Un dono

 speciale

 di Ludovica Tamborini

Età del Ferro


Un mattino fui svegliata dalla luce del sole che penetrava nella stanza e dal profumo di pane appena sfornato.

Ero di buon umore anche se da qualche tempo percepivo l’assenza di mio padre che si recava in bottega all’alba tornando a casa solo dopo il tramonto, stanco ma soddisfatto del lavoro svolto che per noi restava ancora un mistero.

Mi recai in cucina dove mia mamma Manilia e il mio fratellino Tadius stavano facendo colazione.

Trascorsero diversi giorni fino a quando un pomeriggio, mentre era indaffarata a riordinare la casa e a rammendare degli abiti, la porta si spalanco’ e mio padre varco’ la soglia gridando con orgoglio: “E’ pronta, è pronta, ecco a voi la meraviglia”.

Ci avvicinammo non capendo di cosa si trattasse. Tra le mani stringeva un piccolo oggetto dalla forma stravagante; era composto da una piccola asticella che da un lato terminava in una sottilissima punta ornata da una perlina di uno strano colore, molto lucente, mentre l’altra estremità si prolungava fino a terminare in una mezza luna cava, bucherellata e ornata da pois di un rosso acceso che non si era mai visto. Ci spiegò che quella strana creazione per lui simboleggiava l’unione e la collaborazione di altri popoli con il nostro; infatti, era composta da materiali estremamente preziosi provenienti da luoghi a noi sconosciuti.

Mio padre si girò verso di me dicendomi che l’originale non poteva essere venduto ad un abitante qualunque, quindi si avvicinò a me e appuntò quello strano aggeggio al mio abito vecchio e sgualcito; era incredibile come potesse renderlo splendido.

Quella sera ci sedemmo per cenare e orgogliosa del regalo ricevuto guardai mio padre e gli sorrisi in segno di gratitudine. 

D’un tratto il terreno iniziò a tremare e quelli che sembravano rumori di animali in lontananza si rivelarono passi pesanti ma ordinati, accompagnati dal cozzare di armature.

Senza pensarci due volte prendemmo i nostri, anche se miseri, averi e accompagnati da urla di terrore ci avvicinammo al fiume.

I Romani erano arrivati! 

Mio padre iniziò a correre e con l’aiuto di mia madre fece riemergere da un groviglio di piante e arbusti una piccola imbarcazione sufficiente a metterci in salvo; mia madre fu la prima a salire, seguita da mio fratello che spaventato piangeva tra sue braccia, spingemmo la barca in acqua, salii con molta velocità seguita da mio padre che, raggiunta la giusta profondità, iniziò a remare.

Mi accorsi che mancava qualcosa, mi guardai intorno… il gioiello!

Lo vidi oscillare in acqua, ormai ridotto ad un piccolo puntino, non c’era più nulla da fare.

Venni rassicurata da mio padre che promise, appena ci fossimo stabiliti, di aprire una piccola bottega per produrne altri.


Dopo diversi decenni….


16 Maggio 1990


Dopo aver trascorso una lunga e faticosa mattinata di lavoro decisi di trascorrere la pausa pranzo all’aperto.

Dopo essermi recata in biblioteca per ritirare un libro, andai in un piccolo bistrot di zona per mangiare qualcosa e per riposarmi prima di riprendere al lavoro.

Mangiai avidamente le pietanze ordinate e dopo aver concluso il pranzo mi misi seduta in riva al fiume con i piedi immersi nell’acqua cristallina.

Stavo per andarmene quando notai che a pochi metri distante da me, dove il fondale iniziava a essere meno visibile, qualcosa risplendeva ai raggi del sole.

Avanzai facendo qualche passo, mi bagnai leggermente i pantaloni, mi chinai e raccolsi uno strano oggetto.

Non sapevo esattamente cosa fosse, però ero certa che appartenesse ad un’epoca molto lontana.

Lo raccolsi, decisi di non tenerlo per me e mi recai nel museo della mia città dove lo affidai ad un archeologo.

Lasciai che si prendessero cura di quell’oggetto non curandomi del suo valore e della scoperta che avrebbero fatto sulla sua storia; proseguii così per la strada verso il mio ufficio.