La basilica di San Pietro in Vincoli è un luogo di culto cattolico del centro storico di Roma, situato nel rione Monti, sul colle Oppio.
Storia
Questa chiesa fu fatta costruire, nel V secolo, da Licinia Eudossia, moglie di Valentiniano III e figlia di Teodosio II, imperatore d'Oriente.
La madre, Elia Eudocia, ebbe in dono da Giovenale, patriarca di Gerusalemme, le catene che avevano tenuto legato San Pietro durante la prigionia a Gerusalemme. Le inviò alla figlia che volle donarle personalmente a papa Leone Magno, già in possesso di quelle usate nel Carcere Mamertino. Quando le due catene furono avvicinate, si fusero miracolosamente in una. La chiesa sorse proprio per celebrare e ricordare il miracolo, e per custodire degnamente la preziosa reliquia. La basilica, inoltre, deve il suo nome proprio alle catene che in latino si traducono con il termine vincula, e che oggi sono conservate sotto l’altare maggiore, e sono visibili ai fedeli il primo agosto di ogni anno.
ESTERNO
La facciata della chiesa è preceduta da un portico basato su pilastri ottagonali. I capitelli delle colonne hanno, a rilievo, il classico stemma della famiglia Della Rovere che, di conseguenza, ci conferma come la facciata sia frutto dei restauri di fine Quattrocento ed inizio Cinquecento. Nonostante questo, però, la conformazione dell’ingresso e l’impostazione architettonica rispecchiano quelli che erano i canoni del V secolo d.C., quando la Basilica di San Pietro in Vincoli fu realizzata a seguito della fusione delle catene di San Pietro. All’epoca, spesso, tutte le facciate delle chiese erano precedute da portici. Da aggiungere che anche il portale è del Quattrocento.
INTERNO
L’interno è suddiviso in un classico impianto basilicale a tre navate, divise da 20 colonne doriche. Esse sono quelle originali usate per erigere la basilica del V secolo e, pertanto, hanno più di 1500 anni e non sono mai state smosse dalla loro posizione. Alzando gli occhi è possibile notare l’affresco di Giovanni Battista Parodi.
Svoltando subito a sinistra, appena passato il portale si può notare una piccola nicchia affrescata con il volto di Cristo. L'antica pittura, risalente al V secolo d.C., rappresenta una delle primissime raffigurazioni pittoriche di Gesù. Nei pressi di questa pittura, poi, si ha di fronte un monumento funebre in marmo, avente in particolare due ritratti di uomini. Questo è il monumento dedicato ai fratelli Pollaiolo, Antonio e Pietro. Realizzata nel ‘400, l’opera marmorea ci ricorda la presenza e l’esistenza di artisti molto attivi nella Roma di quel secolo, un periodo che fu di rilancio e di uscita dell’Urbe dal Medioevo, per affacciarsi così al Rinascimento.
All’interno della basilica, è possibile ammirare anche opere di Guercino, del Domenichino e del Pomarancio.
Tra il 1956 e il 1960, sotto al pavimento della navata centrale furono scoperti alcuni edifici sovrapposti, appartenenti a domus aristocratiche di età repubblicana e imperiale, due case risalenti alla fine del II secolo a.C., e una grande domus il cui cortile rettangolare con vasca centrale e giardini, probabilmente faceva parte della Domus Transitoria o della Domus Aurea.
Il Mosè
La Basilica è soprattutto celebre perché, dal 1545, ospita uno dei capolavori dell’arte rinascimentale: il Mosè di Michelangelo Buonarroti, la colossale statua, scolpita nel 1513, per ornare il monumento funebre di Giulio II. A causa dei dissapori tra il Papa e Michelangelo, l’opera destinata alla Basilica di San Pietro fu collocata a San Pietro in Vincoli. Giulio II infatti era completamente assorbito dalla ricostruzione di San Pietro e aveva accantonato l’idea del mausoleo. Per Michelangelo fu una delusione, un dolore che lo portò a definire la vicenda “la tragedia della sepoltura”. La scultura, abbandonata ogni idea di grandiosità architettonica, fu terminata dopo la morte di Giulio II che poi è stato sepolto nella basilica di San Pietro in Vaticano; la tomba di San Pietro in Vincoli è quindi vuota.
L’opera ritrae un maestoso Mosè seduto con le Tavole della Legge appena ricevute dal Signore. Il momento rappresentato da Michelangelo è quello successivo alla consegna dei Comandamenti sul monte Sinai. Al suo ritorno, Mosè trova gli Israeliti intenti a venerare un vitello d’oro, idolo pagano. Mosè è talmente adirato che sembra sul punto di alzarsi per distruggere tutto. Michelangelo rappresenta magistralmente la rabbia terribile che invade il profeta, scolpendo le realistiche vene che sembrano palpitare, i muscoli in tensione e il viso solenne e furente.
Una curiosità: le corna sul capo di Mosè deriverebbero da una traduzione sbagliata dell'Esodo. In esso si narra che, mentre scendeva dal Sinai, Mosè avesse due raggi sulla fronte. In ebraico, raggi si traduce con karan o karnaim, mentre corna con il termine keren. A causa della somiglianza tra le due parole è facile che il traduttore sia caduto in errore.