quando la Commissione Parlamentare Antimafia inizierà a indagare portando alla denuncia di Don Peppino.

L’intervento temerario di Vera e dei suoi compagni porterà il PCI a ottenere una piccola vittoria: quattro seggi elettorali.

Una conquista che lascia indiscutibilmente l’amaro in bocca al boss mafioso che, per la prima volta, si vede passare sui piedi quella libertà che da sempre ha cercato di opprimere.

Vera e il “post Sicilia”

Dopo aver lasciato un segno indelebile nel 1962, Vera farà ritorno a Caccamo nel 2015 in occasione di un’assemblea alla quale presero parte tantissimi giovani volenterosi di combattere il fenomeno mafioso, preso a bastonate sulle ginocchia da coloro che cercavano un cambiamento radicale per vivere una vita libera dalla paura.

Si riescono a valorizzare maggiormente i propri valori quando li si espongono in maniera sobria, senza sbatterli in faccia agli altri: la pacatezza è la chiave di tutto, la pacatezza è dei forti.

Così la pensa Vera, convinta che se il mondo vuole vivere in pace deve essere disposto a coltivare la giustizia attraverso proteste, scioperi e rivolte.