«Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i
loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia,
il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare
proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi.»
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana, fatta realizzare presso Tivoli
dall'imperatore Adriano (117-138). La struttura appare come un ricco complesso di edifici realizzati gradualmente ed estesi su una vasta area, in una zona ricca di fonti d'acqua
Tra le molte ville extraurbane che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia nobile. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale. Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138. La complessità della residenza fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio) e la sua bellezza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si dice che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 acri, nella quale il complesso si presenta diviso in quattro nuclei. Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, ma durante il medioevo divenne terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce. Dal XVI al XIX secolo ci furono campagne di scavo, che portarono alla luce opere (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) che andarono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.
Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio e furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce l'architettura degli edifici e anche stucchi e mosaici superstiti.
Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità.
Il Pecile era un enorme porticato quadrangolare con una vasca nel mezzo. Era ispirato alla Stoà Poikile di Atene, dove erano conservate numerose opere d’arte. Si conserva tuttora il grande muro, alto 9 metri, che delimitava la zona. L’ingresso al Pecile era monumentale e aveva un doppio porticato. La vasca (100m x 25m) fu costruita solo nella seconda fase costruttiva della villa. CURIOSITA’: se si girava per sette volte intorno al muro di cinta si percorrevano circa tre chilometri di distanza, cioè la distanza che in un trattato di medicina dell’epoca veniva considerata perfetta per una passeggiata salutare.
L’atrio era davanti al Pecile; qui si trovava una fontana rettangolare circondata da statue. Nel complesso architettonico si alternavano spazi aperti e spazi al chiuso, dotati di riscaldamento. L’edificio è considerato di grande importanza per la presenza appunto di tre esedre, cioè spazi semicircolari utilizzati come luogo di ritrovo e di conversazione. Una delle tre esedre era adibita a giardino, e si trovava dietro la fontana rettangolare, vicino ad una nicchia sopraelevata nella quale si trovava una grande statua. D’estate questo edificio era utilizzato per i banchetti ufficiali.
La cento camerelle sono un complesso sistema di costruzione che ha reso possibile la realizzazione della spianata del Pecile, in quanto permette di superare il dislivello con la valle sottostante ed è costituito da una serie di ambienti contigui, allineati su piani sovrapposti fino ad un massimo di quattro. Le stanze, caratterizzate da identiche dimensioni, erano costeggiate da una strada basolata che, inoltrandosi sotto il vestibolo con percorso sotterraneo, dava accesso diretto agli ambienti servili delle terme. Questi ambienti erano estremamente modesti: l’alto numero di ambienti, cui deve il nome l’edificio, e la presenza di latrine, fa ipotizzare che fossero destinate al personale di servizio; l’estrema accessibilità dalla strada carrabile e la presenza di alcuni vani soffitti molto più bassi rispetto a quelli dei piani superiori, fa pensare che gli ambienti a livello del piano stradale fossero utilizzati anche per lo stoccaggio delle merci e dei prodotti che servivano per la gestione della villa.
L’antinoeion è uno degli edifici della Villa di recente scoperta. Si tratta di un tempio che aveva la funzione di luogo-memoria dove ricordare Antinoo da vivo, il fanciullo di origine bitinica, amante dell’imperatore Adriano e morto vicino nel 130 d.C vicino a Besa in Egitto, annegando nel Nilo. A seguito della sua morte, si dice che Adriano piombò in disperazione ( Elio Sparziano, Vita Hadriani “Adriano piange come una donnicciola”), e decise di dedicare al suo amante la città di Antinopoli e di innalzare anche un tempio in suo onore nella sua dimora imperiale di villa adriana al ritorno dal suo viaggio in Egitto. Il luogo di ubicazione della tomba di Antinoo fu scoperto solamente nel 2002, quando venne ritrovato un monumento, in precedenza completamente interrato, situato lungo la strada di accesso al grande vestibolo. Si tratta di un grande edificio costruito da un’ampia esedra semicircolare preceduta da un recinto rettangolare che racchiudeva due templi affrontati. Oggi, dell’edificio si conservano solo le fondamenta in muratura. In base alle tecniche di costruzione e ai marchi di fabbrica sui mattoni, l’Antinoeion risulta posteriore al 134 dc, anno del ritorno di Adriano dal viaggio in Egitto, il che lo rende l’ultimo grande edificio realizzato nella villa.
La torre di Rocca Bruna si trova isolata nell'estremità Nord-Ovest del terrazzo che guarda verso la valle di Risicoli. In origine si suppone che la torre fosse costituita da tre piani, ma ad oggi ne rimane solo il piano terra, in cui i padri gesuiti, un tempo proprietari di Rocca Bruna, aprirono una cappella alla quale si accedeva dall’esterno.
La funzione dell'edificio, posto in una delle zone più panoramiche della villa, all’epoca di Adriano era probabilmente quella di Belvedere: dalla torre si potevano vedere la campagna romana, i monti Lepini ed il monte Soratte; inoltre, considerata la passione di Adriano per l’astronomia, si pensa che la torre potesse avere anche funzione di osservatorio astronomico.
Il Canopo, insieme al Serapeo, costituiscono una delle zone più suggestive della villa, un tempo luogo di grandi feste e banchetti estivi.
L’ampio bacino d’acqua, che si conclude con un padiglione (Serapeo), prende il nome di Canopo, dal momento in cui la struttura sembra rievocare un braccio del fiume Nilo con il suo delta, che congiungeva l’omonima città di Canopo, sede di un celebre tempio dedicato a Serapide, con Alessandria, sul delta del Nilo. Il bacino d’acqua era inquadrato da un doppio colonnato, a metà del quale sono situate al posto delle colonne sei statue, copie romane di famose statue greche: quattro cariatidi, copie di quelle dell'Eretteo ateniese, e 2 Sileni canefori. Le statue sono rivolte verso la piscina e non verso il visitatore, creando così un incantevole riflesso sullo specchio d’acqua.
L’ampia esedra alla fine della vasca è chiamata Serapeo, dal tempio di Serapide, nella città di Canopo, ed era sede dei banchetti estivi, favoriti dalla frescura che i numerosi zampilli d’acqua apportavano. Al centro dell’esedra si trovava il letto per i banchetti, lo stibadium.
Inizialmente questo edificio era considerato luogo dove alloggiavano i pretoriani, le guardie al diretto servizio dell'imperatore; oggi questa ipotesi è stata accantonata poiché si è compreso che in realtà il monumento è costituito da due parti ben distinte: la parte inferiore era costituita da tre piani sovrapposti di ambienti simili a quelli delle cento camerelle, piuttosto angusti e non comunicanti tra loro. Si suppone infatti che la funzione di questa parte dell’edificio fosse quella di alloggio per la servitù. Questi ambienti fanno da sostruzioni alla parte superiore del Pretorio, che si pensa invece fosse riservata alle persone di alto rango come si intuisce dalla posizione elevata, situata alla stessa altezza dell'Edificio con Peschiera e quindi da consentire di accedere direttamente alle zone di palazzo frequentate dall'imperatore.
Le grandi terme sono due complessi termali distinti che sorgono uno vicino all’altro, e si differenziano per dimensioni, maggiori nelle Grandi Terme e minori nelle Piccole, e per l’aspetto architettonico, più complesso e originale nelle piccole.
In entrambi i complessi termali sono riscontrabili i tipici elementi delle terme romane: sudatio, calidarium, tepidarium, frigidarium con piscine per la natatio e la palestra, cioè ambienti a dotati di vasche per immersioni e spazi per l'attività ginnica.
Per molto tempo ci si è chiesto come mai adriano avesse fatto costruire due complessi termali così vicino. Alcuni sostennero che erano due poiché una (le Grandi Terme) era riservata ai bagni freddi, l'altra (Le piccole) a quelli caldi, ma l’ipotesi venne presto scartata in quanto i due complessi presentavano i medesimi elementi termali. La risposta che venne confermata, invece, è che le Grandi terme fossero quelle riservate alla servitù e ai soldati, come dismostrano le tessere bianche e nere dei mosaici che costituivano il pavimento, tipico degli ambienti per le bassi classi sociali, mentre le Piccole per tutti gli altri.
Prende il nome dalla presenza di una grande peschiera di forma rettangolare. Lungo il bordo della vasca si trovano delle nicchie nel muro, nelle quali erano esposte delle sculture. Davanti alla peschiera si trovano le rovine di quella che è stata identificata come la residenza invernale di Adriano, il cosiddetto “Palazzo d’Inverno”. L’edificio si sviluppa su tre livelli, collegati internamente da scale in muratura; il piano intermedio molto probabilmente era dedicato al riscaldamento di quello superiore, informazione dedotta dal ritrovamento dei locali destinati ai praefurnia (grandi forni in cui si produceva grande calore) e delle suspensurae (piccoli a base quadrata utilizzati come sostegno del pavimento rialzato di ville o di edifici pubblici), che creavano uno spazio vuoto tra due piani, destinato al riscaldamento degli ambienti. L’ultimo piano era dotato di finestroni che offrivano una splendida vista sul ninfeo e sulla Villa.
La costruzione inizialmente è stata considerata erroneamente una sala, trattandosi in realtà di un peristilio, cioè un luogo aperto circondato da colonne. Il luogo fungeva da collegamento tra gli ambienti della Villa. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le colonne oggi visibili sono state ricostruite con i frammenti ritrovati parte del porticato del peristilio: lo stile dorico si intuisce dalle scanalature sul fusto delle colonne, dai capitelli e dalla trabeazione, che vede un’alternanza di metope e triglifi. Probabilmente il portico era ricoperto da una volta a botte. Si ipotizza anche che uno degli scopi di questa elegante costruzione fosse coprire la modestia architettonica della Caserma dei Vigili.
Da poco tempo è stato scoperto quello che è stato definito il Triclinio Imperiale, un unicum (triclinio acquatico) dove probabilmente si svolgeva il primo pasto della giornata dell’imperatore. La costruzione consiste in una struttura semicircolare, al centro della quale si trova un triclini marmoreo che, grazie all'uso di passerelle meccaniche, inondava il pavimento. Anche i giochi di luce prodotti dall’acqua contribuivano a creare una splendida scenografia. Probabilmente il Triclinio Imperiale era destinato ad un uso privato.
E’ situato su un’altura artificiale e in questo luogo sorgono i resti di due edifici distinti, affacciati sul cortile e collegati da un portico, denominati convenzionalmente biblioteca greca e latina. La “biblioteca” greca è costruita su tre livelli e il terzo è dotato di riscaldamento; infatti il piano intermedio era di servizio e ospitava i praefurnia. Il piano inferiore presenta delle nicchie che erano destinate ad accogliere libri e rotoli (da questa caratteristica deriva il nome del luogo). L’impostazione della biblioteca latina è simile a quella greca, però l’edificio è sviluppato su tre piani.
Si tratta del più antico complesso termale della villa e deve il suo nome ad una apertura nel tetto a volta cassettonata, ricoperta da un clipeo di bronzo, un occhio centrale (lumen) che, colpito dai raggi del sole, riscaldava l’acqua. La sala aveva grandi finestre. Gli studi moderni hanno verificato la presenza di bocche di forno nella sala, utilizzate per incrementare il riscaldamento e aumentare il livello del vapore acqueo, permettendo di fare anche la sauna (sudatio). Dietro l’Heliocaminus si trovano un frigidarium rettangolare e un calidarium.
E’ uno dei luoghi più suggestivi dell’intera Villa. Il suo nome fu coniato nel ‘700, per le decorazioni a carattere marino scolpite sulle trabeazioni.. L’edificio è costituito da un corpo a pianta rotonda, preceduto da un pronao di cui restano soltanto i basamenti delle colonne ioniche coperte in origine da una volta a botte. Le colonne circondano un canale che scorre intorno ad un’isoletta artificiale. Sull’isola era costruita una piccola domus, con atrio, triclinio, cubicula, latrina e persino piccole terme! Era una piccola residenza destinata al ritiro dell’imperatore, che era solito nuotare nel canale.
Inizialmente considerato un ninfeo, è un tempietto di ordine dorico di forma circolare, che ospitava una copia dell’Afrodite Cnidia di Prassitele. La pavimentazione è realizzata con la tecnica dell’opus sectile. La trabeazione vede un’alternanza di metope e triglifi, caratteristica tipica dello stile dorico. Le quattro colonne che attualmente possiamo osservare per intero sono state ricostruite negli anni Cinquanta unendo i frammenti ritrovati sul sito.
Sala dei filosofi
E' una grande sala rettangolare absidata sul fondo con sette nicchie, sopra uno zoccolo di 3 m. La tesi più probabile, avvalorata dalle grandi dimensioni della sala absidata, non è che si trattasse di una biblioteca, ma di una sala di riunioni ornata da nicchie che avrebbero ospitato le statue di sette saggi, forse di filosofi greci, visto che Adriano era uno studioso e un appassionato di filosofia greca.