Storie di Psicologia

Psicologia, un viaggio
per costruire relazioni

Durante questa intervista lo psicologo Guido Veronesi ci ha raccontato la complessità del suo percorso formativo dagli studi universitari fino al dottorato e alla sua attuale professione. È stata confermata l’importanza della passione individuale come motore per raggiungere qualsiasi obbiettivo nella vita. In particolare, lo psicologo ha evidenziato quanto sia importante fare anche delle scelte morali nella professione esercitata. Ci ha, inoltre, avvertito che in questo settore oggi esistono molte più difficoltà rispetto al passato, nella ricerca di uno sbocco professionale. Ci auguriamo che le informazioni presenti in questa intervista possano far riflettere e indurre a una scelta motivata, poiché la psicologia resta un campo di ricerca aperta e interessante. Ora non vi resta che proseguire nella lettura!

Guido Veronese. Psicologo, attualmente insegnante all’università Bicocca di Milano nel dipartimento di Scienze umane, dell’educazione e delle scienze primarie.


Riguardo il suo lavoro, che cosa l'appassiona, che cosa continua a mandarla avanti nella sua professione?

È un lavoro piuttosto vario che mette insieme tutte le mie competenze. Attualmente insegno all'università Bicocca a Milano. Sono nel dipartimento di scienze umane, dell'educazione e delle scienze primarie, e mi occupo dei futuri educatori professionali. Ho un dottorato in psicologia clinica e di comunità e in psicopatologia dello sviluppo. Insegno, inoltre, nel dottorato di ricerche in scienze umane. Infine, sono specializzato in psicoterapia individuale della coppia e della famiglia.

Il mio lavoro consiste nel riflettere sulle relazioni collettive ma anche su come l'individuo si relaziona con il mondo esterno. Faccio psicoterapia anche nella clinica universitaria e supervisiono relazioni familiari in contesti di violenza, di estrema di guerra, di povertà in Medioriente e nell’Africa subsahariana. Tutti i lavori che svolgo sono interconnessi tra loro.

Una cosa che mi appassiona è sicuramente il viaggio, soprattutto andare in quelle zone del mondo dove il livello di ingiustizie è più elevato, ma anche per conoscere persone e culture differenti. I numerosi viaggi che ho fatto hanno cambiato me stesso e soprattutto i miei pregiudizi.


Come si è avvicinato al suo lavoro e cosa l’ha spinta a scegliere proprio psicologia?

Credo che molte scelte siano dovute al caso e che esse spesso siano orientate da un destino invisibile che non ci scegliamo e che anzi ci ha scelto.

Ho frequentato il liceo classico, ma ero appassionato di altre cose non molto vicine al mondo scolastico. Avevo una grande voglia di viaggiare e scoprire il mondo. Volevo uscire di casa e trovare la mia strada. Dunque, scelsi una facoltà umanistica con la prerogativa che fosse fuori dalla mia città.

Al tempo le facoltà di psicologia erano solo a Padova, a Roma e a Palermo. Andai a Padova, dove mi iscrissi alla facoltà quinquennale e rimasi lì anche per l’anno di tirocinio post-laurea per iniziare una collaborazione con questa università che però poi abbandonai.

Non ero ancora particolarmente convinto sulla mia scelta, tuttavia mi appassionai: dopo il primo anno di laboratorio in neuropsicologia a Padova, capii però che quella non era la vita che volevo fare, poiché giudicavo quell’ambito disciplinare troppo circoscritto. Tornai quindi a Milano, dove frequentai la scuola di specializzazione in psicologia sistemica, percorso totalmente diverso dal mio precedente. Nel frattempo lavorai come educatore nell’assistenza domiciliare per i minori e come educatore di strada nella prevenzione delle tossicodipendenze. Cominciai così realmente ad appassionarmi alle relazioni, alle persone e a nuovi ambiti sociali e iniziai anche a pensare ad un altro modo di fare psicologia. In seguito cominciai il dottorato in psicologia clinica, continuando la mia ricerca in questo ambito. Fu un percorso molto lungo. Infatti, solo intorno ai trent’anni capii che la psicologia era davvero la mia vera vocazione.


Le proposte di lavoro ricevute sono state coerenti con le aspettative e con il suo percorso di studi?

Le offerte di lavoro non mi sono mai arrivate ma le ho cercate io, costruendomi un percorso di crescita, che mi portò, per ampliare le mie possibilità di scelta, a fare un dottorato coerente con la mia carriera accademica e clinica. Così mi costruii da solo degli sbocchi lavorativi, andando anche a contattare alcune realtà del Medio Oriente, dove cominciai un lavoro di cooperazione. Questo perché mi interessava la psicologia dal basso, ossia quella che si costruisce attraverso la scoperta diretta.

Oggigiorno è difficile, per i neolaureati, riuscire ad accedere ad una grossa offerta di lavoro. Infatti, rispetto a quando io iniziai, al giorno d’oggi si contano circa un centinaio di università che hanno indirizzi di studio in psicologia. Dunque, abbiamo un eccessivo numero di neolaureati che vengono introdotti in maniera anche discutibile nei settori più consumistici del mondo del lavoro. Ciò vuol dire che la domanda diventa nettamente superiore all'offerta.

In Italia, oltretutto, si sfornano annualmente lo stesso numero di neopsicologi che in tutta Europa, con la differenza che, rispetto all’Italia, in altri paesi gli sbocchi lavorativi sono più numerosi. Perciò, chi oggi decide di approcciarsi a questo tipo di studi deve sentire molto sia una spinta, quasi una vocazione che essere capace di costruirsi il suo futuro, trovando delle vie creative e originali per arrivare al lavoro. Sicuramente possono arrivare offerte dal mondo del lavoro, sia privato che pubblico, ma saranno sicuramente meno appetibili e raggiungibili da chi, ad esempio, si laurea in medicina.


Quanto occupa la sua professione nella giornata e rispetto alla sua sfera privata?

Fino a trent'anni ho fatto tutt'altro che lavorare, quindi dopo ho dovuto recuperare. Adesso, un po' per mia scelta ma anche per altri impegni, il lavoro è diventato molto pervasivo e si interseca nella mia vita. Ma in generale dipende molto dalle scelte che si fanno sia in ambito lavorativo che privato.


Come si può fare carriera nel suo ambito e quali sono le difficoltà?

Il mio parere sarà molto soggettivo, in quanto bisogna comprendere cosa significa carriera. Se si parla, cioè, di un aumento delle competenze oppure si parla di qualcosa legata al prestigio sociale e allo stipendio.

Nell’università dove lavoro, per esempio, abbiamo diversi ruoli: ricercatore, professore associato e poi professore ordinario, che rappresenta il culmine della carriera. Se si guarda in ambito clinico, invece, potrebbe accadere che una persona si dedichi interamente all’attività di psicoterapeuta libero professionista, che può ottenere una sufficiente affermazione con un determinato numero di clienti soddisfatti. Oppure si possono raggiungere delle posizioni di rilievo in strutture pubbliche. Prendiamo il mio caso: io ho 48 anni, sono professore associato, e si può dire che sto nella media, poiché non sto facendo una carriera vertiginosa. Ho l’abilitazione per diventare professore ordinario nei prossimi tre o quattro anni; e quello sarà un po’ il culmine della mia carriera. Tuttavia, questa non è la mia ambizione. Quello che mi interessa maggiormente è costruire relazioni, contatti, dare un senso al mio lavoro e capire che ruolo ho io nella collettività piuttosto che cercare affermazione e successo. Questo mi soddisfa sia nella vita lavorativa che in quella privata. Quindi, essenzialmente, direi che molte cose dipendono dai vostri sentimenti e ambizioni.


Quali sono i pro e i contro nello svolgimento di questa professione?

Anche questo è molto soggettivo e da riconnettersi al senso che volete dare alla vostra vita. Nelle discipline psicologiche ci sono diverse trappole che possono nuocere sia a voi che alle persone che incontrerete. È una materia complessa, poiché si è a contatto con le persone e si sente un forte senso di responsabilità. Uno dei rischi che incombe sullo psicologo è che talvolta finisce per “mettere le pezze” o tentare di “riparare” questioni sociali irrisolte e gravi, che non dipendono soltanto dal suo impegno personale. Un esempio può essere quello della depressione, che oggi è diventata un po’ il “male contemporaneo” (e, non potendo dare a chi ne ha bisogno la felicità, si tenta invano di medicalizzare e psicologizzare. Una persona affetta da depressione racconta, attraverso delle espressioni verbali o corporee, la sua infelicità, che dallo psicologo o dal medico viene poi tradotta in diagnosi.) Di fronte a queste situazioni sociali il lavoro dello psicologo può seguire due strade: o contribuisce a limitare i sintomi della persona depressa oppure collaborare con altre figure professionali e politiche a far sì che avvenga un cambiamento sociale che renda le persone meno infelici e quindi, automaticamente, meno depresse. Ci muoviamo, perciò, tra due poli: da una parte, siamo degli agenti del riadattamento e della risocializzazione; e quindi in questo caso la cura tende a rimettere le persone dentro le regole sociali; dall’altra parte, lo psicologo può diventare agente di cambiamento sociale. Bisogna perciò fare delle scelte.

Ci sono dei potenziali rischi nel mio lavoro: durante il suo percorso formativo lo psicologo può acquisire degli strumenti “a doppio taglio”, potenti e pericolosi se usati nella maniera sbagliata. Ad esempio, ci sono psicologi che ricorrono alle proprie competenze senza porsi problemi morali. Sono coloro che si mettono al servizio della violenza di stato, per raggiungere potere, ricchezza e notorietà anche attraverso la violenza sui loro pazienti.

Si tratta però di scelte personali. Questo per farvi comprendere che nel corso della vostra ipotetica carriera vi troverete anche voi davanti a dilemmi di tipo etico: ci sarà sempre una via più “comoda” al fine di accelerare il vostro successo, la vostra carriera o la vostra capacità economica. Bisogna però ricordarsi che tutto ciò va sempre a discapito degli oppressi. Come psicologi, quindi, dovrete assumervi dei rischi.


La sua professione come è cambiata nel tempo? E come secondo lei è cambiato il mondo con la pandemia?

La parola cambiamento è una parola chiave per la mia professione: lo psicologo è un professionista del cambiamento e lavora per esso; si potrebbe, quindi, analizzare questa parola su tantissimi livelli. Insieme a me le persone dialogano e, attraverso una semplice conversazione e connessione empatica, cerco di aiutare le persone ad uscire dalla spirale in cui sono rinchiusi per trovare una via di cambiamento. Nel momento in cui mi siedo e converso con un paziente, non cambia solo la persona che ho davanti ma automaticamente e necessariamente anch'io, come professionista. Cambio perché comincio ad appropriarmi di alcuni elementi delle vicende e delle storie degli altri. Avviene, perciò, anche un cambiamento personale.

Per quanto riguarda il nostro mondo, direi che è cambiato drasticamente sotto l’aspetto culturale e politico per l’avvento del neoliberismo detto anche capitalismo rampante. Con il COVID siamo arrivati al culmine del capitalismo rampante, ha sopraffatto completamente la biosfera e l’uomo stesso, soprattutto nella sua vita sociale e fisiologica condizionando, quindi, anche quella psicologica. La vita psicologica di quest’epoca è ultra-individualistica a causa del prevalere di questo neoliberismo. Io credo che non siamo fatti per prevalere l’uno sull’altro ma per vivere in collettività sia umana che ecologica. Il COVID è l’emblema di come un equilibrio precedente tra uomo e natura si sia rotto. Quindi, lo psicologo deve scegliere se promuovere la visione iper-individualistica oppure essere uno degli agenti del cambiamento sociale. Secondo me la pandemia dovuta al COVID richiede che gli psicologi si debbano mettere al servizio della comunità.


Abbiamo lasciato spazio per eventuali questioni personali da porre all’esperto…

Cosa potrebbe dirmi per convincermi a fare psicologia? (la mia indecisione riguarda psicologia e beni culturali)

Partiamo dal fatto che la facoltà di beni culturali e quella psicologica non sono completamente distaccate. La psicologia, infatti, mette insieme più traiettorie. Una di queste è l’estetica, intesa come conoscenza della bellezza individuale e collettiva. Ci sono, inoltre, nell’ambito psicologico delle specializzazioni in arteterapia. Quindi, al limite, puoi decidere di andare su un’altra strada, facendoti sempre trasportare dall'istinto.

GRUPPO PSICOLOGIA: Abate Martina, Bonsignore Serena, Ricchiuti Lorenzo, Sirio Mattia, Vezzoli Viola


A Cura di: Abate Martina,

Bonsignore Serena,

Ricchiuti Lorenzo,

Sirio Mattia,

Vezzoli Viola