Stragi e depistaggi

Arianna Fengoni, Silvia Rusenenti e Eleonora Vivian (4^E)

1992-1993: mafia, attacco allo Stato

Nonostante si creda di sapere cosa effettivamente sia successo nei primi anni novanta del ‘900, così in fondo non è. Molti sono infatti i misteri irrisolti legati a quegli anni e le domande alle quali ancora non è stata trovata una risposta certa.

Il periodo delle stragi del 1992-1993 rappresenta il culmine dell’attacco stragista di Cosa Nostra allo Stato.

Rappresenta il periodo della storia della Repubblica italiana caratterizzato da una serie di attentati con ordigni, da parte dell'organizzazione criminale siciliana di tipo mafioso denominata Cosa Nostra. Quello che contraddistinse il periodo fu la natura particolarmente violenta delle azioni, per le quali furono utilizzate anche autobombe dallo straordinario effetto distruttivo.

Finirono sotto attacco membri della magistratura come i giudici Falcone e Borsellino (23 maggio e 19 luglio 1992), esponenti politici collusi con l'organizzazione mafiosa come l'eurodeputato democristiano Salvo Lima (12 marzo 1992), ma anche il patrimonio artistico-culturale italiano e personalità di fama nazionale come il giornalista Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), in quegli anni coinvolto in televisione in un'azione di contrasto alla mafia.

L’obiettivo principale fu quello di indebolire, colpire e ricattare lo Stato e influenzare il governo e la società civile.

“Bombe del 1992-'93” è un'espressione utilizzata solo per definire le stragi riuscite, ma tra il 1989 e il 1994 ci furono anche altri tentativi, falliti, di stragi.

21 giugno 1989: il fallito attentato all'Addaura

La mattina del 21 giugno 1989, degli agenti di polizia addetti alla protezione personale di Giovanni Falcone trovarono 58 cartucce di esplosivo all'interno di un borsone sportivo abbandonato sulla scogliera antistante la villa affittata dal giudice per l’estate in località Addaura, a Palermo.

Secondo le indagini dell'epoca, alcuni uomini non identificati piazzarono l'esplosivo, il quale non esplose: si parlò di un malfunzionamento del detonatore.

23 maggio 1992: la mafia uccide Giovanni Falcone

Il 1992 viene definito come il culmine dell’attacco della mafia allo Stato e segna l’anno in cui l’Italia piombò nel terrore.

Gli attentati e le stragi iniziarono dopo la conclusione del Maxiprocesso (30 gennaio 1992) e gli uomini coinvolti furono proprio coloro che avevano con successo preso parte.

La strage di Capaci fu un attentato di stampo terroristico compiuto dalla mafia siciliana (Cosa Nostra), in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Altri ventitre furono i feriti.

L'uccisione di Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni della “Commissione interprovinciale” di Cosa Nostra, avvenute tra settembre e dicembre del 1991. Queste riunioni erano presiedute dal boss Salvatore Riina, che insieme ai suoi collaboratori individuarono altri obiettivi da colpire.

Borsellino fu il giudice in prima linea nelle indagini della strage di Capaci.

Lui si impegnò per comprendere i motivi dell’omicidio del collega e amico, riuscendo anche a capire cosa fosse successo dietro la strage. Comprese che alla base di quell’evento vi furono anche entità esterne a Cosa nostra e i depistaggi che stavano caratterizzando l'inchiesta.

Falcone era stato ucciso non solo per la vendetta causata dagli esiti del Maxiprocesso, ma anche perché la mafia voleva bloccare preventivamente colui che stava per diventare Procuratore nazionale antimafia, quindi un nemico assicurato.

Inoltre questo omicidio fu architettato per evitare che ci fossero degli stravolgimenti politici, soprattutto nei partiti nazionali, dato che si era in piena stagione di "Tangentopoli".

Il giudice annotò lo sviluppo delle indagini in un’agenda rossa, che sparì misteriosamente nel luglio dello stesso anno, nei tragici eventi legati all'attentato in cui perse la vita.

19 luglio 1992: la mafia uccide Paolo Borsellino

57 giorni dopo la tragica strage di Capaci, la città di Palermo ricade nella disperazione. Un boato squarciò una semplice domenica estiva, facendo intuire che qualcosa di grave fosse avvenuto.

Mentre Borsellino era sotto casa della madre, un’autobomba esplose in via d’Amelio, portando alla morte, oltre che del giudice, anche della sua scorta.

Questo evento produsse, per reazione, effetti devastanti per l’organizzazione mafiosa, nonostante lo scoraggiamento generale immediato. In molti, moltissimi avevano perso le speranze di riuscire a combattere la mafia: se Cosa Nostra dava luogo a simili manifestazioni di forza, com'era possibile arrestarla e sconfiggerla?

Nelle indagini per capire chi avesse agito in via d'Amelio e in che modo, numerosi furono gli intoppi dovuti ai depistaggi o a punti irrisolti.

Il caso più eclatante è legato al depistaggio di Vincenzo Scarantino, il quale autoaccusandosi della strage resse una gigantesca forzatura per nascondere chissà quali altre partecipazioni al tragico evento.

Fu un gigantesco ed inaudito depistaggio sistematico che ha coperto alleanze mafiose di alto livello, una partita truccata contro la verità tra bugie e depistamenti.

Durante il processo, tre poliziotti del pool investigativo "Falcone-Borsellino" - Mario Bo, Fabrizio Mattei e MIchele Ribaudo - furono accusati di aver indotto, mediante minacce e pressioni, il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio.

Le parole del pentito non furono l’unico problema delle indagini. Nulla si sa di dove sia finita la tanto cercata agenda rossa di Borsellino, scomparsa dal luogo dell’eccidio mentre la macchina della vittima ancora fumava.

L’incarico di trafugarla però non fu portato avanti da Cosa Nostra, ma da uomini in giacca e cravatta piombati sulla scena del crimine ancor prima del convoglio completo della polizia. Probabilmente il giudice Borsellino aveva fatto nuove scoperte sulla strage Falcone e magari le aveva rivelate alla persona sbagliata. Questa intuizione portò ancora più interrogativi per quanto riguarda le interazioni, sempre più presenti e forti al tempo, tra mafia e Stato, dato che furono uomini dello Stato stesso a eliminare una prova così preziosa.

I moventi per questa strage, come per la strage di Capaci, ancora non si sanno con certezza, ma le ipotesi sono svariate.

Probabilmente Borsellino finì nel mirino della mafia perché voleva scoprire tutto sulla fine di Falcone, perché voleva riprendere in mano il dossier mafia e appalti, un’indagine che portava al Nord, ai colossi imprenditoriali legati alla mafia siciliana.

Non è da escludere però la possibilità che fosse solo un desiderio di vendetta o di intimidazione per proseguire e accelerare la "trattativa" allora in corso tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra.

Dietro si celerebbe quindi un interesse dei centri occulti del potere o anche il timore di una svolta politica verso i partiti di sinistra, scelta che avrebbe portato gravissimi problemi alla mafia, che non avrebbe più avuto il suo tradizionale referente politico a protezione.

La violenza non si arresta: le stragi del '93

La decisione dello Stato di continuare imperterrito a combattere la mafia, e la successiva cattura del boss mafioso che aveva dato via al tutto, Totò Riina (15 gennaio 1993), portò a una ripresa delle stragi.

Tra le svariate, si ricordano la tentata strage di via Fauro, che avrebbe dovuto colpire Maurizio Costanzo, ma che fallì a causa di un difetto del piano: si aspettavano Costanzo a bordo di un’altra auto e questo fece sì che non vi furono morti, ma solo feriti. Così come anche le stragi legate alle più importanti città italiane - Firenze, Milano e Roma - dove le stesse bombe al tritolo andarono a provocare grandi danni al patrimonio artistico di quelle città.

Le finalità erano svariate: tra le tante sicuramente c’era la volontà di ricattare la politica nazionale e attuare una vera e propria dimostrazione di forza, dai caratteri importanti anche a livello internazionale, per far sì che lo Stato venisse a patti con l'organizzazione mafiosa.

23 gennaio 1994: il tentato attacco allo stadio Olimpico

Il fallito attentato allo stadio Olimpico, organizzato da Cosa Nostra, sarebbe dovuto avvenire il 23 gennaio 1994 con l'esplosione di un'autobomba in viale dei Gladiatori a Roma, all'uscita dello stadio Olimpico, dove si trovava un presidio dei Carabinieri in servizio per la partita di calcio Roma-Udinese.

L'esplosione non avvenne per un malfunzionamento del telecomando che avrebbe dovuto innescare l'ordigno.

Stragi e depistaggi: quali verità?

A 30 anni dall’inferno delle stragi del 1992-'93 molti degli interrogativi rimangono intatti, nonostante 14 processi e la condanna del gotha di Cosa nostra. Vi sono ancora domande che ci continuano ad assalire e alle quali non si riesce ancora a dare una risposta concreta.

Nonostante la mancanza di una verità effettiva, di una cosa si è certi: le stragi furono fatte per sovvertire il naturale ordine democratico del Paese.

Questo capitolo della storia italiana non si è ancora concluso, non è ancora finito. Gli effetti e i problemi che causarono i disastri del 1992-'93 sono ancora tra noi.

La lotta per riscrivere la nostra storia e cancellare una delle pagine più vergognose italiane è tuttora in atto, una piena rinascita non è ancora arrivata.

Da allora però, grazie al nuovo slancio delle coscienze e agli importanti provvedimenti adottati dal Parlamento, abbiamo ottenuto risultati straordinari, tra cui la convinzione che riusciremo a sconfiggere le mafie e a godere di un’Italia non intaccata dalla corruzione e devastazione mafiosa.

Libri e film consigliati

  • Paolo Borsellino, di Gianluca Maria Tavarelli (miniserie televisiva, 200', 2004)

  • In un altro Paese, di Marco Turco (documentario, 92', 2005)

  • Giovanni Falcone, l’uomo che sfidò Cosa Nostra, di Andrea Frazzi e Antonio Frazzi (miniserie televisiva, 195', 2006)

  • Vi perdono ma inginocchiatevi, di Rosaria Schifani e Felice Cavallaro (film per la tv, 100', 2012)

  • Per questo mi chiamo Giovanni, di Luigi Garlando, Rizzoli, 2004