Storie di Biologia

Biologia: Studio, fantasia
e passione

Intervista al Dott. Daniele Cartelli


Quello della biologia è mondo molto vasto: essa studia il funzionamento della vita in tutte le sue forme e peculiarità. Perciò, nonostante in Italia molto spesso le amministrazioni stanzino budget insufficienti a finanziare nuovi progetti di ricerca, rimane un mestiere affascinante. Il dottor Cartelli, ricercatore nei laboratori di biologia presso l’istituto Carlo Besta, ci ha fornito valide informazioni su di esso. Egli, mantenendosi su un piano professionale e impersonale, ci ha spiegato i compiti tipici di un ricercatore e ci ha fornito un inquadratura del mestiere del biologo cellulare: una figura professionale consapevole di come ogni giorno sia prezioso per compiere un passo avanti nelle scoperte scientifiche.

In cosa consiste il suo lavoro? Di cosa si occupa?

Sono un biologo cellulare. Ho lavorato per circa dodici anni in ambiente universitario dove mi sono occupato della malattia di Parkinson. Adesso, presso l’istituto neurologico Carlo Besta, conduco ricerche sulle malattie idiopatiche, o di origine meno casuale e ignota, oppure derivate da trattamenti farmacologici o traumi. Si tratta di patologie che portano alla perdita di sensibilità a livello periferico, e influiscono sulla vita quotidiana e sul lavoro.


Qual è stato il suo percorso di studi? E quello lavorativo? Cosa l’ha fatta avvicinare a questa professione?

Mi sono laureato alla triennale di scienze biologiche, e ho conseguito una laurea magistrale in biologia applicata alla ricerca biomedica specializzandomi con un dottorato in biologia cellulare e molecolare. Ho intrapreso quindi la strada della ricerca iniziando a lavorare nei laboratori dell’Istituto neurologico Carlo Besta a Milano, dove lavoro da quasi quattro anni. È un lavoro che si fa principalmente per passione, anche perché, soprattutto in Italia non c’è un ritorno economico pari alle ore spese: dalle dieci alle dodici ore al giorno, weekend compreso.


Quali sono i pro e i contro della sua professione? Quanto tempo occupa il suo lavoro rispetto alla vita privata, nel particolare rispetto al tempo libero e alla famiglia?

Io svolgo questa professione per passione, il che è un punto a favore in quanto non tutti sono cosí fortunati. Un punto a sfavore invece riguarda l’impegno che questo lavoro comporta: oltre al numero significativo di ore trascorse in laboratorio, bisogna dedicare del tempo extra alla partecipazione a meeting internazionali e allo studio costante delle pubblicazioni scientifiche. La vita privata però deve essere sicuramente conciliata con quella professionale, è infatti necessario sapersi organizzare e dedicare del tempo al riposo.


Come definirebbe il suo ambiente lavorativo? È competitivo o solidale? È sereno?

La ricerca è un lavoro altamente competitivo, sia a livello locale con altri laboratori del territorio, sia a livello internazionale. Le principali motivazioni sono l’insufficienza di fondi, e la concorrenza scientifica relativa allo studio e alla pubblicazione di articoli su uno stesso oggetto di ricerca.


Come è cambiata nel corso degli anni la sua retribuzione, da neoassunto ad oggi?

La retribuzione è migliorata decisamente. Sia livello universitario, che nella ricerca ospedaliera, il percorso è abbastanza stabile in quanto il dottorato presenta una borsa di studio fissa a livello nazionale: ora è di circa 1200 euro, prima equivaleva a 800 euro. Anche il post dottorato possiede una borsa fissa: la cifra iniziale era di circa 1200 euro, oggi è aumentata.


Come è cambiata la sua professione da quando l’ha intrapresa ai tempi dal Covid-19? Come crede cambierà in futuro?

Per quanto riguarda il mio lavoro la situazione, a causa del Covid, non è cambiata molto. Potevo recarmi diversi giorni al lavoro in ospedale. Ci è stato chiesto invece di limitare le ore in laboratorio. Per quanto riguarda il lavoro informatico, ad esempio rispondere alle email o partecipare a dei meeting, lo abbiamo dovuto svolgere da casa. I compiti sono cambiati rispetto a quando ho cominciato, all’inizio bisogna imparare a capire quali domande bisogna porsi per ricavare qualcosa di utile, oppure si svolgono spesso mansioni al bancone a fare esperimenti con le proprie mani. Poi si passa ad dedicare gran parte del tempo alla stesura degli articoli da pubblicare o ad occuparsi dei fondi e ad aiutare i nuovi ricercatori.


Quali sono i prerequisiti e le abilità necessarie a svolgere la sua professione?

Le abilità necessarie sono varie, ovviamente cambiano a seconda del tipo di ricerca. Bisogna avere una buona conoscenza della materia di base e una grande fantasia, perché quando devi cercare nuove strade mai vagliate da nessun altro devi ipotizzare un percorso del tutto nuovo. Io mi occupo di ricerca applicata, ad esempio su una specifica malattia. In questo campo l’obiettivo non è solo capire la malattia in sé ma capire quali sono i meccanismi che portano a questa, che poi possono portare alla scoperta di una cura per i pazienti che ne soffrono. Inoltre bisogna avere capacità manuali e sperimentali.


Le sue prospettive prima di lavorare sono state ricambiate?

Quando ho cominciato, sapevo già come sarebbe stato il mio lavoro dato che l’ultimo anno di università, durante il quale ho preparato la tesi, avevo già cominciato a farmi un’idea dell’ambiente di lavoro e come su come era necessario muovermi. Anche il dottorato mi ha aiutato a capire le dinamiche di questa professione. E quindi ha soddisfatto pienamente le mie aspettative .


Il suo lavoro continua ad appassionarla e a stimolarla? In che modo?

Sì, sicuramente mi appassiona ancora il mio lavoro, dato che ogni giorno è segnato da nuove scoperte e i problemi che incontro sono sempre diversi. Qualcuno può divertirsi nel farlo altri magari no, io personalmente sì, e continua a stimolarmi.


Quali consigli ci può dare per intraprendere questo percorso nel campo della biologia?

Il forte consiglio che vi do è quello di fare esperienze durature, anche di due o tre anni, all’estero in età molto precoce. Magari anche iniziando il percorso di laurea in uno stato estero, o solo il dottorato. Non perché l’Italia non dia le stesse possibilità ma perché l’internazionalizzazione per chi vuole fare questo tipo di lavoro è fondamentale. La richiesta di professionisti italiani che chiedono un finanziamento per un progetto in un’altra sede europea o internazionale è molto frequente. Quindi avere una visione del mondo più ampia di quella solo italiana, è davvero importante. Inoltre in Italia, a differenza che all’estero, un ricercatore raramente ha un posto a tempo indeterminato.

A Cura di:

Ahmed Alì,

Caiazzo Francesca,

Danzo Chiara,

Falco Mirko,

Paternoster Francesca,

Ricchiuti Lorenzo,

Sirio Mattia