Anglocentrismo

Un centro dei pensieri

Un carattere dell'Italia odierna, linguistico ma anche più ampiamente culturale, è la tendenza a sovrastimare e sovraestendere la lingua inglese (sotto molteplici aspetti) e di conseguenza i paesi che ne sono il fulcro culturale (i paesi cosiddetti «anglosassoni»), attribuendo loro una presenza sproporzionata nella propria visione del mondo, spesso addirittura una centralità, che li impiega come parametro e misura costante delle cose.

Pur avendo importanti conseguenze pratiche, per la maggior parte degl'italiani si tratta d'un fenomeno involontario e inconsapevole; e come gran parte della questione «itanglese», è un fenomeno che si alimenta e fortifica da solo.

«Straniero» = «inglese»

L'anglocentrismo si manifesta in una tendenza a identificare i concetti di di «internazionale» o anche solo «straniero» (linguisticamente, geograficamente) col concetto di «inglese» (inteso in senso ampio: «anglosassone», «anglofono»). Se qualcosa viene dall'àmbito anglosassone, per gl'italiani è come se rappresentasse l'interezza del mondo esterno all'Italia; e, viceversa, se qualcosa viene da fuori d'Italia si dà per scontato che si debba intendere, trattare e interpretare come inglese.

Ciò è una sproporzione: nel recente 2022 i popoli nativamente anglofoni rappresentavano appena circa il 5 % della popolazione del pianeta. Se l'Italia rappresenta meno dell'1 %, c'è circa un 94 % del mondo che viene costantemente messo in secondo piano dall'anglocentrismo.

Esempi nell’uso linguistico

I casi pratici che mostrano questo meccanismo mentale sono molti; ne riportiamo solo alcuni, di tipi diversi.

«America» = «Stati Uniti»

Un anglicismo semantico che passa inavvertito, ma ha conseguenze importanti per la nostra visione del mondo, è l'uso di America e americani per indicare non la totalità del continente e dei popoli che lo abitano, dal Canada alla Patagonia, ma solo gli Stati Uniti e gli statunitensi. Ciò segue l'uso inglese, che impiega America e American con questo significato ristretto, ed è andato imponendosi in italiano e altri idiomi per la forza culturale dell'inglese. La cosa è problematica perché di fatto priva l'italiano di parole immediate per indicare il continente e i suoi abitanti. Così, quando si nomina l'«America» pensiamo istintivamente alla bandiera a stelle e strisce: ciò che è fuori dagli Stati Uniti non si presenta alla mente, o è appena una pennellata sullo sfondo.

Imprecisioni del genere (sineddochi: «la parte per il tutto»), naturalmente, sono comuni nelle lingue, anche nell'àmbito geografico stesso: Inghilterra per 'Regno Unito', Olanda per 'Paesi Bassi'... ma questa spicca per la vastità (e differenza) dei concetti trattati, e la ricorrenza quotidiana nelle notizie e nel discorso comune, che finisce per creare una visione distorta del mondo.

Se confondiamo Inghilterra e Regno Unito, stiamo dimenticando alcune regioni d'un singolo paese, per un totale di «solo» 10 milioni di persone, e 110.000 chilometri quadrati di terre emerse: non molto, relativamente alla vastità del pianeta.

Anche confondendo Olanda e Paesi Bassi stiamo dimenticando alcune regioni d'un paese, per «solo» 11 milioni di persone, e e 34.000 chilometri quadrati.

Confondendo America e Stati Uniti, invece, stiamo dimenticando decine di paesi indipendenti per un totale di 650 milioni di persone e un'area di 32,7 milioni di chilometri quadrati: una parte del mondo più vasta dell'Africa intera.

Rappresentazione sproporzionata del mondo anglosassone

La cultura e l'informazione, in Italia, spesso tendono a dare ai paesi anglosassoni uno spazio eccessivo rispetto alla loro effettiva dimensione rispetto al resto del mondo.

Un esempio fra tanti: pensiamo ai comuni telegiornali della TV pubblica. Quasi ogni sera sul primo canale c'è un servizio sulla famiglia reale britannica: guardando i telegiornali italiani, un visitatore straniero che venisse in Italia potrebbe credere che l'Italia faccia parte del Commonwealth. Ci sono parecchie altre monarchie nel mondo, e anche solo in Europa (Spagna, Norvegia, Svezia, Danimarca, Belgio, i Paesi Bassi...), ma lo spazio mediatico dedicato a quella britannica, in TV e sui giornali cartacei italiani, è enormemente maggiore di quello dedicato a tutte le altre messe insieme, che al confronto è come se non esistessero.

Pensiamo alla narrativa: nel 2021, secondo i dati dell'ISTAT, metà della narrativa straniera per ragazzi, in Italia, era tradotta dall'inglese. Se gli anglofoni nativi sono il 5 % dell'umanità, ma fanno il 50 % della narrativa straniera per questa fascia, sono rappresentati dieci volte più del loro peso demografico effettivo. È chiaro che con numeri come questi intere generazioni rischiano di sedimentare dentro di sé, senza nemmeno rendersene conto, una sproporzione rispetto ai veri numeri del mondo, confermando il circolo vizioso, con tutto ciò che comporta.

«Intraducibilità» e limitatezza di vedute

Un ultimo esempio di anglocentrismo, lampante nella sua «assurdità», che si ricollega al tema del provincialismo, è la convinzione di molti italiani che gli anglicismi siano usati in tutti i paesi come sono usati oggi in Italia, o addirittura che le parole della lingua inglese siano intrinsecamente «intraducibili».

Ciò appare già bizzarro sul piano teorico; ma è comunque immediatamente smentibile sul piano pratico. Di fatto, molti anglicismi crudi d'uso frequente in Italia non sono poi tanto comuni:

Perché allora si crea questa strana idea dell'intraducibilità?

Il fenomeno che crea questa misconcezione è ancora una volta l'anglocentrismo: nel mondo mentale di molti italiani esistono linguisticamente i paesi anglosassoni, che usano una certa parola inglese, ed esiste l'Italia, che usa la stessa parola inglese: quindi, se si fa così sia all'estero sia in Italia, se ne desume che tutto il mondo e tutte le lingue usano la parola inglese. Il fatto che i paesi anglosassoni rappresentino solo un pezzetto minuscolo dell'«estero» sembra non essere minimamente considerato.