Camilla

Donne e guerra

I (intervistatore): Eccoci, Camilla, oggi parleremo un po' di te, se ti va bene.

C (Camilla): Certo, mi farebbe molto piacere.

I: Allora possiamo cominciare. Tu sei una guerriera, giusto? Sei stata cresciuta da tuo padre nei boschi, abituata alle armi. Non hai avuto modo di imparare le arti femminili, come tessere. Come ti ha influenzata tutto questo, in relazione al fatto di essere donna?

C: Spesso è in relazione al ruolo che si ha in una società che si stabilisce cosa voglia dire essere uomo o essere donna. È vero che io sono una guerriera e che ho partecipato a una guerra, sono attività più facilmente associabili ad un uomo. Nonostante questo non credo che ciò che faccio cancella il mio essere donna. Non so fare ciò che è più comune alle donne, ma non lo sento come un problema: le armi sono ciò con cui mi sono sempre identificata sin da bambina, non potrei cambiarle con altro. In più, il mio stile di vita vuole rispecchiare la mia devozione alla dea Diana, che è una femmina, a dimostrazione del fatto che non ho bisogno di conoscere i lavori femminili, quali tessere e filare, per considerarmi una donna.  Oltre a questo motivo, ne ho un altro per dire che la mia femminilità è evidentissima: quando mi hanno visto scendere in campo, tutte le madri mi ammiravano, e non ero certo l'unica guerriera: al mio seguito ho avuto una schiera di compagne; è per questo che non credo che la mia situazione sia particolare in relazione all'essere una donna, perché per me è sempre stato così: dipende da come si è stati cresciuti.

I: Sono felice che tu abbia menzionato le tue compagne, doveva essere la mia prossima domanda. Parlami un po' di loro e di ciò che vi lega.

C: Amo le mie compagne. Siamo tutte legate da una forte fiducia. In campo sai sempre che c'è qualcuno lì per te. Questa consapevolezza dà anche una sorta di sensazione di sollievo, sapendo della presenza di qualcuno disposto a caricarsi parte le peso sulle spalle. E poi è un'amicizia, si crea inevitabilmente un legame. Dovevi vedere come sono tutte accorse, le mie compagne, quando sono stata trafitta dalla lancia di Arunte! Non c'era più speranza per me, ma sono accorse lo stesso e sono state con me. È ad Acca, la mia compagna più fedele, che ho detto le mie ultime parole e ho affidato il messaggio per Turno. Immagina se non l'avessi potuto fare, se non avessi potuto dire a nessuno le mie ultime parole.

I: Sono d'accordo. L'amicizia e la fiducia per qualcuno sono tesori da tenersi stretti e bisogna ritenersi fortunati, se se ne può godere. So che è un argomento delicato, ma posso chiederti cosa successe, perché sei stata trafitta?

C: Provo un po' di vergogna ripensando a quell'avvenimento, devo dirlo. È stata colpa mia, una mia distrazione. Colpa della cupidigia, della bramosia, direi. L'armatura di Cloreo mi ha fatto perdere la concentrazione: volevo prendere lui per impossessarmi della sua armatura. Concentrandomi solo su di lui ho perso la visione di tutto il resto. Per questo fui colta di sorpresa: Arunte era nascosto nella boscaglia e mi puntava da tempo. Che rimorso! Se solo non mi fossi distolta da quello che era il vero obiettivo! Appena trafitta quasi non mi accorsi della ferita, mi sorpresi, ma soprattutto dell'errore del mio comportamento.

I: Camilla, può succedere di sbagliare. A volte un errore porta a piccole conseguenze, a volte a danni più seri, come nel tuo caso.

C: Lo so, sono grata al cielo che il mio errore abbia gravato, per la maggior parte, solo su di me: forse, anche con me sul campo, Turno avrebbe perso lo stesso. Non posso non concludere mostrando la mia gratitudine a Diana: fu per suo volere che, subito dopo di me, Arunte fu ucciso. Io le sono stata devota e fedele e questo suo gesto significa molto per me.

pagina curata da Lara Whalley e Jacopo Dalla Rosa