Didone

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PAROLE DI REGINA

Ci ritroviamo con la regina Didone, una delle donne più notevoli del mondo virgiliano, una donna nobile, modesta, umile e capace di gestire ogni difficoltà. 


Intervistatore: Regina, vi chiedo di raccontare cosa l'ha spinta a scappare da Tiro


Didone: Fui costretta a fuggire dalla mia città in seguito alla morte di mio padre Belo e di mio marito Sicheo, per mano di mio fratello Pigmalione, re fenicio, che agì impulsivamente per impossessarsi delle sue ricchezze. Non sapevo però che era stato mio fratello stesso a compiere queste orribili azioni: a lungo fui ingannata da Pigmalione, finché finalmente fui avvertita in sogno delle sue malvage azioni dall’ombra insepolta di Sicheo, ed entrai così in rivalità col mio stesso fratello. Mi diedi allora alla fuga, portando con me i tesori di Tiro e connazionali a me fedeli. Viaggiai per mari e per monti cercando una nuova terra in cui ritrovare me stessa, e una volta approdata in Libia, la acquistai per costruire la nuova città di Cartagine, esistente ancora oggi. La forza che mi spinse a compiere questo viaggio coraggioso fu la paura che provavo all’idea di fare la stessa fine del mio povero marito. Inoltre non avevo più affetti a Tiro, avendo perso i miei cari, per cui non avevo più motivo di rimanere lì, volevo ricominciare da capo. Il mio nome, infatti, mi fu attribuito dagli abitanti della terra africana in cui approdai, e significa “la fuggitiva”.


I: Quali aspetti di Enea l’hanno portata ad innamorarsi?


D: Incontrai il principe troiano Enea quando fece naufragio sulle rive di Cartagine dopo essere sfuggito alla distruzione di Troia con il padre Anchise, il figlio Ascanio e i compagni. Non giunsi impreparata all’incontro, infatti conoscevo già le imprese dell’eroe nella guerra di Troia. Nonostante io mi fossi votata alla castità dopo l’uccisione di Sicheo, e avevo dunque promesso che non mi sarei più innamorata per restargli fedele per sempre, accolsi benevolmente i Troiani e mi innamorai di Enea. Enea si trovava visibilmente in uno stato di preoccupazione, ansia, il suo pensiero principale andava alla sua salvezza, a quella dei compagni e a come ringraziarmi degnamente per l’accoglienza. Data la terribile vicenda vissuta, Enea vede il mondo con occhi sofferenti per via delle varie perdite, proprio come me; dalla mia sventura ho tratto un insegnamento per commiserare l’altrui disgrazia, conoscendo la sofferenza imparo a soccorrere chi soffre. Compresi dunque le sofferenze provate da Enea e dai suoi compagni e non ignorai il loro dolore e li invitai caldamente nel mio regno. Inizialmente mi sentii angosciata e turbata,  così mi confidai con mia sorella Anna; di Enea mi colpirono la fierezza, il coraggio e le qualità morali, il valore e la gloria della sua stirpe, oltre a una bellezza straordinaria, quasi divina. Quindi, nonostante il patto che feci, mi innamorai ugualmente di lui e diventammo amanti. 


I: Potete descrivere a fondo la vostra visione del dolore, e come vi ha portato a ritrovare voi stessa?


D: Tutto parte da un vuoto che si apre non appena perdiamo la sicurezza della nostra vita;  questa sicurezza deriva dalle piccole abitudini che compongono la nostra quotidianità sulla quale scommettiamo tutto, in particolare il futuro. L’obiettivo di ciascuno è quello di crearsi una zona di sicurezza e comodità nella quale ci stabilizziamo, nella speranza di proteggerci dal male. Ma non appena le piccole abitudini vengono meno, la nostra giornata, dunque la vita, si destruttura, si destabilizza e si apre in noi proprio quel vuoto da cui derivano le sofferenze che ci assalgono. In qualche modo ci aggrappiamo a questo dolore in quanto esso è l’unica certezza “visibile”: è qui che parte quello che si chiama il percorso di guarigione, lasciando andare il peso della perdita e facendo in modo di ritrovare dentro di noi le sicurezze perdute. Accettare la mancanza e fare i conti con ciò che ci rimane è la condizione per cui impariamo le lezioni di vita, quelle esperienze che ci guidano nel cammino di tutti i giorni. Ho dunque imparato a vedere in me quella forza, sicurezza, grinta per andare avanti e affrontare di nuovo una vita coraggiosa. Il mio punto di forza infatti sono io, mi reputo la persona che ha salvato la mia vita, che nonostante le difficoltà è riuscita a rimettersi in pista e vincere contro la tentazione di abbattersi, perché noi siamo le scelte che facciamo


I: Grazie infinite per le vostre parole, le prenderò come un prezioso insegnamento. 


Pagina curata da Beatrice De Lorentis e Lucrezia Librizzi