Melibeo  

Melibeo è un personaggio che appare nell'Egloga I delle Bucoliche di Virgilio. 

È un contadino costretto a lasciare la sua casa e i suoi campi, che gli sono stati tolti per premiare i soldati delle legioni dei triumviri 

(Marco Antonio, Ottaviano, Lepido) vincitori della battaglia di Filippi (42 a.C.). 

LA VOCE DI MELIBEO


Melibeo,  potresti descrivermi il tuo stato d'animo in questo momento? Che emozioni stai provando?

Provo rabbia, tristezza, paura e gelosia. Provo rabbia perché i miei campi, la mia casa, il mio "regno" mi sono stati tolti ingiustamente, e adesso passeranno a un rozzo soldato che non saprà prendersene cura. Provo tristezza, perché non so se mai potrò rivedere la mia povera casa, che però per me era come un palazzo degno di un re. Non so se mai rivedrò i miei campi, le mie spighe. Mi mancano già. Provo paura, perché non so cosa o chi incontreranno me e il mio gregge: dovremo trovare una nuova dimora, una nuova vita, e per farlo dovremo compiere un duro viaggio in capo al mondo. Chissà quali pericoli e difficoltà ci aspettano. Provo, inoltre, gelosia nei confronti del mio caro amico Titiro, perché lui può permettersi di riposare sub tegmine fagi, dato che il suo misterioso amico, il deus che dimenticherà solo quando "i pesci brucheranno l'erba", lo ha salvato dall'avere la mia medesima sorte. 


Immagino quanto possa essere difficile dover trovare una nuova vita.  Potresti parlarmi della vita di campagna "virgiliana" che stai lasciando alle spalle?

Era modesta e laboriosa, ma era perfetta. Era così tranquilla e distaccata dal resto della società che eventi storici, come la battaglia di Filippi, ad esempio, e città sterminate come Roma sembravano surreali. I paesaggi intorno a cui ruotava la mia vita erano meravigliosi: ero circondato da dolci campi e verdi colline. Mi sembrava di essere inserito in una realtà magica, fuori dal tempo, immune dalle stagioni: ad esempio, il mio amico Titiro era sotto l'ombra di un faggio, presumibilmente per rifugiarsi dal caldo, come si fa in estate, ma contemporaneamente mi aveva offerto una cena modesta di castagne e mele, cibi autunnali e non estivi.  Insomma, la vita di campagna, la vita che una volta era la mia, era una vera e propria utopia, un vero miracolo. 


Qual è la tua preoccupazione principale di fronte alla tua transizione da questa vita utopica, che hai appena descritto, all'essere inserito nella società "normale"?

Sono solamente un umile contadino, anzi, senza le mie terre non posso definirmi neanche quello, quindi non pretendo di capire l'attuale situazione politica di Roma o le faccende dei triumviri, ma devo dire che questa realtà, che poco tempo fa mi sembrava così lontana, mi preoccupa enormemente. 

Non è un segreto che Roma sia in una situazione critica e in preda a costanti conflitti interni (basta guardare quello che è successo a Filippi tra l'esercito romano dei cesaricidi e l'esercito romano triumviro).    La mia paura più grande, ora che dovrò inserirmi nella società "normale", è che non vedrò mai più un momento di pace e stabilità.  La morte di Cesare ha lasciato un grande vuoto di potere, che ora sembra tutti vogliano riempire. Spero solo che qualcuno lo colmi presto e ristabilisca la pace e la stabilità.  Chissà, forse sarà lo stesso deus di cui Titiro parla così bene!


pagina curata da Mary Joyce Luker