Con ingegneria linguistica s'intendono le azioni volte a modificare consapevolmente l'uso della lingua. Queste azioni possono avere molte forme: cambiare l'ortografia, cambiare il significato delle parole, rendere desuete certe parole o introdurne di nuove, cambiare regole morfologiche o sintattiche, eccetera.
Sulla piccola scala, l'ingegneria linguistica è qualcosa di frequente, a cui spesso non si fa nemmeno caso.
Gli organi di normalizzazione che sistematizzano la nomenclatura dei campi del sapere tecnico-scientifici, attribuendo significati precisi alle parole e ponendosi come riferimento autorevole, compiono un'operazione d'ingegneria linguistica.
Le norme statali che cambiano i nomi di professioni, mansioni, istituzioni e procedure, che promuovono o scoraggiano certe forme linguistiche negli atti e nella comunicazione degli uffici pubblici, fanno ingegneria linguistica.
Chi corregge un errore d'un'altra persona («Si scrive un anno, non un'anno») combatte la diffusione dell'errore, quindi d'un potenziale cambiamento nell'uso, e, ancorché in funzione solo conservativa, compie una minima azione consapevole d'influenza sull'uso linguistico.
Quando si parla dell'argomento, generalmente non si fa riferimento ad azioni piccole come queste, trattando invece quelle più grandi e generali. La differenza è però solo quantitativa: qualitativamente si tratta della stessa cosa.
Per questi concetti si parla anche, a volte con sfumature diverse, di pianificazione linguistica e glottotecnica.
In Italia, come per altre questioni linguistiche, anche su quest'argomento si osserva oggi una generale diffusione di luoghi comuni sbagliati.
Sono particolarmente diffuse due idee, distinte ma a volte quasi sovrapposte. La prima è che l'ingegneria linguistica sia intrinsecamente futile, vana, perché —per quanto valide possano essere le intenzioni e notevoli i mezzi per perseguirle— la lingua è tanto grande e testarda che è impossibile modificarla secondo un progetto, e qualsiasi sforzo al riguardo è destinato a fallire. La seconda idea è che l'ingegneria linguistica sia intrinsecamente sbagliata in senso morale, perché la lingua è qualcosa di «naturale» e qualsiasi intervento «artificiale» su di essa è contro l'ordine delle cose, immorale e persino perverso.
È sufficiente conoscere un poco la storia e la natura delle lingue per vedere che entrambe queste idee sono inesatte.
Circa la prima, è vero che l'intrinseca vastità e complessità di qualsiasi lingua rende difficile maneggiarla e influenzarla, e si possono rammentare molti casi d'azioni anche cospicue che non hanno sortito gli effetti voluti; ma sono molti anche i casi d'interventi di successo, in cui le cose si sono sviluppate secondo i piani e le modifiche sono diventate parte del tessuto normale della lingua. Si tratta quindi d'un campo dove operare cambiamenti è indubbiamente difficile, ma evidentemente non impossibile; come in tanti altri aspetti della società e della cultura umana.
Circa la seconda idea, se le lingue sono sistemi naturali, soggetti a evoluzione non controllata, spontanea e a volte imprevedibile, è anche vero che allo stesso tempo tutte sono in parte —quale più e quale meno— creazioni artificiali: il risultato d'azioni e progetti coscienti volti a modificare il sistema. L'uomo è una creatura razionale e culturale, ed è proprio della sua natura, o addirittura parte della sua essenza, intervenire consapevolmente per modificare il mondo che lo circonda, lingua compresa. Per le lingue umane, così, è del tutto naturale e non contraddittorio essere in parte artificiali. Non sono gli elementi artificiali in una lingua a essere anomali; sarebbe semmai anomala, «innaturale», un'ipotetica lingua che non avesse nulla d'artificiale, di consapevole, nella sua storia e struttura.
L'ingegneria linguistica, insomma, è qualcosa di normale e connaturato al carattere stesso delle lingue umane; qualcosa che si è fatto e si fa (a volte fallendo, come in qualsiasi altra impresa umana) in tutti i luoghi e tutte le epoche.
Riportiamo, a mero titolo d'esempio, qualche caso della storia recente in cui estese operazioni d'ingegneria linguistica hanno avuto successo, con conseguenze concrete e durature.
Lo spagnolo lungo i secoli è stato sottoposto a numerose riforme ortografiche, che ne hanno via via raffinato il sistema grafico altamente regolare per cui è noto oggi. L'ultima riforma, sviluppata di concerto da tutte le accademie linguistiche dell'ispanofonia, è del 2010: regolarizza l'uso della q, sopprime l'accento grafico su certe parole, precisa le regole per la scrittura dei prefissi.
Nei decenni centrali del Novecento, la Cina ha fatto una riforma del sistema di scrittura della lingua, semplificando notevolmente la grafia di molti ideogrammi. Questi caratteri semplificati sono oggi il sistema grandemente maggioritario per scrivere il cinese.
In Finlandia, nella prima metà dell'Ottocento, una presa di coscienza identitaria spinse all'attenzione per una lingua nazionale (mentre, fino ad allora, la lingua dell'istruzione, della cultura e dell'amministrazione era lo svedese): il finlandese fu studiato, definito, curato e arricchito per renderlo una lingua completa, rigorosa e moderna, capace di parlare di tutto lo scibile umano. Divenne lingua ufficiale nel 1863.
Negli anni 20 del Novecento, la Turchia ha cambiato totalmente il sistema di scrittura della propria lingua, passando dall'alfabeto arabo a quello latino.
Tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, l'ebraico, un'antica lingua sacra senza più parlanti nativi, è stato modernizzato, arricchito lessicalmente e riportato nell'uso vivo per il mondo moderno: oggi è la lingua ufficiale dello stato d'Israele ed è la lingua madre di milioni di persone.
Addirittura, anziché modificare lingue esistenti o farne rivivere d'antiche, è possibile dar vita a lingue totalmente nuove. Il caso di maggior successo è l'esperanto, creato alla fine dell'Ottocento e da allora usato continuativamente da un'ampia comunità di parlanti; oggi si stima che questi siano nell'ordine delle centinaia di migliaia.