Sovrarrappresentazione o sovrarappresentazione?
di Giulio Mainardi
di Giulio Mainardi
Una questione sollevata nell'API nel 2024 riguardava quale forma fosse preferibile nell'incontro del prefisso sovra- col sostantivo rappresentazione: sovrarrapresentazione con r geminata (sovrarra-) o sovrarappresentazione con r scempia (sovrara-)?
Come prima cosa si può osservare che, in entrambe le forme, il termine è alquanto «ponderoso» per i canoni dell'italiano, e, se ci stiamo interrogando perché abbiamo un bisogno pragmatico d'usare la parola, il concetto si può esprimere anche, e forse meglio, con espressioni più aperte, meno compresse: rappresentazione sproporzionata, eccessiva, smodata, soverchia, sovrabbondante, esagerata... In italiano abbiamo tanti sinonimi, per cui possiamo individuare la sfumatura più adatta con precisione. Per il testo dell'API che si stava redigendo si optò appunto per un'espressione alternativa.
Tornando al dubbio grammaticale, nel vocabolario Treccani leggiamo che sopra- o sovra-
produce di norma il raddoppiamento della consonante semplice con cui ha inizio la parola seguente (soprappiù, sovrapporre); ma questa regola, se è pressoché assoluta per le parole più diffuse e più antiche, è scarsamente seguita per voci non popolari, per composti moderni e quindi per la maggior parte dei termini tecnici (cfr. sopracomposto, sopracornice, sopradominante, soprametallo, soprarenale, sovratensione, ecc.) o per composti dei quali è in uso, con lo stesso sign[ificato] o con sopra in funzione avverbiale, anche la forma staccata; per parecchie parole, anche di uso com[une], si hanno oscillazioni più o meno sensibili tra le due grafie (sopralluogo o sopraluogo, soprattassa o sopratassa, sopravvalutare o sopravalutare, soprattutto o, meno spesso, sopratutto, ecc.).
Su questi ultimi quattro termini citati c'è da notare una cosa, ma ci arriviamo più avanti.
In linea con quanto osservato dal vocabolario, una rapida ricerca in Rete ci mostra che per il nostro termine oggi la forma con r scempia è ampiamente prevalente.
A parer mio, non c'è motivo d'avere una regola diversa per certi composti moderni: osservando l'oscillazione che si ha per certi termini, e mirando a una coerenza linguistica generale, dovendo scegliere mi pare preferibile seguire «le parole più diffuse e più antiche» per le quali il raddoppiamento è «pressoché assolut[o]»: soprannome, soprammobile, sopravvenire, sopravvivere, sovrannaturale, sopracciglio, soprassalto, sovrappeso, sovraccarico, sopraggiungere, sopraffare, soprammercato, soprappensiero, soprannumero, soprannumerario, sovrappasso, sopraffino...
Qua e là, dove troviamo il raddoppiamento in termini tecnico-scientifici, non sembra stonare: penso a soprassaturo, sopraffuso. Se in altri casi ci stona, quindi, sembrerebbe più un fatto d'abitudine ai singoli termini che di suono intrinseco.
Termini come sovrastare, soprascrivere o sovrastruttura, si noti, non contrastano con la regola del raddoppiamento, perché s'intende che esso si verifica solo se è fonotatticamente possibile: e in italiano gruppi come -sst-, -sscr- o -sstr- non sono possibili.
Per il nostro caso, trattandosi d'un termine relativamente recente (inizia a diffondersi intorno al 1950), raro e di struttura molto trasparente, usare il raddoppiamento —anche se minoritario nell'uso per questo termine specifico— non mi sembra fuori luogo. Infatti, una persona che non avesse già incontrato la forma con r scempia e coniasse il vocabolo (o un altro vocabolo di struttura simile) per conto suo, guardando alla tradizione troverebbe motivi per farlo più naturalmente con r doppia, e potrebbe avere la sensazione che la forma scempia sia persino «monca».
Quando ne discutemmo si ipotizzò che sovrarappresentazione con r scempia potesse essere preferito nell'uso per una deviazione consapevole, per evitare un'r in più un po' pesante in una parola che ne ha già tante; non posso escludere un contributo di quest'elemento, ma credo che la diffusione di questa forma si spieghi più che altro col generale spostamento del centro sociolinguistico dell'italiano verso settentrione: nei cui usi regionali, com'è noto, vari raddoppiamenti tendono a indebolirsi, o a sparire del tutto (pensiamo al raddoppiamento fonosintattico in generale).
Pur preferendo la doppia, avendo una situazione generale un po' ballerina, con una prevalenza diversa nell'uso in questo caso, la forma con r scempia non mi sembra comunque censurabile.
(Circa l'alternanza di sopra- e sovra-, notiamo —senza divagare— che la seconda forma oggi è spesso sentita di tono più sostenuto, e quindi preferita per termini tecnici; ma la forma sopra-, più antica, è comunque valida, per cui si può dire anche soprarrapresentazione. Entrambe le varianti sono diffuse per molti termini, quindi c'è una certa libertà. Si faranno valutazioni di gusto e opportunità).
Dicevamo che c'è qualcosa da rilevare sui termini per i quali il Treccani indica «oscillazioni più o meno sensibili» nel raddoppiamento: sopralluogo, soprattassa, sopravvalutare, soprattutto.
Per sopralluogo osserviamo che nella prima metà del Novecento la variante scempia, sopraluogo, è stata ampiamente predominante, con sopralluogo relegato a una piccola minoranza. La situazione si è poi ribaltata e da decenni sopralluogo predomina: da una situazione pur solida si è avuta un'inversione totale, con l'allineamento all'uso tradizionale. Ne parlava Castellani in Neopurismo e glottotecnica: l'intervento linguistico secondo Bruno Migliorini (2009 [1979]). Riporto il passo intero:
Mi sia permesso di citare un aneddoto. Nel «Corriere della sera» del 6 aprile 1967 un lettore di Sesto S. Giovanni, il signor Niso Franceschini, protestava contro l’uso della forma sopraluogo invece di sopralluogo. Il direttore (o chi per lui) rispondeva che la forma con una sola l era preferita negli atti giudiziari.
Scrissi al «Corriere» in favore di sopralluogo, e la mia richiesta fu appoggiata da vari linguisti e filologi, alcuni dei quali si trovavano a Roma, in quei giorni, per una libera docenza: Ignazio Baldelli, Giacomo Devoto, Gianfranco Polena, Piero Fiorelli, Scevola Mariotti, Oronzo Parlangeli, Aurelio Roncaglia, Francesco Sabatini. La lettera, che uscì nel «Corriere» del 12 aprile con un corsivo di piena adesione da parte del direttore, diceva tra l’altro: «In italiano c’è tutta una serie di parole colla doppia dopo sopra: sopracciglio, sopraffare, sopraggiungere, soprannome, ecc. Un’eccezione per sopralluogo non sembra giustificata, anche se la parola è di formazione recente. Di eccezioni in italiano ce ne sono già tante che è meglio – quando si può – evitarne una nuova di cui non c’è bisogno e che non ha una ragione storica. Del resto il linguaggio degli atti giudiziari (che non costituisce sempre un modello esemplare) oscillerà certo fra le due forme. Ho l’impressione che il Corriere della sera, scrivendo sopraluogo invece di sopralluogo, piuttosto che seguire un uso già stabilito, contribuisca a crearlo». Avevo aggiunto una previsione (naturalmente censurata): che se il «Corriere» avesse accolto stabilmente la forma con due l, nel giro di qualche anno – dato il prestigio del giornale – quella forma sarebbe divenuta d’uso generale. La previsione s’è avverata. Nel «Corriere», da allora, s’è letto soltanto sopralluogo; e così scrivono ormai gli altri giornali. Chissà che non lo facciano anche i cancellieri dei tribunali.
A più di quarant'anni di distanza da questo scritto, vediamo che sopralluogo è stabilmente predominante, mentre la variante scempia si è ridotta a una piccola minoranza. Sopralluogo si sarebbe forse imposto anche senza l'iniziativa di Castellani: analizzando i corpi testuali con gli strumenti informatici odierni, vediamo che un'inversione nell'uso era già iniziata.
Cose simili si osservano per gli altri tre termini: cospicua prevalenza della scempia agl'inizi del Novecento, poi a un certo punto un'inversione (in momenti diversi: circa 1938 per soprattutto, circa 1955 per sopravvalutare, circa 1975 per soprattassa), e oggi un'ampia prevalenza della doppia.
Insomma, la lingua può cambiare in tempi brevi, situazioni apparentemente solide possono ribaltarsi; e a volte, come in questi casi, il cambiamento è positivo, con forme «anomale» che vengono sostituite da altre più naturalmente in linea con la tradizione.
Oggi sovrarrappresentazione è molto minoritario, ma non è assurdo pensare che un giorno sarà il contrario; e, ritenendo questa forma preferibile, possiamo usarla tranquillamente già oggi, facendo con la nostra scelta consapevole una piccolissima operazione d'ingegneria linguistica.
Castellani, naturalmente, in quello stesso testo avvisava che le iniziative individuali hanno possibilità di successo molto scarse. Ma ciascuno di noi può piantare semi, che forse attecchiranno; se siamo in tanti a farlo, avremo un bel raccolto.