Racconti - 2

Classe 2 DS

Classe 3 AM

I racconti della 2 DS

Una nonna da compagnia


Mia nonna ha alcune caratteristiche che si possono ritrovare nelle nonne dei libri e dei film: è gentile, ha la passione di viziare i nipoti, è abile in cucina.

Ha però anche degli aspetti che la rendono unica

La routine quotidiana di mia nonna è sempre la stessa, anche le rare volte che si alza di cattivo umore.

Si sveglia la mattina presto, quando il primo raggio di sole sbuca fuori dalla collina davanti casa sua. All’alba suoi capelli biondi e corti sembrano scomparire quando la luce solare la colpisce sulla testa quasi completamente tonda. Non fa colazione, si trattiene per poter mangiare in abbondanza a pranzo. Si veste con la solita tuta a fiorellini, che sembra acquistata quando Napoleone era ancora sottotenente. Si spruzza a volontà il suo solito deodorante, che, per quanto profuma, si diffonde per tutta casa. Esce di buon ora e cammina spensierata, per arrivare lentamente alla panchina all’ombra di due cipressi, dove la aspetta la sua “gang” di altre nonne, tutte vestite più o meno come lei. Vanno al bar e, mentre prendono un caffè, chiacchierano del loro passato. Dopo qualche ora torna a casa e quando resto a dormire da lei, al rientro mi dice: “Scusa, ma me la sono presa comoda”, ma poi si fa perdonare con un deliziosa colazione.

Arriva poi l’ora del pranzo e, mentre fa scolare la pasta, tutto il vapore di acqua bollente le finisce sulla faccia, rendendo le sue guance più rosse del solito. L’unico momento in cui si riposa è il pomeriggio, sonnecchiando sempre con addosso la stessa tuta a fiorellini. Mi rendo conto che si sveglia, quando di punto in bianco sento un urlo: “Lory, hai fame!?”. Lei sa che non amo mangiare di pomeriggio, ma me lo dice lo stesso, chissà mai che mi sia presa voglia di uno stuzzichino. Quando mi riaccompagna a casa, prima di lasciarmi sul portone di casa, mi bacia sulla testa e mi saluta con una delle tante sue frasi di insegnamento che lei legge sui social.


Lorenzo D.



Un cappello di lana nera


La gente sgomitava accalcata davanti ad una bancarella di tutto ad un euro. Mi fermai da una parte per guardare un signore seduto a terra in un angolo della fiera, vicino alla staccionata, inclinato come se stesse pregando coperto di vecchi stracci . Una strana curiosità mi attirava verso di lui che tra le sue mani teneva un cartone con una scritta, ma avevo solo cinque anni e non sapevo ancora leggere. Da dentro un cappello di lana nera, appoggiato ai suoi piedi, si intravedevano due monete argentate. Corsi da mia mamma, strattonandola per un braccio la trascinai fin lì davanti per farmi leggere la scritta che diceva “per favore ho bisogno di aiuto”. Ancora oggi, dopo tanti anni, riesco a ricordare quei precisi caratteri incisi sul cartone. Chiesi a mia madre una moneta ma lei mi rispose che che non aveva contanti con sé. Continuammo a visitare la fiera in cerca del banco di giocattoli, infondo eravamo andate per comprare il regalo per la mia amica, nel pomeriggio sarei dovuta andare alla sua festa di compleanno ma dentro di me era scesa una strana tristezza e l’immagine di quel signore non mi abbandonava. Arrivati alla bancarella dei giochi, scelsi, tra i tanti, un peluche bellissimo, morbido e candido. Era il momento di pagare ma, alla richiesta di mamma, la signora disse che non potevano accettare carte di credito quindi mia mamma tirò fuori un altro portafogli dalla borsa dal quale estrasse una banconota da cinquanta euro che sembrava nuovissima. La commessa gliene restituì una, un po’ acciaccata, da venti. Mi avvicinai a mia mamma e per ringraziarla le diedi un forte abbraccio, sfilai i soldi dalla borsa e, fingendo di voler andare a vedere i gattini, lasciai scivolare i soldi nel cappello di lana nera. Detesto mentire ai miei familiari ma quella volta fu per una giusta causa!


Greta S.



La treccia

È successo due anni fa, più o meno durante la pandemia quando dovevamo stare tutti a casa. Era una sera buia faceva molto freddo e pioveva, credo sia stato gennaio.
Con la mia famiglia stavamo guardando la televisione seduti sul divano in soggiorno. Ma a me, il film che stavamo guardando non piaceva, mi stavo annoiando a morte. Lo sguardo mi è caduto sul viso di mia mamma, aveva un’espressione stanca e anche lei sembrava annoita. Allora le ho chiesto se potevo sistemarle i capelli perché quando qualcuno le tocca i capelli lei si rilassa infatti, immediatamente mi ha risposto di sì. Sono corsa a prendere la spazzola e alcuni elastici., mi sono accoccolata dietro di lei ed ho incominciato a spazzolare i capelli. Lei ha sempre portato i capelli lunghi e lisci di un bellissimo color castagna, con qualche difficoltà arrivai a far scorrere la spazzola fino alle punte.

Più che pettinarli, ci passavo in mezzo le mani erano morbidissimi, sembrava che toccassi la seta calda, avvicinai sempre più il mio volto alla sua testa per respirare il profumo di aloe, forse li aveva appena lavati.
Ho diviso le ciocche in tre parti per formare la treccia come la mamma mi aveva insegnato.

Ho incominciato a intrecciare i capelli, lentamente, attenta a non far uscire nemmeno un filo, l’ho legata in fondo con un elastico rosso e sono corsa a farle una foto che rappresenta, più che una pettinatura, un lungo abbraccio.

La mamma ancora oggi usa la foto di quella treccia come segnalibro perché dice che rappresenta il segno di tante storie che si intrecciano.


Caterina B.



La riserva dei coccodrilli

Il mio posto del cuore è Cuba. È un’isola in mezzo ai Caraibi di forma allungata, che mi ricorda un serpente.
È un’isola piena di natura, dove l’inquinamento non è ancora arrivato.

Là si vive con cose semplici. Non ci sono acqua frizzante o cinema, ma per loro la vita è così. Molti altri paesi non ci vogliono commerciare, ma a loro non gli importa più di tanto. Cuba è famosa per il turismo. È qui che comincia il mio viaggio.

Mi svegliai da un sonno ristoratore che mi aveva ricaricato il cervello. Il sole splendeva. Mi diressi in cucina: mamma, Irma, Daniele, papà e Maria (la signora gentile che ci stava ospitando) mi stavano aspettando.
“Buenos dias Señorito!” disse Maria.

Ciao Maria, cosa c’è per colazione?”

Mi rispose Irma con quella antipatia da sorella maggiore: “ c’è frullato di latte e banana, Trichi.” È così che mi chiamava e mi chiama mia sorella: quando ero piccolo e gattonavo, per lei ero un tricheco e mi appiccicava stickers di Barbie sul sedere. Ero il suo animaletto da coccolare.
“In verità oggi dovevamo vedere i coccodrilli, non i trichechi!”

Mi si illuminarono gli occhi. Era vero! Quel giorno dovevamo andare alla riserva dei coccodrilli! Mi affogai nel frullato e mi vestii in fretta e furia. Non vedevo l’ora di partire! Andai in bagno e incontrai mio fratello che si risistemava i pantaloni. “Calma! Partiamo tra un’ora!” Mi disse Daniele.
Non dissi niente, uscii dal bagno e aspettai. Aspettai il maggiolino.
E il maggiolino arrivò.

Era il solito macchinino stile anni ottanta verde smeraldo, che io soprannominavo “il maggiolino”.
“è arrivatoooo” dissi, anzi gridai. Salimmo tutti in macchina. Dani al centro, Irma a destra e io a sinistra. Finalmente partimmo, e Daniele scoreggiò.

Ci fu un attimo di silenzio e infine ci mettemmo a ridere. Fu una risata infinita, piena di lacrime e di strani odori. Quando finimmo di ridere ci mettemmo a guardare fuori dai finestrini, Daniele chiedeva in continuazione: “siamo arrivati? Quando arriviamo?” e mamma continuava a rispondere sempre “manca un’ora”.

A un certo punto il paesaggio cambiò: eravamo in una specie di boschetto tropicale, con ogni tanto una casetta qua e là. Prima ancora che Daniele aprisse bocca, mamma ha detto: “siamo arrivati.” Siamo usciti dalla macchina: c’era un caldo soffocante e umido e un cartello con scritto il nome del parco, troppo difficile da ricordare. Siamo entrati nel parco, era strapieno di coccodrilli: grandi, piccoli, ciccioni, magri, con museruola o senza.

A un certo punto Daniele esclamò: “Voglio fare la foto con quel coccodrillo!! È troppo carino!”
Era vero, era così carino che l’avrei rubato...

Mamma non si fece pregare due volte: il coccodrillo era pesante e sembrava un palloncino, era anche un po’ ruvido. Abbiamo fatto una decina di foto, poi ce ne siamo andati. Abbiamo comprato anche delle collane di dente di coccodrillo, erano molto carine. Poi siamo arrivati davanti ad un recinto enorme con dentro una dozzina di coccodrilli. Un uomo, sui venti anni, stava mettendo un pezzo di carne legato ad un filo con una canna dentro al recinto.

Un coccodrillo aprì gli occhi, si preparò ben bene e spiccò un salto gigante cercando di prendere quell’affascinante pezzo di carne. La chiusura a scatto delle mascelle provocò un suono tipo un tamburo. Dopo un minuto, finalmente, un altro coccodrillo prese il pezzo di carne e finì lo spettacolo.

Insieme ci siamo diretti verso un bar, dove abbiamo mangiato e suonato insieme a dei signori molto simpatici.
Mi svegliai in un altro luogo: era il mio letto. Guardai la sveglia: 2:46 di mattina. Pensai: “ho di nuovo sognato la riserva dei coccodrilli.” E mi riaddormentai.


David Jamil



La biblioteca


Ogni volta che arrivo sulla soglia di quella antica casa, l’odore inebriante della carta mi avvolge e mi accoglie come un vecchio amico.

Quel silenzio misterioso mi scatena una gran curiosità. Il posto è sempre lo stesso ma lì la mia anima si veste sempre di nuova avidità. Non riesco a dominare la voglia che mi assale di divorare, una ad una, le pagine di misteri irrisolti, le nuove scoperte, sfide ed enigmi senza indizi. Mi siedo sul mio posto preferito, accanto alla finestra, coccolata dal rumore del vento che solleva in alto le foglie dorate. I raggi trafiggono i vetri e riscaldano le pagine ma non placano la rabbia gelida che spesso la mia anima prova. Scorro le mani sullo scaffale dei libri d’avventura: Harry Potter, Fairy Oak, La più grande. Lentamente mi sposto davanti ad un nuovo titolo. Tra le pagine cerco personaggi misteriosi che si lanciano sugli ostacoli, sfidano e superano le sorprese del destino. Sfoglio, annuso, leggo, cerco la mia forza nelle pagine e finalmente la mia anima si calma. Scelgo i libri dalla copertina, dopo aver dato a caso una sbirciatina. Passano le ore, il bibliotecario mi guarda sempre un po’ stupito ma poi mi concede il prestito col sorriso. Torno a casa eccitata come una bambina che l’ha spuntata ancora una volta. Entro, mi chiudo il portone alle spalle, mi guardo intorno sperando di essere sola, apro la busta e scelgo il primo libro che leggerò. Ora, finalmente, la rabbia ha lasciato il posto a tutta la Gioia che esprime il mio nome.


Gioia H.



Ciottoli da costruzione


Ai lati della stradina sterrata, bombardata da sassi grandi e affilati da potersi conficcare in un piede nudo, sono state costruite delle torri di ciottoli in equilibrio. Queste costruzioni le ho già viste in vari luoghi di montagna, come ad Alleghe, sul Monte Civetta, o sul Monte Tezio, ma le opere che si ergono davanti ai nostri occhi, qui su Monte Cucco, sono le più belle che io abbia mai ammirato. I visitatori venuti prima di noi sono stati molto ingegnosi, tra sassi magicamente in equilibrio, hanno lascitao torri alte più di un metro costruite su un terreno scosceso, che è stato appiattito con foglie secche e fango.

Mentre cammino tra il verde si estende alla nostra vista, rifletto sul fatto che queste opere d’arte segnano il passaggio dell’uomo che ha dato valore a semplici sassi. Usanza vuole che queste torri siano di buon auspicio per il futuro, allontanino il male e, anche se io e Alessandro, il mio amico, non ci crediamo molto, non resistiamo alla tentazione di metterci alla prova. I sassi più utili per la costruzione si trovano tra due vecchie ed esauste querce il cui tronco, segnato dal freddo e dai graffi dei vari animali, si piega in uno zig- zag insolito. Penso che se queste querce potessero parlare racconterebbero di notti buie, lunghi inverni freddi, giornate luminose e incontri con animali. Sasso dopo sasso la torre prende forma e, durante l'assemblaggio, la felicità e la voglia di vivere questa esperienza mi pulsa nelle vene. Anche se più volte cade giù perchè un po' traballante, non ci demoralizziamo e proseguiamo. L’odore di selvaggina si diffonde intorno a noi e il soffio del vento tra i rami suona una cantilena che segue il ritmo del ticchettio dei sassi mossi dalle nostre mani inesperte. Abbiamo a disposizione molti ciottoli di vario tipo, alcuni affilati nati da una roccia che si è rotta, altri con tanti buchi ed infine molti levigati dalla lenta cura del ghiaccio e della neve. Quante bellezze ci offre la natura! Ammirati, Alessandro ed io li usiamo come fossero pietre preziose e, per rendere unica la nostra torre, delimitiamo lo spazio attorno con dei rami caduti dalle querce, la cui corteccia ormai si è ridotta in polvere e l’interno è molle e crepato sotto i vari agenti atmosferici. In pochi minuti la nostra opera è pronta: un occhio di gatto, come per simboleggiare lo sguardo verso il futuro.


Mattia B.


I racconti della 3 AM

Una sorta di vita da sogni


Una mattina stavo facendo la mia abituale passeggiata per il mio paesino isolato e con un’aria tranquilla. Mi ero fermato al primo bar che avevo incontrato per fare la mia solita colazione, con i soliti baristi, con il solito cornetto e con i soliti compaesani. Dopo aver preso il caffè con qualche anziano e dopo aver scambiato qualche chiacchiera mi ero diretto a fare compere per i miei figli. Avevo visto una strana bancarella con un anziano che vendeva una bottiglietta magica, così almeno diceva il vecchietto. Ero andato a vedere di cosa si trattava, per curiosità. Mi aveva spiegato che quest’oggetto aveva delle caratteristiche particolari : conteneva un diavolo che esaudiva tutti i desideri; se uno moriva prima di averla rivenduta bruciava per sempre all’inferno; doveva sempre essere rivenduta ad un prezzo inferiore a quello a cui la si era comprata, altrimenti tornava indietro; era infrangibile e non esisteva modo di romperla. Mi si erano illuminati gli occhi solo alla frase “esaudiva tutti i desideri” e avevo dato poca importanza agli altri avvertimenti. Avevo deciso quindi di comprarla ad un prezzo ragionevole: dieci euro. L’anziano aveva fatto un sospiro di sollievo, forse perché era a un passo dalla morte e poteva rischiare di andare all'inferno. Avevo iniziato a “giocarci”, chiedendo di avere un milione di euro, di essere invidiato da tutti e molte altre cose. La mattina dopo mi ero svegliato in una casa di lusso, con una serva

che mi portava la colazione a letto offerta dai cittadini del paese e tanti paparazzi sotto la villa. Non avevo bisogno di lavorare perché i soldi me li donava il governo, andavo a fare compere non solo per i miei figli ma anche per me. Sapevo di stare bene ma sentivo che non stavo bene con me stesso. Questa sorta di “vita da sogni” era durata per ben trent’anni. Mi mancava però la vita di tutti i giorni, quella tranquilla, quella in cui ero invidiato ma solo per la mia forza di volontà. Ero diventato cattivo, arrogante e menefreghista; in poche parole, i soldi mi avevano dato alla testa. Questo mio carattere e modo di fare non mi piaceva affatto. Così avevo provato a romperla, anche se inutilmente, e a venderla, ma nessuno ne voleva nemmeno parlare. Ormai ero diventato vecchio e ancora più cattivo. Avevo raggiunto gli ottant'anni. Per il mio ultimo compleanno avevo organizzato una festicciola con qualche parente e con gli ultimi amici rimasti. Uno tra questi miei vecchi amici era interessato alla mia bottiglia magica. In quel giorno di svago non volevo pensare a questo orribile oggetto o soprattutto credere che qualcuno dei miei amici o parenti avessero la sfortuna di acquistare una cosa del genere. Feci però parlare il mio amico, senza intromettermi. Mi disse che voleva regalare questa bottiglia a suo cugino. Non sapevo cosa fare. Aggiunse anche che conosceva tutte le sue caratteristiche e che la voleva utilizzare per fare esperimenti importanti. Mi disse anche che sapeva a chi vederla nel futuro. Dopo questo feci un sospiro di sollievo perché probabilmente

ero ad un passo dalla morte. Ero rimasto per due settimane a letto, ammalato, con tanti amici che mi supportavano e che erano tornati a volermi bene. Nei miei ultimi giorni vidi la porta del paradiso illuminarmi il volto. Così ero davvero pronto a morire, contento e libero.


Carolina Berti



Un sogno bizzarro

È sera, Matteo è ad una festa con i suoi amici. Una festa tipica adolescenziale in un paesino isolato vicino a casa sua. I giovani ballano, bevono e cercano di corteggiare qualche bella ragazza.
Si è fatto tardi, Matteo alle quattro del mattino decide che è giunto il momento di tornare a casa. Fortunatamente può fare il breve tratto che porta a casa sua a piedi, senza rischiare di prendere la macchina leggermente ubriaco. Allora saluta gli amici e, mentre cammina, si salva qualche numero delle ragazze che aveva approcciato alla festa.

Concentrato sul telefono, Matteo inciampa per terra. Cadendo, fa fatica a capire quale sia la causa della sua caduta.

La prima cosa che gli passa per la mente è raccogliere il suo telefono, guai se si fosse fatto anche solo una piccola crepa. Il cellulare per sua fortuna è in buone condizioni. Anche se Matteo ha ripreso uno stato di coscienza, ancora non capisce il motivo per il quale è inciampato, finché non trova uno spazzolino, più precisamente il suo spazzolino. Non dandogli la giusta importanza, Matteo si rialza con lo spazzolino in mano, sperando che nessuno l'abbia visto cadere.

Con il ginocchio un po’ dolorante continua la camminata. Arriva davanti a casa, ma qualcosa di sconvolgente gli impedisce di entrare. Matteo non crede ai suoi occhi. La porta di casa è spalancata e stanno uscendo tutti i mobili che, con mille sacrifici, Matteo era riuscito a comprare: “Da quando i mobili possono camminare e saltellare come dei bambini spensierati?" pensa Matteo. Senza pensarci due volte, Matteo cerca di raggruppare tutti i mobili che, anche tra le sue braccia, continuavano a voler scappare. Matteo decide di superare i vari mobili: l’armadio che salta, il letto e la libreria che corrono insieme e la lavatrice che fa le capovolte. Solo ora Matteo riesce a capire perché il suo spazzolino stava girovagando per strada.

In preda al panico, il ragazzo decide di chiedere aiuto ad un vicino.

Si presenta davanti alla casa del vicino e bussa almeno cinque volte. Apre il signor Ciabattina, soprannominato così da Matteo perché ogni volta che esce di casa non può fare a meno di indossare le sue ciabatte di Batman.

Matteo chiede aiuto: “Buongiorno! Anzi, buonanotte o buona sera! Vabbè, senta: ho bisogno di aiuto. I mobili escono da casa mia! Non so più cosa fare.”

Il vicino lo guarda strano: “Allora giovanotto, non ho voglia di badare alle tue cavolate, soprattutto alle cinque di mattina!” sostiene Ciabattina, che guarda perplesso il terrazzo di Matteo ma senza fare nessuna espressione sbalordita.

Ma la prego, ho messo un sacco di soldi da parte per poterli comprare!” implora il ragazzo.
Il vicino dice:” Mi stai dicendo solamente cavolate, in casa tua è tutto a posto. Non c’è nessun mobile che esce dalla tua abitazione.” Matteo è confuso. Non capisce per quale motivo Ciabattina non capisca che quello che sta succedendo sia un vero problema.

Mi vuole dire che lei non sta vedendo il ferro da stiro che passeggia nel mio giardino?” chiede Matteo.
“Assolutamente no! Senti, Matteo, non voglio star qui a perder tempo per te. Buonanotte!” Il vicino chiude la porta in faccia al povero Matteo.

Ad un certo punto, Matteo sente come una musica fastidiosa ma molto familiare. Cerca di capire da dove provenga.

BUM!! Matteo, cade su una superficie dura. È frastornato e non riesce a capire cosa sta succedendo. Apre gli occhi e magicamente si ritrova sul pavimento di camera sua, a fianco al letto. Solo ora Matteo capisce che era stato tutto un sogno.

Si alza da terra e va a controllare ogni singolo angolo della casa: in cucina il frigorifero e il tavolo sono al loro posto, in bagno la doccia e il lavandino sono immobili, in salotto il divano è davanti alla TV e la libreria nel solito punto della casa.

Nessun mobile si era spostato di un millimetro.

Che strano, sarà stato forse qualche drink di troppo oppure il continuo tormento di Ciabattina” pensa tra sé e sé Matteo. Adesso Matteo è pronto per affrontare una nuova giornata, ma questa volta senza la casa sottosopra!


Emma Zobaideh



Il megafono umano

Era il primo giorno di scuola e Giovanni si volle alzare presto la mattina.

Prima di andare a scuola fece colazione e si lavò i denti.

Subito dopo prese l’autobus. Lì dentro gli altri ragazzi e Giovanni iniziarono a cantare. Quando fu il turno di Giovanni si ruppero gli specchietti dell’autobus.

Arrivato in classe corse subito verso l’ultimo banco. Intanto, poiché lui strillava, gli altri rimasero indietro, e addirittura si spaccò pure un vaso. Era l’ora di Italiano e Giovanni era tutto contento perché era in ultima fila.

Il professore lo chiamò per leggere ma poi si chinò sotto la cattedra e intanto Luca, un compagno di classe, chiese perché lo avesse chiamato per leggere visto che, quando leggeva, urlava.

Il professore rispose che doveva far leggere tutti.

Quando iniziò a leggere caddero la LIM e la porta.

Per colpa sua ritornarono a casa per tre giorni; lì Giovanni ruppe la tv.

I professori chiamarono sua mamma chiedendole il motivo per cui facesse così quando urlava; la madre rispose che era un’eredità del nonno.

I professori le proposero di andare da un logopedista.

Il giorno seguente Giovanni si recò dallo specialista rimanendoci per quattro ore, ma neanche lui riuscì a risolvere il problema. Quindi gli propose di andare da un altro dottore. La mattina seguente andò dal secondo medico che lo fece entrare in una stanza in cui poteva urlare e dove c’erano tanti oggetti.

Ogni volta che urlava rompeva una cosa.

Il medico, per questo motivo, gli fece fare una lastra grazie alla quale vide che dentro al corpo c’era un megafono che non si poteva togliere ma con il quale avrebbe dovuto convivere per tutta la vita.


Riccardo Alunno Mancini