Giulia Faggioli, Alice Malavasi e Sara Pignoli (3^C)
In occasione dell’anniversario dei trent’anni dalla strage di Capaci avvenuta 23 maggio 1992, abbiamo ideato un profilo Instagram dedicato alla sensibilizzazione e alla denuncia di fatti e storie riguardanti il fenomeno mafioso. L’obbiettivo è raccontare attraverso gli occhi di noi ragazzi di 16 e 17 anni ciò di cui molte volte sentiamo parlare anche in classe, ma che spesso continuiamo a sentire distante.
Attraverso i nostri canali di comunicazione desideriamo raggiungere i nostri coetanei e diffondere consapevolezza riguardo queste tematiche, in modo leggero e accessibile a tutti.
È nato così @storiesdimafia, che puoi visitare al seguente link: https://www.instagram.com/storiesdimafia/
In assenza di Instagram, di seguito sono riportati i contenuti trattati anche sul social.
Il pentitismo è un fenomeno che ha permesso di comprendere come agisce Cosa Nostra e quali sono i suoi segreti. Vendetta personale, convenienza, crisi di coscienza, questi sono solo alcune delle motivazioni per cui i pentiti decidono di collaborare con la giustizia.
La parola "pentito" in realtà è un’invenzione giornalistica in quanto il termine “collaboratore di giustizia” era troppo lungo da inserire nei titoli degli articoli. Pentito allude infatti a qualcosa di intimo, che comprende la sfera etica e la morale. Al contrario, qui si parla invece di una sorta di patto in cui colui che collabora con lo Stato, passando dalla sua parte, può ricevere in cambio benefici.
Il collaboratore viene dalla criminalità e racconta fatti criminali accusando prima sé stesso e poi tutti i suoi complici.
Il testimone è un individuo che ha assistito ad un fatto commesso dall’organizzazione criminale e per dovere civico, rischiando la propria incolumità, fornisce informazioni alla giustizia.
Oggi grazie al pentitismo si può pensare di continuare con successo la lotta alla mafia, anche perché il pentito riesce a mettere in bilico gli elementi fondanti dell’organizzazione criminale.
Purtroppo, però, la protezione e l’assistenza ai collaboratori di giustizia necessitano l’impiego di risorse economiche ingenti, che non possono mancare affinché non si interrompa questo elemento così importante per la lotta al fenomeno mafioso.
In relazione a questo fenomeno possiamo ricordare:
Leonardo Vitale
Tommaso Buscetta
Salvatore Contorno
Antonino Giuffré
Gaspare Spatuzza
Aveva infatti accusato nomi importanti quali quelli di Totò Riina, Rosario Riccobono, Vito Ciancimino e Pippo Calò.
Leonardo Vitale intraprese la sua carriera criminale a partire già dai 17 anni, iniziato dallo zio che per fargli prendere coraggio prima di commettere un omicidio gli fece uccidere un cavallo sparandogli alla testa.
A un certo punto della sua vita fu ricoverato in un manicomio, un po’ per le sue dichiarazioni alle forze dell'ordine e un po’ perché ritenuto non più sano di mente.
Fu ucciso nel 1984 mentre usciva da una chiesa di Cappuccini, dopo soli due mesi dal suo rilascio in libertà in seguito al ricovero nell’ospedale psichiatrico.
Il motivo per il quale Tommaso Buscetta acconsentì di collaborare è che aveva perso molti suoi parenti, uccisi dai Corleonesi di Totò Riina nel corso della Seconda guerra di mafia.
Buscetta nacque il 13 luglio 1928 e iniziò fin da giovane attività illegali nel mercato nero. Entrò a far parte di Cosa Nostra a soli 17 anni e durante la sua vita si trovò spesso in fuga.
Nell'estate del 1992, in seguito agli attentati in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Buscetta iniziò a rivelare i legami di Cosa nostra con il partito politico della Democrazia Cristiana, accusando gli onorevoli Salvo Lima e Giulio Andreotti. Ammalatosi di cancro, morì il 2 aprile 2000, all'età di 71 anni, a North Miami, in Florida, negli Stati Uniti, e fu sepolto qui sotto falso nome.
15 luglio 1984: Buscetta torna in Italia e inizia a collaborare con Falcone
Buscetta affermò sempre di non voler essere considerato uno spione o confidente, in quanto non spinto nelle sue confessioni da meschini calcoli opportunistici per ottenere dei benefici.
Buscetta denunciò tutta la struttura di Cosa Nostra, spiegando nel dettaglio i rapporti e le gerarchie mafiose.
Proprio lui fornì infatti le prove che condussero per la prima volta alla carcerazione a vita di molti boss mafiosi.
Dopo aver messo in luce la struttura verticistica mafiosa, Buscetta sottolineò le logiche di potere nel sistema criminale: i responsabili dei delitti commessi non erano gli associati all’organizzazione delinquente, ma i loro effettivi mandanti.
In assenza di Falcone, quindi, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Nonostante ciò, il giudice cercò costantemente di mettere il pentito in difficoltà e ricercare riscontri nelle sue dichiarazioni, sostenendo la necessità di mantenere sempre un certo distacco tra il collaboratore e lo Stato.
Senza le sue dichiarazioni non avremmo mai potuto riscrivere la storia della mafia e dell’antimafia.
Durante il Maxiprocesso si tenne il primo colloquio tra un pentito, Buscetta, e un imputato mafioso, ossia il capo di Cosa Nostra Pippo Calò.
Lo scontro avvenne in maniera nettamente controproducente per Calò, tanto che ciascuno degli avvocati degli incriminati ritirò la propria richiesta di confronto con Tommaso Buscetta, temendo che questa potesse risultare dannosa quanto lo era stata con il capo mafioso.
Così come Buscetta, anche Salvatore Contorno, detto Totuccio, fu convinto a pentirsi da Giovanni Falcone e attraverso il riscontro delle sue dichiarazioni (assieme a quelle di Buscetta) si è riuscito a trovare gli elementi per condannare moltissimi uomini d’onore.
Salvatore Contorno nasce a Palermo nel 1946 e fu particolarmente importante nel processo Pizza Connection, testimoniando negli Stati Uniti, e nella seconda guerra di mafia. Dopo l’uccisione del suo capo sfuggì nel giugno del 1981 da un agguato tesogli dai migliori killer di Cosa Nostra: Pino Greco e Giuseppe Lucchese. Fuggito da Palermo, nascondendosi dalle autorità, iniziò a collaborare con il vice-questore Ninni Cassarà.
Contorno venne arrestato il 23 marzo 1982 e ciò probabilmente gli salvò la vita.
Innanzitutto, egli, con un atteggiamento provocatorio, aveva offeso gli imputati, definendoli “infami”, ed era stato richiamato per tale offesa.
In secondo luogo, Contorno non parlava né l’italiano né tanto meno il siciliano classico, ma uno slang di palermitano e linguaggio mafioso e criminale, per cui fu necessaria una traduzione. Le difficoltà di comprensione furono tali da disorientare i giudici, rischiando di non poter utilizzare le dichiarazioni del pentito: il codice di procedura penale doveva necessariamente essere formulato in lingua italiana.
Antonino Giuffrè nacque il 21 luglio 1945. Fece parte di Cosa Nostra e con l’ascesa dei Corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, e l'arresto del boss di Caccamo, divenne capo del mandamento di questo paese (un territorio in provincia di Palermo definito come una zona tranquilla e neutrale).
Giuffré ha infatti permesso di mettere le mani su una quantità impressionante dei pizzini, ovvero biglietti con i quali Provenzano comunicava con tutti i suoi accoliti nelle varie parti della Sicilia. Attraverso questi si sono potuti ricostruire molte storie e si sono aperti molti filoni di indagine che hanno condotto a gravi responsabilità.
Nelle sue dichiarazioni ha parlato anche delle azioni di Bernardo Provenzano per sfuggire alla cattura. Quest’ultimo, considerato artefice di tutti i misteri e le trame di Cosa Nostra, fu così preso l’11 aprile 2006.
11 aprile 2006: Bernardo Provenzano viene arrestato
Pizzino: nel gergo della mafia, ciascuno dei foglietti scambiati tra i boss e i loro affiliati (per evitare di essere intercettati, telefonicamente o telematicamente), attraverso una fitta rete di intermediari, per dare informazioni o impartire direttive, adottando per motivi di sicurezza un linguaggio cifrato, comunque criptico. Da dizionario Treccani
Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, quando lo ha incontrato nella caserma della squadra mobile di Palermo racconta di avergli proposto, in quanto entrambi siciliani, di fare insieme qualcosa di utile per la propria terra. La risposta di Giuffré fu: “Sì, ma ognuno secondo il suo ruolo”, ovvero tu continua a fare il capo dell’antimafia, mentre io continuo a fare il capo della mafia.
Gaspare Spatuzza si pentì per una crisi morale, a cui pose fine dopo ben vent’anni di sofferenza. Gli rimordeva infatti la coscienza per il fatto che vi fossero persone innocenti condannate e altre colpevoli ancora libere.
Gaspare Spatuzza nacque l’8 aprile 1964 e fu un affiliato di Cosa Nostra. Era soprannominato, per la sua calvizie, “U Tignusu”, che vuol dire “il pelato”. Fu arrestato il 2 luglio 1997 presso l’ospedale Cervello di Palermo e da allora è in carcere.
Le sue dichiarazioni riguardarono la strage in Via d’Amelio e grazie a esse è stato possibile ricostruire ex-novo il contesto in cui è maturata. Si è riusciti in questo modo a far sorgere la presenza di qualcosa d’altro (oltre la mafia) in questa strage, come in altre poi a essa collegate.
La strage di via D'Amelio fu un attentato di stampo terroristico-mafioso avvenuto domenica 19 luglio 1992, in via Mariano D'Amelio a Palermo, in cui persero la vita il magistrato italiano Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, che al momento dell'esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta.