La droga dietro l'angolo

Pietro Casari, Ester Scopelliti e Ludovico Bisi (3^B)

Droga, libertà di essere schiavi

“Se ti droghi ti capisco, perché il mondo ti fa schifo; se non lo fai ti ammiro, perché sei in grado di combatterlo” diceva Jim Morrison, frontman dei Doors e simbolo di una generazione, quella del ‘68.

Una generazione coraggiosa, ribelle, anticonformista e scomoda che mirava a cambiare il mondo. Sarà proprio sull’onda lunga di questi movimenti riottosi e delle contestazioni giovanili che gli stupefacenti iniziarono a circolare sempre più frequenti, come una epidemia segreta e silenziosa, tra milioni e milioni di giovani che, schiacciati dal sistema e insoddisfatti dalla società, trovarono negli stupefacenti un mezzo di evasione dalla realtà e una compagna fidata nella lotta politica.

Naturalmente, questo fenomeno sconvolgerà la società con conseguenze irreparabili, Morrison stesso morirà pochi anni dopo, nel 1971 a Parigi, distrutto da narcotici e alcool. Purtroppo, questo sarà un finale comune a molti dei giovani di quella generazione, le cui vite sono state inesorabilmente spezzate dalla droga che si trasformò in fretta da idilliaco strumento per un mondo di vestiti colorati, capelli lunghi e musica rock a un terrificante strumento di lobotomia.

Untitled video - Realizzato con Clipchamp (1).mp4

La morte non ci interessa

L’Italia fu tra le maggiori protagoniste di questa triste storia. Tra il ‘74 e il ‘75 si assiste a una vera impennata del consumo di stupefacenti, a causa della diffusione dell'eroina, un potente narcotico che deriva dalla morfina e che iniziò a diffondersi a basso costo.

Grazie proprio alla “polvere bianca”, nel giro di pochi anni il consumo di psicotici non è più solo esclusivo dei giovani della controcultura ma inizia a coinvolgere tutte le classi della società, in particolare le più emarginate.

In Italia si assiste a una vera e propria piaga sociale e psicologica che porta milioni e milioni di giovani a un uso assiduo dell’eroina e anfetamine con conseguenze disastrose.

Una volta entrati, con innocenza e ingenuità, nel tunnel della tossicodipendenza esso diventa sempre più stretto e asfissiante, come un pozzo buio da cui è impossibile risalire.

Le città italiane tutte sono sconvolte da questo fenomeno, che è sempre più pubblico.

Per le vie si vedono frequentemente tossicodipendenti che soffrono di astinenza, assenti, privi ormai di qualsiasi razionalità, se non morti. I suicidi sono altissimi così come la criminalità, funzionale a procurarsi i soldi per le dosi. Lo spaccio avviene in pieno giorno in quasi tutte le piazze italiane così come l’assunzione di dosi.

Dovunque si possono trovare persone intente a bucarsi e per terra è tutta una commistione di siringhe, pasticche, erba e vomito.

La società, come la politica, è la grande assente e forse la più grande colpevole di questo fenomeno.

Davanti ad una situazione distruttiva l’indifferenza cinica, disgustosa ed egoista, portò ad un’ulteriore emarginazione di coloro che invece necessitavano di aiuto per uscire dal vortice della droga. La legge poi per prima non permetteva alcun margine di tutela, difatti chiunque fosse in possesso di droga avrebbe rischiato una pena minima di due anni di carcere e non era ancor previsto alcun servizio di aiuto per tossicodipendenti (in Italia sarà introdotto dalla legge n. 162 del 1990).

Negli anni ottanta, oltre alle morti e alle conseguenze psicofisiche che affliggeranno in migliaia, si diffonde anche un altro grande male: l’AIDS.

Studi stimano che circa l’80% dei tossicodipendenti fosse affetto da HIV. Una piaga che colpiva e ancora colpisce in modo silenzioso ma letale.

L’AIDS esisteva già da tempo, ma solo nel 1981 si iniziano a riconoscere i sintomi e a darle il giusto peso, infatti è proprio in questi anni che ha inizio una vera e propria pandemia.

Fu a lungo mortale in percentuali vicino al 100% (nei malati) e presto ne fu riconosciuta la connessione alla sfera sessuale e allo scambio di sostanze stupefacenti, che con il passaggio di liquidi corporei ne permettevano la trasmissione e diffusione.

Possono essere infatti veicolo di trasmissione dell’Hiv aghi usati. Con la stessa modalità è possibile la trasmissione sia dell’Hiv che di altri virus tra i quali quelli responsabili dell’epatite B e C, infezioni anch’esse molto diffuse tra i tossicodipendenti.

L’avvento dell’AIDS ha peggiorato una situazione già grave, portando i tossicodipendenti al passaggio dall’uso di eroina a quello di cocaina, questo accade poiché i malati non avevano il diritto alle cure e perciò dovevano riuscire a placare il dolore fisico e mentale.

Il ruolo della mafia

La rete di spaccio però non si basava solamente su piccoli spacciatori che, seppur in molti, non sarebbero riusciti a sostenerla.

La verità è che il traffico, soprattutto di importazione e smistamento nello stivale, era gestito da grandi cosche mafiose.

Il mercato internazionale della droga trovava in Marsiglia la base d’appoggio, dove arrivavano dal Medio Oriente le sostanze oppiacee che venivano raffinate e spedite in tutta Europa.

Un gruppo numeroso di gangster e chimici corso-marsigliesi, molto abili nella raffinazione dell’oppio per ricavarne eroina e narcotici pesanti, gestiva un grande mercato nato agli inizi degli anni ‘40.

Lucky Luciano

Tano Badalamenti

Grazie alla figura di Lucky Luciano nasce intorno alla fine degli anni ‘40 il triangolo commerciale malavitoso tra mafia siciliana, americana e corso marsigliese noto come French Connection.

La droga raffinata dagli abili chimici francesi passava per i porti della costa settentrionale siciliana, per poi essere portata in parte anche in America.

Il mercato raggiunge il suo apice nei primi anni ‘70 grazie a Gaetano Badalamenti, boss mafioso, nonché mandante dell’omicidio di Peppino Impastato.

Si stima che abbia ricavato circa 1,65 miliardi di dollari grazie alla vendita di droga, una cifra indicativa che non rispecchia il vero ricavo, probabilmente molto più elevato.

Da quel momento la droga diventa la prima fonte di guadagno per la mafia.

La mafia marsigliese riesce anche a stabilirsi in diverse zone d'Italia grazie all’aiuto di quella italiana come anche in Piemonte, dove nel castello di Cereseto aveva installato un grande laboratorio di raffinamento dell’eroina.

Seppur l’indifferenza generale della politica e della società più in generale di fronte allo stato in cui versava il Paese, la polizia non rimase immobile e tentò di combattere il fenomeno mafioso e anche la rete di spaccio, ma con limitato successo. La mancanza di tecnologia all’avanguardia e vari impedimenti impedirono alle forze dell’ordine di agire al meglio, e soprattutto la mancanza di tempestività dell’intervento, in ritardo di diversi anni, ormai compromise qualsiasi operazione. La rete non solo mafiosa ma anche di spaccio si era oramai radicata ed evoluta in ogni città e, seppur fosse semplice trovare le fonti dello spaccio, non si riuscivano mai a recuperare prove tangibili e sufficienti.


Questo triste fenomeno così prepotente e così complesso non è stato frutto di una serie di sfortunate casualità, ma è stato dettato dalla volontà della classe politica di porre fine e fasciare tutta una parte di società scomoda, politicizzata, che desiderava un cambiamento e lottava per raggiungerlo. Persone scomode, estremamente sensibili che oggi, ingiustamente, non ci sono più.