Nel corso di questo lavoro ho descritto gran parte del pensiero di Said, dalle teorie sull'orientalismo e sull'imperialismo culturale, fino alle osservazioni sul giornalismo, riportando i commenti sulla copertura mediatica del Medio Oriente. Ho inoltre esposto le sue opinioni sui valori dell'umanesimo, sul ruolo delle rappresentazioni e sulla funzione degli intellettuali nella società, sottolineando le esortazioni rivolte a tutti coloro che lavorano nel campo della conoscenza.
Traendo insegnamento dai libri che ho trattato nei capitoli, intendo ora analizzare Said alla luce delle sue stesse teorie, per giudicare quali aspetti sono validi tuttora e quali altri invece necessitano un ripensamento. Voglio mettere in pratica quel che l'autore suggerisce di fare: contestualizzare le opere culturali e considerare i testi legati alla mondanità. Per commentare le opere di Said colgo quindi i suoi inviti a prendere in considerazione il periodo storico e il panorama culturale entro il quale l'autore visse e, dal momento che le critiche più radicali contro i media furono scritte negli anni '90, desidero ricostruire quel determinato contesto.
Due sue opere estremamente polemiche nei confronti del settore dell'informazione sono Culture and Imperialism, pubblicata nel 1993, e le Reith Lectures, tenute alla Bbc proprio durante lo stesso anno. In entrambe Said raffigura una situazione molto negativa, poiché sostiene che tutte le persone inevitabilmente ricevono un'informazione fortemente plasmata dai poteri politici ed economici. In Culture and Imperialism ritiene che i media predominano sulla conoscenza, imponendosi in maniera totalitaria, e difatti Said per spiegarne l'influenza pervasiva fa riferimento alle analisi sociologiche di Herbert Marcuse e di Theodor Adorno, e ai romanzi di Aldous Huxley e di George Orwell. Nelle Reith Lectures, similmente, considera i potenti media uno strumento di propaganda nelle mani di coloro che detengono il comando e, data la situazione drammatica, agli intellettuali spetta il compito di smascherare le false spiegazioni. Nello stesso periodo inoltre Said ha voluto aggiornare due sue opere, ripubblicando nel 1992 The Question of Palestine e nel 1997 Covering Islam, anch'esse critiche nei confronti delle opinioni maggiormente diffuse, la prima riguardo al conflitto israelo-palestinese e la seconda sulla copertura mediatica del Medio Oriente. Questi libri e i numerosi suoi articoli scritti in quegli anni in effetti sono accomunati da un vivo antagonismo contro il mondo dell'informazione, specialmente degli Stati Uniti, da Said giudicato strettamente legato alle forze politiche e agli interessi delle compagnie private.
Per meglio comprendere tali opere, ritengo dunque necessario ricordare il periodo storico degli anni '90 poiché, visto nel contesto, il pensiero di Said sembra concorde a quello di altri intellettuali critici verso l'egemonia culturale allora dominante. Negli anni '90, e specialmente nella prima metà del decennio, era in effetti evidente la supremazia della cultura americana in tutto il mondo, situazione che destava molte preoccupazioni. La globalizzazione veniva giudicata un pericolo perché comportava l'omologazione dei pensieri, dei consumi e perfino dei gusti, e sembrava incontrastabile, producendo molteplici visioni di un futuro cupo incombente, dal momento che non si intravedevano forze politiche in grado di opporsi, ma solamente gli ammonimenti di intellettuali e scrittori. I primi anni '90 infatti videro la luce dopo un decennio caratterizzato dal crescente predominio culturale degli Stati Uniti in tutto il mondo, ad esempio tramite il successo su larga scala di film hollywoodiani che esaltavano lo stile di vita americano (come Rocky, Superman, Rambo e Top Gun), e la diffusione dei fast food McDonald's che offrivano gli stessi cibi negli angoli più disparati del mondo, tanto che l'omologazione degli stili di vita sembrava imporsi nella quotidianità delle persone. Così, mentre per tutto il corso degli anni '80 l'Unione Sovietica aveva mostrato evidenti e a più riprese i segni della crescente crisi politica ed economica che l’avrebbe portata alla dissoluzione, i governi del presidente Reagan negli Stati Uniti e della primo ministro Thatcher in Gran Bretagna mostravano i muscoli e davano prova della loro forza morale esaltando il libero mercato vincente.
Gli anni '90 anche in Medio Oriente furono caratterizzati dal disorientamento poiché, ormai privo di vigore il nazionalismo arabo di Nasser, avanzarono ideologie di stampo localistico e religioso e si rafforzò il fondamentalismo islamico. Il primo attentato di Al Qaeda avvenne appunto nel 1992, ad Aden in Yemen, e l'anno successivo fu posta un’autobomba al World Trade Center di New York, entrambi eventi che ravvivarono la paura del terrorismo. Dopo l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq nel 1990, gran parte dei paesi arabi si schierarono al fianco degli emirati del Golfo e dell'Arabia Saudita, supportati dagli Stati Uniti. Nel 1993, inoltre, furono firmati a Washington gli accordi di Oslo con i quali l'Olp riconobbe ufficialmente Israele, e quest'ultimo concesse ai palestinesi una relativa autonomia, decisioni importanti che però non comportarono la fine dei contrasti.
Negli anni in cui Said riflette sistematicamente sui temi centrali di questo lavoro, pertanto, l'Occidente sembrava prevalere incontrastato sul resto del mondo e, non essendoci alternative valide, le ideologie dei vincitori si riflettevano non solo in ambito politico ed economico, ma anche nel panorama culturale. Nel 1992, ad esempio, Francis Fukuyama pubblicò The End of History and the Last Man1 e l'anno successivo comparve per la prima volta sulla rivista «Foreign Affair»s il saggio The Clash of Civilizations di Samuel Huntington2, due testi fortemente criticati da Said in quanto il primo prevede il dominio indiscusso di un solo modello politico, mentre l'altro ritiene che lo scontro tra civiltà sia inevitabile in futuro.
Nel campo delle comunicazioni mondiali, poi, i primi anni '90 rappresentarono il trionfo della Cnn come canale satellitare, affermandosi nel mondo specialmente durante la guerra del Golfo del 1991, dal momento che fornì ai telegiornali di tutti i paesi le immagini e le notizie delle operazioni militari statunitensi. In quel periodo, del resto, internet non era ancora diffuso su larga scala; gli utenti connessi erano molto pochi e non erano ancora stati realizzati i programmi che consentivano la fruizione dei testi in rete, dato che Netscape Navigator fu creato nel 1994 e Microsoft Explorer nel 1995.
Said dunque, quando nel 1993 espresse in Culture and Imperialism e nelle Reith Lectures le sue critiche sul dominio dei media, era immerso in un contesto in cui il “pensiero unico” sembrava veramente poter regnare incontrastato, con la maggior parte degli opinionisti che presentava un futuro prevedibile, retto dalle sorti del mercato e dal predominio culturale degli Stati Uniti. Pertanto, nei suoi discorsi si colloca all'opposizione e cerca di controbattere le ideologie dei vincitori, sforzandosi di smascherare le omissioni dell'informazione e di offrire spiegazioni differenti e antagoniste. Contrastare l'egemonia culturale statunitense pareva un'urgenza e, non essendoci mezzi di comunicazione alternativi ai potenti media, l'unica arma sembravano essere le voci solitarie di alcuni intellettuali dissidenti, e Said era uno di questi. Giudicava drammatica la situazione dell'informazione, poiché accentrata in poche mani, considerava un grave pericolo la supremazia della Cnn e di pochi altri canali televisivi satellitari, in quanto capaci di influenzare la conoscenza in tutto il mondo, e criticava il predominio sulla creazione e sulla diffusione delle notizie detenuto dalle agenzie di stampa statunitensi ed europee.
Secondo il mio parere, a partire dalla fine degli anni '90 il contesto è cambiato, dal momento che sono emersi nel campo delle comunicazioni molti altri soggetti e nuovi strumenti capaci di sfidare l'egemonia mediatica proveniente da pochi centri di comando. In primo lungo la vasta diffusione delle connessioni internet ha scalfito la preminenza dell'informazione televisiva, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, comportando effetti reali anche nel campo sociale e politico. Non mi soffermo su questo argomento complesso, che richiederebbe lunghe riflessioni, ma ritengo necessario ricordare brevemente l'evoluzione di internet nell'ultimo decennio. Nel 1999 è stata creata la rete Indymedia, ossia un progetto che intende dare la possibilità a tutte le persone di diffondere notizie, e tale innovazione ha incentivato lo sviluppo delle comunicazioni in maniera orizzontale e partecipativa. Questa logica presto ha cominciato a riscuotere successo e si è diffusa rapidamente tramite l'utilizzo dei blogs e recentemente dei social networks, entrambi strumenti che consentono a chiunque di partecipare a delle comunità in piazze virtuali.
Non intendo affermare né che le comunicazioni telematiche abbiano migliorato la qualità della conoscenza, né che i potenti media siano in declino, dato che per la maggior parte delle persone il ruolo di televisioni e stampa rimane centrale per apprendere i fatti. Inoltre, non ritengo che internet possa risolvere i dislivelli di potere, dal momento che gli utenti nelle diverse parti del mondo non hanno ugualmente accesso alla rete e non la utilizzano allo stesso modo. Tuttavia, bisogna apprezzare i nuovi strumenti ora a disposizione poiché concedono la possibilità a chiunque di comunicare le proprie opinioni, un aspetto che ritengo non vada assolutamente trascurato in un qualsiasi discorso sui media.
È necessario notare dunque che Said, quando parla dell'imperialismo culturale, si focalizza soprattutto sui messaggi che televisioni e stampa forniscono, dal momento che, quando ha esaminato i media, internet ancora non era stato ancora sviluppato come oggi lo conosciamo. Said accenna in qualche suo ultimo articolo al potenziale delle comunicazioni informatiche, ma nella maggior parte dei testi si riferisce all'onnipresenza della televisione e all'autorità dei quotidiani più celebri, poiché quello era il contesto entro il quale viveva.
Rispetto ai primi anni '90 è cambiato anche il panorama delle offerte televisive, grazie al diffondersi di un'ampia varietà di canali satellitari (sia gratuiti che a pagamento) e all'aumento del numero di persone fornite di strumenti per la ricezione. A quasi venti anni di distanza da quando la Cnn deteneva il predominio nel raccontare la guerra del Golfo, tanto criticato da Said, adesso l'informazione televisiva è più eterogenea e l'egemonia statunitense può essere messa in discussione. A partire dalla seconda metà degli anni '90 e nel corso del decennio successivo, nel settore dei canali giornalistici molte voci provenienti da tutti i continenti sono comparse sulle scena, diversificando i linguaggi e i punti di vista. L'informazione in lingua inglese non arriva più solamente dagli stati anglosassoni, e le notizie in arabo non sono prodotte solo dai paesi mediorientali, dal momento che le televisioni e i giornali di molti paesi hanno cominciato a comunicare in più di una lingua, via satellite e via internet. Molti paesi ora non intendono rivolgersi solamente ai propri cittadini entro i confini nazionali, bensì mirano a un pubblico mondiale, e tale fenomeno sta ormai facendo perdere alle redazioni giornalistiche occidentali la supremazia sull'informazione.
Ad esempio, nel 2000 la televisione cinese Cctv ha creato un canale satellitare di notizie interamente in inglese, seguito dall'avvento di due nuove reti in spagnolo e francese nel 2007, e poi da altre due in arabo e russo nel 2009. In Russia nel 2005 è stato fondato un canale satellitare che diffonde informazioni in inglese, Russia Today, al quale ha fatto seguito nel 2007 un secondo in lingua araba, Rusiya Al-Yaum. In Medio Oriente la rete satellitare araba Al Jazeera, fondata in Qatar nel 1996 e divenuta famosa nel mondo dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, nel 2006 ha messo in onda un nuovo canale in inglese. Anche in Europa le emittenti nazionali hanno cominciato a comunicare in lingue differenti, dal momento che hanno avviato trasmissioni in inglese il canale tedesco Deutsche Welle a partire dal 2003 e la francese France 24 nel 2006, invece la britannica Bbc ha fondato un canale in arabo nel 2008 e uno in persiano nel 2009. Anche i siti internet delle più importanti televisioni e dei famosi quotidiani hanno iniziato a pubblicare testi in diverse lingue, per ampliare il proprio pubblico e rivolgersi al mondo; è da notare infatti che le notizie online della Bbc sono attualmente scritte in oltre trenta lingue, dall'albanese al vietnamita. Il servizio non in lingua inglese della Bbc non è una novità, bensì vanta una lunga storia, dato che a partire dal 1938 fu avviata la trasmissione di programmi radiofonici in tedesco, e poi nelle principali lingue europee. In seguito, dopo la seconda guerra mondiale, l’emittente britannica continuò a diffondere notiziari all'estero, dedicando particolare attenzione nelle regioni dove era forte l’influenza dei governi comunisti, come l'Europa orientale e il Sud Est asiatico. Una volta terminata la guerra fredda poi, non sussistendo più la politica del contenimento, la Bbc ha avviato radicali cambiamenti nell'organizzazione delle redazioni in lingue estere. Dal 1999 infatti ha smesso di produrre notiziari in alcune lingue europee, come il tedesco e l'italiano, e ancora, a partire dal 2005, ha cominciato a interrompere anche le trasmissioni nelle lingue dell'Europa orientale. Nel contempo però la celebre azienda britannica ha incrementato gli investimenti in altre aree, al momento prioritarie, dato che recentemente ha iniziato a operare in lingua araba e persiana.
Sembra che le redazioni giornalistiche siano diventate uno strumento degli Stati per promuovere la propria immagine nel mondo, e i messaggi trasmessi attraverso le televisioni internazionali e internet paiono in competizione fra loro, ognuno con il proprio punto di vista. Il fenomeno si è mostrato evidente, ad esempio, nel 2005 quando il governo venezuelano ha fondato un canale satellitare in spagnolo, Tele Sur, proprio con l'intento di raggiunge tutti i paesi del Sud America e propagandare una visione alternativa, come appunto riporta scritto nel logo: Nuestro Norte es el Sur, ossia "Il Nostro Nord è il Sud".
Con questa rapida descrizione sulla varietà delle reti televisive nei continenti, ho voluto evidenziare come oggi il panorama dei media sia molto cambiato da quello raffigurato all'inizio degli anni '90 da Said. Ovviamente, molte persone non possiedono le competenze linguistiche e gli strumenti tecnologici per accedere a questa vasta gamma di offerte, comunque tali informazioni sono disponibili e sicuramente non è più presente il predominio nel mondo di un solo punto di vista, basato sui comunicati di poche agenzie di stampa occidentali.
Non intendo sostenere che le analisi di Said siano ormai inadeguate per comprendere il mondo dell'informazione, dal momento che nella produzione delle notizie intervengono sempre rapporti di potere, ma voglio solamente sottolineare quanto adesso sia meno percepito il rischio di quell'omologazione culturale da lui raffigurata, dove un’unica interpretazione pervade la conoscenza delle persone. Come la Cnn tende a rafforzare l'egemonia statunitense, così altri poli culturali oggi elaborano discorsi e rappresentazioni con l'intenzione di accrescere la loro influenza, ad esempio la cinese Cctv, l'araba Al Jazeera, la venezuelana Tele Sur e la russa Russia Today. Benché sia prevalente nel mondo, non esiste solamente il cinema hollywoodiano, ma ci sono anche altri centri di produzione molto vitali, come Bollywood a Mumbai e Nollywood a Lagos. I registi operanti in questi poli seguono differenti canoni artistici e raccontano storie che, in maniera analoga ai film americani, tendono a imporsi come egemoniche nelle località dove vengono recepite.
L'imperialismo culturale è ancora presente, dunque, ma ritengo che non si possa più considerare attivo da un solo fronte, poiché adesso sono in azione diversi soggetti. Vorrei provare quindi a pensare il mondo non diviso tra un solo centro egemonico produttore di discorsi e tante periferie subalterne destinate o alla ricezione o alla resistenza, bensì costituito da diversi poli in cui si elaborano significati, tutti con una propria sfera di influenza, a volte concordi e talvolta in contrasto tra loro. Con queste mie considerazioni non intendo negare Said, ma riflettere sui viaggi che percorrono le idee, cercando di applicare le sue stesse teorie al contesto mutato. Cogliendo il suo invito a considerare la cultura sempre in movimento e sottoposta a processi di collocazione e dislocazione, secondo la logica del contrappunto, ritengo che adesso sia necessario indagare quali siano le traiettorie, i luoghi di origine e i destinatari dei vari significati, nonché le interpretazioni, e sono altresì consapevole che tali considerazioni delineano un campo di studio che richiede ricerche accurate.
Un altro aspetto interessante indagato da Said sono proprio i rapporti tra i centri culturali nel mondo, tema affrontato in Orientalism e in Covering Islam quando riflette sulle relazioni tra gli studi universitari nei vari paesi. Concordo quando l'autore spiega che l'Occidente detiene un ruolo di primo piano nel campo delle ricerche non soltanto grazie alla sua forza egemonica, di origine imperialista e coloniale, ma anche perché gli altri continenti, guardando con fascino alla scienza statunitense ed europea, sembrano aver accettato una posizione subalterna. Questa situazione è ancora presente poiché nelle regioni non europee i figli delle élite sono incoraggiati a studiare all'estero; tale prassi deriva dall'epoca coloniale, ma perdura tutt'ora, anche dopo che i paesi hanno ottenuto l'indipendenza politica. Benché recentemente si siano sviluppati nuovi centri universitari eccellenti pure in paesi non occidentali, come in Cina e in India, l'istruzione di matrice anglosassone o europea è ancora considerata un modello di riferimento, dato che gli istituti scolastici nel mondo vengono strutturati seguendo le loro logiche3.
Said osserva dunque quanto siano subalterni i paesi mediorientali nel campo degli studi universitari e tali riflessioni, considerate alle luce dei tempi presenti, ritengo che siano ancora attuali. Penso che sia importante ricordare ad esempio i recenti investimenti nel settore dell'istruzione e dell'arte condotti nell'emirato di Abu Dhabi, paese che intende rinnovarsi promuovendo una nuova immagine di sé proprio legata alla cultura. Dal 2006 è operativa una sede dell'università parigina Sorbonne e nel 2010 è prevista l'apertura di una succursale della New York University, inoltre nell'ambito artistico saranno inaugurati i musei Guggenheim Abu Dhabi nel 2011 e Louvre Abu Dhabi nel 2012. Considero che la scelta di creare poli culturali in Golfo Persico, importando direttamente dall'estero professori, saperi e opere d'arte, mostri un'evidente dipendenza nel campo della conoscenza, proprio quel che Said sostiene riguardo alla complicità dell'Oriente nella sua subalternità in campo culturale.
Considero infine valide le teorie di Said specialmente riguardo al legame tra potere e cultura poiché qualunque autorità, per rimanere tale, ha bisogno del consenso, ottenibile solo se riesce a giustificare il proprio operato come necessario. Considerato dunque che il dominio, per sussistere, deve essere puntellato da una cultura e da un sistema di valori capace di spiegarne il senso, rivestono un ruolo importante coloro che si dedicano alla diffusione della conoscenza, ossia coloro che esercitano l’egemonia. Gran parte dell'informazione giornalistica è infatti legata al potere, sia politico che economico e, di conseguenza, i discorsi maggiormente diffusi tendono a favorire gli interessi di coloro che detengono il comando. Al riguardo penso che siano molto attuali le osservazioni di Said sul linguaggio utilizzato per rappresentare la realtà, poiché certe espressioni non sono scelte casualmente, bensì con molto ingegno, per promuovere determinate idee e punti di vista. Sono da ricordare ad esempio le critiche di Said contro la definizione “intervento umanitario”, per giustificare le operazioni militari, e le riflessioni sul termine “terrorista”, usato per rendere prive di senso le azioni e disumanizzare le persone. Aggiungerei altri termini, diffusi dai potenti media con un'evidente intenzione di giustificare le decisioni di coloro governano, come “bomba intelligente” per definire gli attacchi mirati, “missione di pace” per spiegare l’invio di contingenti militari e “pacificatori” in riferimento ai soldati. Il linguaggio è scelto con cura poiché, se utilizzato frequentemente dalle televisioni, giornali, opinionisti e politici, con il trascorrere del tempo è capace di influenzare il senso comune.
Said scrive appunto che ripetere tante volte una menzogna induce inevitabilmente a creare la verità, ricordando così la famosa osservazione del ministro della propaganda nazista Goebbels.
Questa prospettiva d’analisi invita a riflettere molto e proprio da questa problematica scaturiscono le ricerche più importanti di Said sull'orientalismo, sul dominio e sulle rappresentazioni. Gli studi, la letteratura e tutto quel che concerne il campo delle comunicazioni, media e giornalismo, ossia la cultura in senso ampio, sono rappresentazioni della realtà, che sussistono solamente se scambiate, la cui verità è soltanto “una questione di grado”, come scrisse in Orientalism. Per comprendere i discorsi e i testi bisogna dunque sempre tenere in mente il loro coinvolgimento con i rapporti di potere presenti nella società.
1Francis Fukuyama, 1992, The end of history and the last man, New York, Free Press; trad. it. 2003, La fine della storia e l'ultimo uomo, Milano, Rizzoli.
2Samuel Huntington, Estate 1993, The Clash of Civilizations, «Foreing Affairs», New York, Council on Foreign Relations.
3Ci sono comunque modelli di istruzione alternativi, ad esempio quello proposto dall’Universidad Bolivariana in Venezuela che, dal 2003, offre insegnamenti diversi dai corsi di studio tradizionali perché ideati con l’intenzione di far progredire il socialismo.