La tendenza dell'accademia a concentrare l'attenzione sull'appartenenza a una corporazione può avere infatti l'effetto di limitare il senso critico degli studiosi. […] La tendenza all'accettazione passiva, corporativa e acritica delle principali dottrine del proprio campo rappresenta a mio parere il più grande rischio che grava su ricercatori, docenti e studiosi.
(E. Said, Nel segno dell'esilio, p. 553-554)
Tutti gli studi, ma specialmente quelli in ambito umanistico, non possono definirsi oggettivi in quanto ogni conoscenza è basata su interpretazioni. Chiunque intenda descrivere fenomeni sociali, raccontare eventi storici o semplicemente fatti di cronaca non può comprendere la verità perché questa non esiste in un modo assoluto, in quanto ogni conoscenza è basata su interpretazioni. Nessuno vive in diretto contatto con la realtà perché tutti noi siamo immersi in determinate modalità di rappresentazione, senza le quali non potremmo rapportarci con il mondo. Per spiegare tale concetto Said riporta le osservazioni del sociologo statunitense Charles Wright Mills1 riguardo al funzionamento della comprensione umana, secondo il quale le nostre esperienze personali non sono mai veramente tali, ma sempre mediate da racconti, ossia dalle interpretazioni che riceviamo dalla società. Ognuno vive in un mondo immerso di significati e nessuno si sorregge autonomamente confrontandosi in maniera diretta con la dura realtà del mondo; una tale situazione comporterebbe il panico. Per evitare la totale insicurezza, le nostre esperienze sono selezionate da immagini stereotipate e plasmate da interpretazioni già pronte. Durante la vita di tutti i giorni noi non facciamo esperienza del mondo come tale, ma di una conoscenza condivisa con le altre persone. Ovviamente ognuno interpreta individualmente ciò che osserva, ma le proprie opinioni non possono essere completamente isolate. In genere, tutti noi parliamo delle osservazioni e delle interpretazioni altrui; nei discorsi quindi facciamo ricorso a degli apparati culturali.
Criticando ogni pretesta di oggettività, Said dedica attenzione a un concetto fondamentale per la formazione della cultura: la trasmissione del sapere. In ogni società infatti è sempre presente una sorta di comunità di interpretazione che ha la funzione di offrire una conoscenza accettata della realtà. Chiunque intenda condurre una ricerca su un determinato tema deve necessariamente, per non essere né irrilevante né ridondante, confrontarsi con coloro che hanno già scritto sulla stessa materia. Ad esempio, spiega Said, se una persona intende scrivere una ricerca seria sull'Islam, o sulla Cina, su Shakespeare o su Marx, deve prendere in considerazione che cosa è stato detto sullo stesso argomento in passato2. Dunque non esiste un testo completamente nuovo e nessuno che voglia parlare di fenomeni sociali può pretendere di essere del tutto originale; vi è un legame tra tutti coloro che hanno studiato e interpretato una stessa questione. Un ricercatore può confermare gli studi precedenti, può proseguirli oppure controbatterli, ma sempre vi è una connessione tra le opere. In pratica nessuna opinione è senza precedenti, senza alcuna relazione con i predecessori.
Said espone osservazioni riguardo alla condotta di chi conduce le ricerche, tema ripreso dalle analisi sul potere di Michel Foucault3 e dalla nozione di paradigma scientifico di Thomas S. Kuhn4. Tali autori infatti hanno mostrato quanto sia influente la presa di modelli epistemologici nei campi dell'espressione e del pensiero, aspetti che alterano e plasmano la natura di ogni enunciato individuale. Gli studi non sono mai liberi, svincolati dalla contingenza, perché quando si sviluppano vengono inquadrati all'interno di una disciplina. Quando una materia viene istituzionalizzata, il canone che si crea agisce in maniera attiva poiché fornisce agli studiosi un metodo al quale si richiede di conformarsi.
La disciplina stessa, secondo Said, guida il procedere delle analisi, cosicché i ricercatori, una volta acquisito il loro linguaggio professionale, codici accettati dalle accademie, tendono a fornire spiegazioni conformandosi agli studi svolti in precedenza. In questo modo gli studiosi acquistano credibilità e iniziano a considerare le loro affermazioni oggettive. Le discipline pertanto, una volta istituzionalizzate, favoriscono il ripetersi di determinate nozioni e ostacolano lo sviluppo di analisi originali. Gli studiosi vengono così guidati più da un'ortodossia corporativa che da una genuina esigenza di comprensione, e iniziano a difendere gli interessi del proprio gruppo. Anche un giovane studente che intende specializzarsi in una materia, ad esempio la storia moderna del Medio Oriente, dipenderà dagli interessi che pervadono la disciplina. Non solo la tradizione degli studi avrà ovviamente formato la sua conoscenza, ma anche le sua aspirazione a diventare famoso influenzerà le ricerche. È consapevole che, se sarà fortunato, i suoi scritti potranno essere letti dal Dipartimento di Stato, dalla Difesa o da qualche azienda.
Partendo da queste considerazioni sulla struttura della ricerca scientifica istituzionalizzata, Said critica i ricercatori orientalisti perché, nonostante vivano in un preciso contesto storico, non hanno dubbi che sia raggiungibile una conoscenza obiettiva dell'Islam e degli aspetti della società. Tale prerogativa viene attribuita loro dal potere che questi esperti ricoprono. In Covering Islam Said esprime le sue considerazioni sul ruolo degli area studies nelle università statunitensi, discipline che includono gli studi orientali. Poiché si focalizzano di volta in volta su una sola regione del mondo, le ricerche rischiano di perdere di vista il contesto più ampio entro il quale la cultura è prodotta. Analizzando la storia e l'economia di una sola determinata area geografica, gli area studies tendono a dividere i campi di indagine e a separare le ricerche, una condotta che Said giudica sbagliata in quanto il lavoro intellettuale ha bisogno della comparazione e di unire le differenti discipline. Vi è pertanto un senso di autosufficienza diffuso tra gli studiosi, difetto che induce a una conoscenza distorta delle culture.
Secondo Said gli area studies sono fortemente legati alla politica in quanto hanno la capacità di favorire gli interessi nazionali. I maggiori esperti svolgono un ruolo funzionale agli interessi politici e tendono a essere legati alle aziende private. Per questo motivo parlano da una posizione dominante e sono indotti a giustificare gli obiettivi di chi gestisce il potere. Anche l'orientalismo, come gli area studies ai quali appartiene, è funzionale per giustificare gli obiettivi geopolitici nazionali. Lo stesso Leonard Binder, professore membro del Mesa (Middle East Studies Association), ammise che i motivi grazie ai quali si sono sviluppati gli area studies negli Stati Uniti sono politici5. Le istituzioni orientaliste sono mantenute dagli affari del settore privato, dalle fondazioni o dal governo, ad esempio, le compagnie petrolifere sono uno dei poteri più interessati a conoscere il Medio Oriente. Sono evidenti gli effetti che le ricerche hanno provocato nel resto del mondo, sebbene la maggior parte degli esperti non lo riconosca apertamente.
Gli studi agiscono entro una sfera di influenza legata alle aziende private, ai media e al governo, e pertanto producono immagini non necessariamente veritiere. Durante il governo dello Shah, gli iranologi erano finanziati dalla Pahlavi Foundation e sostenuti dalle istituzioni americane. Ciò ha comportato che, negli anni precedenti alla rivoluzione del 1979, nessuno si sia mai chiesto veramente quanto fosse saldo il governo dello Shah Reza Pahlavi, a tal punto che perfino il presidente statunitense Jimmy Carter nel 1978 definì l'Iran come un'isola di stabilità6. Forti erano in effetti i legami economici tra gli Stati Uniti e il governo iraniano. Un caso analogo di come l’intreccio tra politica, economia e ricerca scientifica abbia prodotto un sapere asfittico, autoreferenziale e del tutto inadeguato alla complessità dell’oggetto d’indagine avvenne in Libano, con l’assoluta incapacità degli “esperti” nel prevedere la guerra civile del 1975 nonostante i segnali politici fossero evidenti da anni. Benché il paese sia composto da un mosaico di culture, veniva sempre messa in risalto la stabilità della nazione. Simili considerazioni (e un parimenti duro giudizio) valgono anche quanti conducevano analisi sulla Palestina negli anni Ottanta, poiché furono tutti sorpresi dall'inizio dell'Intifada nel 19877.
Said avverte dunque che non bisogna sottovalutare il legame tra i poteri dominanti e le istituzioni che si dedicano alla conoscenza, problema attorno al quale gioca inoltre un ruolo cruciale la diffusione del sapere. È necessario riflettere sul motivo della larga diffusione di idee e nozioni che, benché non siano necessariamente veritiere o accurate, riescono a sembrare persuasive. Tali immagini ottengono successo grazie all'influenza delle persone e delle istituzioni che le producono e le ripetono.
Tra i numerosi esempi di opinioni offensive e denigratorie contro i paesi musulmani, spiccano nelle opere di Said le ripetute critiche contro Bernard Lewis. Il celebre orientalista britannico, residente negli Stati Uniti e professore di Studi Islamici alla Princeton University, secondo Said si esprime costantemente con affermazioni erronee ed estremamente generalizzanti. Giudica il mondo islamico contrario alla modernità e sostiene che nelle società musulmane la religione pervada l'intera vita delle persone. Come molti altri orientalisti, spiega la contemporaneità utilizzando la storia remota dell'Islam, senza accurate analisi. Inoltre è convinto dell'esistenza di due entità differenti, da lui definite “mentalità occidentale” e “orientale”, la seconda descritta come fanatica e irrazionale. Tali affermazioni sono pure astrazioni, ideate per poter distinguere le due culture. Said critica il coinvolgimento diretto di Lewis negli interessi nazionali statunitensi. Se studia le scuole religiose nell'Afghanistan contemporaneo, ciò non avviene per caso; è ovvio che parte delle sue ricerche potranno avere implicazioni politiche ed essere utilizzate da forze come il governo, aziende private o enti legati alla politica estera.
Tra le varie critiche esposte contro l'orientalista Bernard Lewis, Said ricorda come il professore si sia spinto perfino ad affermare che le civiltà non europee hanno difficoltà a comprendere la curiosità intellettuale per le altre culture, caratteristica questa tipica dell'Occidente. Scrisse in effetti che quando i primi europei cominciarono a studiare gli scavi archeologici dell'antico Egitto, la popolazione locale rimase stupita a causa dell'interesse degli stranieri per delle vecchie rovine. Secondo il noto professore, fu la ricerca di una gratificazione per la curiosità intellettuale ad aiutare gli europei nelle loro esplorazioni verso terre straniere oltreoceano, un desiderio assente invece nei popoli non europei. Said controbatte fortemente a quest'ultima tesi di Lewis citando le opinioni di Donald Lach e John Horace Parry, due storici del colonialismo che invece argomentano in maniera convincente l'interesse degli europei nei confronti delle culture straniere derivi dal commercio e dalle conquiste8.
Per quanto siano erronee, posizioni analoghe a quelle espresse da Lewis hanno ottenuto il consenso tra gli studiosi orientalisti. Per spiegare come solitamente sono esposti gli studi orientalisti nel mondo accademico, in Covering Islam viene raccontato quel che avvenne negli anni '70 a Princeton, università dove insegnava Bernard Lewis. Tra il 1971 e il 1978 furono organizzati quattro seminari sul mondo musulmano, con il patrocinio della Ford Foundation. Said mostra che tutti gli argomenti ogni volta vennero trattati tenendo in mente gli interessi nazionali degli Stati Uniti. Il primo seminario fu dedicato all'applicazione delle teorie psicoanalitiche nei paesi mediorientali. Le esposizioni si focalizzarono attorno ad argomenti denigratori dell'Islam poiché il comportamento della famiglia fu ritenuto repressivo, gran parte dei leader nazionali furono visti come psicopatologici e le società ancora immature. Il secondo seminario trattò il sistema politico dei millet, cioè l'ordinamento giuridico che regolava le minoranze religiose nell'impero ottomano. Il sistema venne studiato con l'obiettivo di far emergere gli aspetti negativi e fu giudicato come la strategia politica del “divide et impera”. Nel seguente dibattito, incentrato sulla presenza dell'Islam in Africa, si mise in risalto che gli arabi in passato si dedicarono al commercio degli schiavi, deportando le popolazioni africane. L'obiettivo dei discorsi sembrava dunque avvertire gli stati africani sul pericolo dell'ingerenza dei musulmani nel continente. Il quarto infine fu dedicato alla storia economica in Medio Oriente, dal sorgere dell'Islam fino al diciannovesimo secolo. Anche in questo non venne meno il tono critico verso l’Oriente, poiché gli unici argomenti trattati furono l’instabilità politica e il ruolo autoritario dello stato9.
I quattro seminari sono raccontati per spiegare come gli studi mostrino i popoli islamici in maniera denigratoria. Said insiste quindi sulla responsabilità che hanno gli esperti orientalisti nel diffondere opinioni che, una volta enunciate nelle università, di conseguenza si riflettono facilmente nel linguaggio della politica e dei media. Osserva infatti che ormai nel linguaggio dei partiti politici negli Stati Uniti e in Europa sono diffuse le accuse contro la religione musulmana, in tutti gli schieramenti. La destra conservatrice associa l'Islam alla barbarie, le forze centriste lo rappresentano estraneo e con tinte esotiche, invece la sinistra liberal lo paragona al passato, alla teocrazia e al medioevo.
1Charles Wright Mills, 1967, Power, Politics, and People: The Collected Essays of C. Wright Mills, New York, Oxford University Press.
2Edward Said, Covering Islam, cit., p. 162-164.
3Michel Foucault,1969, L'Archéologie du savoir, Paris, Gallimard; trad. it 1971, L' archeologia del sapere, Milano, Rizzoli.
4Thomas S. Kuhn, 1962, The structure of scientific revolutions, University of Chicago Press, Chicago; trad. it. 1969, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi.
5Edward Said, Covering Islam, cit., p. 141-143.
6Ivi, p. 75.
7Ivi, p. 20-21.
8Ivi, p. 139.
9Ivi, p. 144-149.