Arianna Fengoni, Silvia Rusenenti e Eleonora Vivian (4^E)
Rappresenta il periodo della storia della Repubblica italiana caratterizzato da una serie di attentati con ordigni, da parte dell'organizzazione criminale siciliana di tipo mafioso denominata Cosa Nostra. Quello che contraddistinse il periodo fu la natura particolarmente violenta delle azioni, per le quali furono utilizzate anche autobombe dallo straordinario effetto distruttivo.
Finirono sotto attacco membri della magistratura come i giudici Falcone e Borsellino (23 maggio e 19 luglio 1992), esponenti politici collusi con l'organizzazione mafiosa come l'eurodeputato democristiano Salvo Lima (12 marzo 1992), ma anche il patrimonio artistico-culturale italiano e personalità di fama nazionale come il giornalista Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), in quegli anni coinvolto in televisione in un'azione di contrasto alla mafia.
“Bombe del 1992-'93” è un'espressione utilizzata solo per definire le stragi riuscite, ma tra il 1989 e il 1994 ci furono anche altri tentativi, falliti, di stragi.
La mattina del 21 giugno 1989, degli agenti di polizia addetti alla protezione personale di Giovanni Falcone trovarono 58 cartucce di esplosivo all'interno di un borsone sportivo abbandonato sulla scogliera antistante la villa affittata dal giudice per l’estate in località Addaura, a Palermo.
Secondo le indagini dell'epoca, alcuni uomini non identificati piazzarono l'esplosivo, il quale non esplose: si parlò di un malfunzionamento del detonatore.
Gli attentati e le stragi iniziarono dopo la conclusione del Maxiprocesso (30 gennaio 1992) e gli uomini coinvolti furono proprio coloro che avevano con successo preso parte.
L'uccisione di Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni della “Commissione interprovinciale” di Cosa Nostra, avvenute tra settembre e dicembre del 1991. Queste riunioni erano presiedute dal boss Salvatore Riina, che insieme ai suoi collaboratori individuarono altri obiettivi da colpire.
Lui si impegnò per comprendere i motivi dell’omicidio del collega e amico, riuscendo anche a capire cosa fosse successo dietro la strage. Comprese che alla base di quell’evento vi furono anche entità esterne a Cosa nostra e i depistaggi che stavano caratterizzando l'inchiesta.
Falcone era stato ucciso non solo per la vendetta causata dagli esiti del Maxiprocesso, ma anche perché la mafia voleva bloccare preventivamente colui che stava per diventare Procuratore nazionale antimafia, quindi un nemico assicurato.
Inoltre questo omicidio fu architettato per evitare che ci fossero degli stravolgimenti politici, soprattutto nei partiti nazionali, dato che si era in piena stagione di "Tangentopoli".
Mentre Borsellino era sotto casa della madre, un’autobomba esplose in via d’Amelio, portando alla morte, oltre che del giudice, anche della sua scorta.
Questo evento produsse, per reazione, effetti devastanti per l’organizzazione mafiosa, nonostante lo scoraggiamento generale immediato. In molti, moltissimi avevano perso le speranze di riuscire a combattere la mafia: se Cosa Nostra dava luogo a simili manifestazioni di forza, com'era possibile arrestarla e sconfiggerla?
Il caso più eclatante è legato al depistaggio di Vincenzo Scarantino, il quale autoaccusandosi della strage resse una gigantesca forzatura per nascondere chissà quali altre partecipazioni al tragico evento.
Durante il processo, tre poliziotti del pool investigativo "Falcone-Borsellino" - Mario Bo, Fabrizio Mattei e MIchele Ribaudo - furono accusati di aver indotto, mediante minacce e pressioni, il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio.
Le parole del pentito non furono l’unico problema delle indagini. Nulla si sa di dove sia finita la tanto cercata agenda rossa di Borsellino, scomparsa dal luogo dell’eccidio mentre la macchina della vittima ancora fumava.
L’incarico di trafugarla però non fu portato avanti da Cosa Nostra, ma da uomini in giacca e cravatta piombati sulla scena del crimine ancor prima del convoglio completo della polizia. Probabilmente il giudice Borsellino aveva fatto nuove scoperte sulla strage Falcone e magari le aveva rivelate alla persona sbagliata. Questa intuizione portò ancora più interrogativi per quanto riguarda le interazioni, sempre più presenti e forti al tempo, tra mafia e Stato, dato che furono uomini dello Stato stesso a eliminare una prova così preziosa.
Probabilmente Borsellino finì nel mirino della mafia perché voleva scoprire tutto sulla fine di Falcone, perché voleva riprendere in mano il dossier mafia e appalti, un’indagine che portava al Nord, ai colossi imprenditoriali legati alla mafia siciliana.
Dietro si celerebbe quindi un interesse dei centri occulti del potere o anche il timore di una svolta politica verso i partiti di sinistra, scelta che avrebbe portato gravissimi problemi alla mafia, che non avrebbe più avuto il suo tradizionale referente politico a protezione.
Tra le svariate, si ricordano la tentata strage di via Fauro, che avrebbe dovuto colpire Maurizio Costanzo, ma che fallì a causa di un difetto del piano: si aspettavano Costanzo a bordo di un’altra auto e questo fece sì che non vi furono morti, ma solo feriti. Così come anche le stragi legate alle più importanti città italiane - Firenze, Milano e Roma - dove le stesse bombe al tritolo andarono a provocare grandi danni al patrimonio artistico di quelle città.
Le finalità erano svariate: tra le tante sicuramente c’era la volontà di ricattare la politica nazionale e attuare una vera e propria dimostrazione di forza, dai caratteri importanti anche a livello internazionale, per far sì che lo Stato venisse a patti con l'organizzazione mafiosa.
Il fallito attentato allo stadio Olimpico, organizzato da Cosa Nostra, sarebbe dovuto avvenire il 23 gennaio 1994 con l'esplosione di un'autobomba in viale dei Gladiatori a Roma, all'uscita dello stadio Olimpico, dove si trovava un presidio dei Carabinieri in servizio per la partita di calcio Roma-Udinese.
A 30 anni dall’inferno delle stragi del 1992-'93 molti degli interrogativi rimangono intatti, nonostante 14 processi e la condanna del gotha di Cosa nostra. Vi sono ancora domande che ci continuano ad assalire e alle quali non si riesce ancora a dare una risposta concreta.
Questo capitolo della storia italiana non si è ancora concluso, non è ancora finito. Gli effetti e i problemi che causarono i disastri del 1992-'93 sono ancora tra noi.
Da allora però, grazie al nuovo slancio delle coscienze e agli importanti provvedimenti adottati dal Parlamento, abbiamo ottenuto risultati straordinari, tra cui la convinzione che riusciremo a sconfiggere le mafie e a godere di un’Italia non intaccata dalla corruzione e devastazione mafiosa.
Paolo Borsellino, di Gianluca Maria Tavarelli (miniserie televisiva, 200', 2004)
In un altro Paese, di Marco Turco (documentario, 92', 2005)
Giovanni Falcone, l’uomo che sfidò Cosa Nostra, di Andrea Frazzi e Antonio Frazzi (miniserie televisiva, 195', 2006)
Vi perdono ma inginocchiatevi, di Rosaria Schifani e Felice Cavallaro (film per la tv, 100', 2012)
Per questo mi chiamo Giovanni, di Luigi Garlando, Rizzoli, 2004