Non esiste la figura privata dell'intellettuale, poiché nel momento stesso in cui mette per iscritto alcune parole per poi pubblicarle, è già una figura pubblica. [...] Ciò che qualifica l'intellettuale è il suo essere figura rappresentativa: ossia qualcuno che rappresenta un certo punto di vista dandogli visibilità.
(E. Said, Dire la verità, p. 27)
Considerata l'importanza delle interpretazioni nelle società, per Said gli intellettuali rivestono un ruolo significativo perché sono coloro che intervengono attivamente sul linguaggio. Tutti coloro che ricorrono all'arte di rappresentare, parlando, scrivendo, insegnando, ricoprendo incarichi politici, intervenendo nei media, svolgono attività che non si possono spiegare semplicemente con il perseguimento degli interessi individuali. L'argomento è cruciale poiché le persone guardano agli intellettuali, o ai leader di una fazione o tendenza, per poter meglio comprendere la realtà.
Quando nel 1993 Said fu invitato dalla Bbc a tenere le Reith Lectures, decise di analizzare proprio le rappresentazioni che gli intellettuali offrono, e di conseguenza il ruolo di questi nella società contemporanea. L'emittente britannica ogni anno, a partire dal 1948, invita una personalità del mondo della cultura a discorrere su un tema liberamente scelto dall'ospite di turno. Tali conferenze radiofoniche portano il nome di John Reith, il primo direttore generale della Bbc, poiché furono istituite in suo onore per ribadire i valori della celebre emittente. Reith teorizzò quali dovessero essere le caratteristiche e gli obiettivi di un servizio di radiodiffusione nazionale. Secondo il famoso direttore l'organizzazione deve essere di proprietà pubblica ma politicamente indipendente dallo Stato, e i compiti fondamentali da svolgere sono informare, educare e divertire1. Tali conferenze, avendo l'obiettivo di aggiornare un ampio pubblico su un tema importante, di interesse attuale, perseguono appunto la finalità di diffondere la conoscenza e al contempo mantengono l'ideale che il direttore Reith aveva prefissato, ossia arricchire la vita culturale di una nazione. Consapevole del valore dell'incarico a lui affidato, Said nei suoi discorsi volle illustrare l'importanza dei compiti degli intellettuali, esprimendo ammonimenti e consigli rivolti specialmente a chi opera nel campo dell'informazione e della conoscenza. Per cercare di identificare chi siano gli intellettuali in una società, nelle Reith Lectures Said riporta due visioni contrapposte: il pensiero di Antonio Gramsci e quello di Julien Benda. Anche se sono molto differenti, secondo Said da entrambi si possono trarre insegnamenti validi.
Per Gramsci tutti gli uomini sono intellettuali, anche se non tutti hanno tale funzione nella società. Nei Quaderni del carcere2 distinse tra “intellettuali tradizionali”, cioè coloro che sentono il loro incarico riconosciuto come tale nel corso della storia, ad esempio gli insegnanti e gli ecclesiastici, e "intellettuali organici", cioè coloro che si sono formati essendo funzionali a un gruppo sociale, ad esempio perché utili alla produzione economica. Questi ultimi svolgono essenzialmente una funzione organizzativa, ossia compiti capaci di rafforzare la coesione interna e l'influenza dei gruppi ai quali appartengono, e pertanto le classi sociali se ne servono perché il loro lavoro incide sul consenso. Said riprende il pensiero di Gramsci perché vuole affermare che gli intellettuali non sono distanti dalla società. Dichiara che si possono definire tali infatti anche coloro che svolgono incarichi in molti settori dell'economia contemporanea, precisando che
il pubblicitario o l'esperto in pubbliche relazioni, chi studia ed elabora tecniche idonee a conquistare una più larga fetta di mercato a un detersivo o a una compagnia aerea, sarebbero oggi considerati da Gramsci intellettuali organici3.
Il filosofo francese Benda invece, nella sua opera La trahison des clercs4, sostenne che si può definire intellettuale soltanto chi è risoluto nella difesa delle proprie idee. È tale solo chi ribadisce le proprie convinzioni, sulla verità e sulla giustizia, senza alcun interesse per fini pratici e senza scendere a compromessi. L'intellettuale, in questa prospettiva, è visto distaccato dal mondo, considerato una persona dura e risoluta, di straordinario coraggio, che incute soggezione ed è sempre pronto a scagliare anatemi. Nonostante Said non condivida le opinioni di Benda, considera validi alcuni aspetti da lui delineati. Bisogna apprezzare infatti la capacità degli intellettuali di tenersi in disparte e di essere sempre disposti a esprimere senza timore le proprie opinioni.
Ponderando i due differenti punti di vista, Said ritiene che il mondo contemporaneo possa essere compreso meglio grazie alle analisi di Gramsci. Oggi sono molte le persone che ricoprono incarichi da intellettuale, specialmente coloro che svolgono un ruolo connesso al campo della diffusione delle rappresentazioni. Poiché queste ultime influiscono sulla conoscenza comune, tutti coloro che lavorano intervenendo sul linguaggio sono capaci di accresce il consenso di un'istituzione o di una compagnia. Quindi, chiunque operi in un campo legato alla produzione o alla diffusione del sapere oggi è un intellettuale in senso gramsciano e, secondo Said, questo ambito è il perno sul quale ruota la società contemporanea. Tutti coloro che lavorano nel settore radiofonico e televisivo, nel mondo universitario, gli analisti, gli esperti assicurativi, i consulenti aziendali e di governo, svolgono delle attività legate alla conoscenza, vale a dire forniscono rappresentazioni che hanno la capacità di influire sulle persone. Dunque, tutto il moderno giornalismo si può analizzare riflettendo sul ruolo degli intellettuali nella società.
Dal momento che gli intellettuali sono parte integrante della società, Said si sofferma sul problema della loro autonomia e riflette se sia possibile esprimere un'opinione indipendente oppure, nel caso opposto, fino a che punto una persona possa essere intenzionata a rappresentare una causa, identificandosi con essa. Secondo Said nessuno è totalmente svincolato dalla società; per quanto libera questa possa essere, anche uno scrittore bohémien ne è coinvolto.
L'intellettuale è sempre soggetto alle istanze del suo tempo, pertanto nel corso delle Reith Lectures riflette su quali possano essere i vari tipi di condizionamento. Uno di questi, che Said considera negativo, è il desiderio di diventare specialisti in un determinato settore, da evitare poiché induce a separare la conoscenza, dividendola in compartimenti entro discipline. Secondo l'autore, ad esempio, nel campo degli studi letterari tale condotta ha comportato un formalismo tecnico esasperato che ha distolto l'attenzione dal contesto storico delle opere. Le esperienze concrete che hanno contribuito alla realizzazione dei testi letterari rischiano di non essere prese in considerazione, in quanto la specializzazione induce a “perdere di vista il lavoro materialmente necessario alla produzione dell'arte o della conoscenza”5. È un comportamento che, sebbene sia da evitare perché soffoca il gusto della scoperta, attualmente pervade tutti i sistemi scolastici.
Un altro tipo di condizionamento, legato al precendente, è l'ambizione ricorrente di far parte della categoria degli esperti. Said critica ad esempio gli area studies delle università americane, poiché tali discipline producono esperti funzionali nel perseguimento degli interessi geopolitici nazionali. Secondo Said l'ottenimento di un qualsiasi titolo che possa inserire una persona entro il novero degli esperti è legato alle esigenze del potere. Partiti, industrie, lobbies e fondazioni per accrescere l'influenza nei settori di loro competenza si avvalgono di questi stessi esperti. Inoltre, un altro condizionamento che influisce sugli intellettuali è la voglia di appartenere a quella minoranza che detiene il diritto di prendere decisioni, consigli o direttivi che siano.
Benché vengano criticati tutti quegli intellettuali che agiscono sulla base del proprio rendiconto, Said non accusa di tradimento coloro che si guadagnano da vivere scrivendo su un giornale o insegnando. Intende contestare quelli che affermano le proprie posizioni volendole imporre con una parvenza di autorevolezza, come fanno in genere gli esperti, i consulenti, i professori, vale a dire chiunque offra pareri vendendoli come se fossero dati obiettivi. Gli intellettuali dovrebbero comportarsi in maniera differente, ossia evitare di mostrarsi come professionisti, sforzandosi così di raggiungere una relativa indipendenza.
Nel suo invito a sganciarsi dai condizionamenti sopra citati, Said articola con sapiente spirito provocatorio la sua predilezione verso un'altra categoria di studiosi: i dilettanti. Considera questi contraddistinti da una maggiore responsabilità e passione, non restii ad affermare platealmente le proprie opinioni. Gli intellettuali dovrebbero considerarsi sempre dei dilettanti, poiché solo così possono dedicarsi ai loro interessi con la necessaria autonomia. I dilettanti infatti non hanno nessun ruolo da difendere, possono cambiare il proprio campo di ricerche, uscire dai confini delle discipline e sperimentare strade differenti. Sono liberi di esprimersi con maggior autonomia, senza la cautela di quei professionisti sempre spaventati di mandare tutto all'aria, preoccupati dall'idea di non scandalizzare i colleghi che lavorano nel loro stesso campo. I dilettanti non sono dei funzionari che dipendono fortemente dagli incarichi loro assegnati. Diversamente dai professionisti, non cercano di soddisfare ambizioni immediate, in quanto sono stimolati da motivazioni che trascendono i doveri lavorativi e agiscono spinti delle proprie idee.
Il sociologo americano Charles Wright Mills ritiene che gli intellettuali siano di fronte a un dilemma: o rimanere outsiders, marginali e con un senso di impotenza, oppure diventare insiders, cioè entrare nei ranghi istituzionali, aziendali o governativi. Said concorda con questa osservazione poiché gli intellettuali sembrano essere sempre al bivio tra solitudine e allineamento, divisi entro due categorie, a seconda che scelgano la strada dell'integrazione o dell'estraneità. Gli insiders sentono di appartenere pienamente alla loro società, alla loro fazione, e si possono definire uomini del consenso. Gli outsiders invece vivono come esiliati, ovunque stranieri, e si pongono sempre in contrasto con la realtà vigente. Per Said questi ultimi rappresentano i veri intellettuali. Non seguono sentieri già tracciati e sono sempre in movimento perché, non sentendosi mai perfettamente a proprio agio, sono costretti a reinventarsi di continuo.
Porsi come dilettante, o outsider, aiuta non solo a preservare una maggiore autonomia, ma anche a rapportarsi nella sfera pubblica. Scegliere tale condotta significa preferire una posizione marginale, collocazione che non è necessariamente svantaggiosa, anzi secondo Said è portatrice di benefici, al punto che, paradossalmente, afferma che un intellettuale dovrebbe sentirsi un esiliato, un emarginato. Per la maggior parte delle persone sentirsi ai margini può costituire uno dei peggiori stati d’animo, associato a una triste sorte, mentre al contrario Said elogia il valore dell'esilio. La condizione dell'esule può essere non soltanto una circostanza reale, in quanto può simboleggiare anche uno stato metaforico, da esaltare. Said sostiene in effetti che
l'esilio per l'intellettuale significa irrequietezza, movimento, la sensazione irrimediabile di essere dislocati, a disagio, e di mettere a disagio gli altri6.
Significa quindi non abitare in nessun posto, non appartenere completamente a nessun luogo, e tale condizione produce un “effetto destabilizzante; provoca scosse sismiche, sconvolgimento in chi ha vicino”7. Privo del conforto degli onori e delle gioie del sentirsi a casa, l'intellettuale è capace di apprezzare il piacere della scoperta, essendo un perenne viaggiatore, non obbligato a seguire sentieri già tracciati e orme venerabili. Non sentendosi mai perfettamente a proprio agio, è costretto a muoversi e a reinventarsi di continuo, sempre disponibile all'innovazione, dato che è svincolato da un iter professionale. Può così svolgere ricerche di volta in volta nei campi verso i quali sente maggior interesse e questo, secondo Said, è un piacere senza eguali. Inoltre, proprio perché è un esule, può osservare il mondo da una posizione privilegiata.
L'uomo che trova dolce il luogo natale è ancora un tenero principiante; quello per cui ogni suolo è come il suolo nativo è già più forte; ma perfetto è quello per cui l'intero mondo è un paese straniero8.
Questa è la sentenza, scritta nel Didascalicon del teologo Ugo di San Vittore e citata dal filologo Erich Auerbach, che Said riporta in Orientalism quando intende spiegare il valore del distacco culturale.
Sebbene Said consideri un intellettuale come una persona disposta a collocarsi ai margini, è consapevole che non esiste nessun ruolo sociale che sia totalmente isolato. Anzi, un intellettuale ha risonanza soltanto quando si coniuga con un ideale collettivo, se è capace di rappresentare dei significati condivisi. Dovendo dunque affrontare il problema della collocazione nella sfera sociale, Said si domanda quale sia il modo giusto di partecipare alla vita pubblica, e fino a che punto può arrivare il coinvolgimento nell'impegno politico. Riflette dunque se sia possibile mettersi al servizio di un'idea senza diventarne completamente parte, e come si possa aderire a un partito, in maniera seria ma non appariscente, senza dover patire le delusioni o i tormenti del tradimento. Said, nonostante dichiari di essere stato sempre stato restio a iscriversi ai partiti, non provando piacere nell'essere arruolato, afferma che è necessario un impegno appassionato e che è giusto esporsi e correre rischi in prima persona.
Spiega infatti che il timore di mostrarsi troppo schierati politicamente uccide la vitalità intellettuale. Questo errore comune viene commesso proprio quando si teme di apparire polemici, tensione provocata dal desiderio di essere inseriti nel novero delle persone che decidono. Si tende a mascherare le proprie opinioni quando si vuol ottenere la benevolenza altrui, mostrandosi equilibrati, oggettivi e moderati. Un intellettuale agisce sempre all'interno della sfera pubblica, ma dovrebbe coltivare opinioni autonome. È uno sforzo costante, ma concede la possibilità di esprimersi liberamente, senza dover temere conseguenze spiacevoli, come l'esclusione o l'abiura. Said invita inoltre a non essere dogmatici nei confronti delle idee, soprattutto in politica, ambito in cui bisogna evitare di essere fedeli a un "dio" poiché tale atteggiamento nel corso del tempo comporta sempre fallimenti9.
Chiunque presta servizio ciecamente a una determinata causa, in un secondo momento rischia di dover ribaltare le proprie idee. Esprime appunto critiche contro "lo spettacolo particolarmente indecoroso della conversione e della ritrattazione"10, ossia quando gli intellettuali cambiano platealmente opinioni, anche in maniera radicale, in genere ogni volta che i poteri mutano. Said sostiene che è infruttuoso esaltare l'ideale che appare al momento vincente, è meschino modellare le proprie opinioni in funzione del potente; un intellettuale dovrebbe preservare una posizione autonoma, il più possibile slegata dall'immediata convenienza. Questa scelta non offre rapidi benefici, però in fin dei conti una collocazione più distaccata risulta essere vantaggiosa poiché concede una maggiore libertà di espressione.
L'intellettuale dunque, grazie alla sua collocazione marginale e poiché non svolge un ossequioso servizio, può elaborare una visione più ampia rispetto a quella di chi ambisce ad affermarsi come uno specialista o un professionista. Può soppesare scrupolosamente le varie alternative, dopodiché scegliere la migliore e rappresentarla con sapienza. Non rappresenta le posizioni che sostiene come se fossero oggettive e quindi inevitabilmente condivisibili, come tendono a fare coloro che ricoprono posizioni dominanti, bensì esprime quel che ritiene essere più efficace per modificare la realtà secondo i suoi valori. In tal modo, l'intellettuale ha la capacità di smascherare le apparenze e di fornire visioni diverse, può essere capace di proporre la verità al potere. Dunque l'intellettuale, quando è dilettante, outsider, ha la possibilità di rappresentare le situazioni in maniera differente dalle ragioni di coloro che detengono il comando; può contrastare le immagini che sono presentate comunemente dalle televisioni e dai giornali, può controbattere i resoconti ufficiali. Con queste affermazioni, Said mostra quindi che è possibile opporsi alle giustificazioni che il potere mette in circolo nei media. È compito dell'intellettuale abbattere quel pensiero che tende a mantenere le cose entro una visione accettabile e omologata. Si possono superare gli stereotipi, le categorie che limitano le comunicazioni e le dottrine che si basano sul senso del privilegio.
Secondo Said l'umanista non ha soltanto l'incarico di commentare le opere di scrittori e artisti, ma ha anche il compito di analizzare l'enorme quantità di informazioni e discorsi che quotidianamente riceviamo dalla televisione, radio, giornali e cyberspazio, cioè da quell’“enorme archivio di materiali che aggrediscono i sensi da tutti i lati, assediano oggi la conoscenza di ognuno di noi”11. L'umanesimo infatti aiuta a lavorare con i testi e i discorsi, indica come cogliere le connessioni e le differenze, in breve insegna a “leggere bene”12. Pertanto spetta agli intellettuali analizzare le notizie giornalistiche smontandole analiticamente, ponendo in evidenza tutti quei processi, di esclusione o di rafforzamento, sui quali si basano i discorsi. Poiché ogni racconto è frutto di un lavoro di selezione degli eventi, il compito da svolgere è far riemergere gli elementi che sono stati considerati volontariamente irrilevanti. Secondo Said, gli umanisti possono agire sul linguaggio perché hanno coltivato la capacità di spiegare, analizzare, criticare o convalidare i discorsi che noi tutti riceviamo quotidianamente.
É necessario svelare gli intenti politici celati nell'informazione fornita dai potenti media. Nei notiziari televisivi si utilizza generalmente il "noi" per coinvolgere il pubblico, comunicando in maniera più o meno diretta quanto sia importante difendere degli stessi valori, di solito in accordo con l'interesse nazionale. Said pertanto invita a riflettere ogni volta che la politica fa ricorso alle appartenenze collettive. L'intellettuale in questi casi dovrebbe spiegare che "i tentativi di mobilitazione collettiva rischiano di risultare distruttivi"13 e “mostrare come il gruppo non sia un'entità naturale o stabilita da Dio, bensì un oggetto costruito, fabbricato pezzo per pezzo, talora addirittura inventato”14. Grazie all'analisi dei discorsi è possibile ragionare sugli artefici della comunicazione e sui destinatari, distinguere tra gli interessi in gioco, degli uni e degli altri. Secondo Said le idee "sono sempre collegate a un'esperienza radicata nella società"15 e, dal momento che nessuno può rappresentare “astrazioni o divinità da servire, remote e disincarnate"16, bisogna diffidare di chi propone certezze assolute.
Per controbattere i discorsi del potere bisogna domandarsi anche quale sia il linguaggio più adatto, quali siano le parole migliori per opporre resistenza. Said sostiene paradossalmente che bisogna esprimersi con “lo stesso linguaggio usato dal Dipartimento di Stato o dal Presidente quando dichiarano di sostenere i diritti umani e scatenano una guerra per ‘liberare’ l’Iraq”17. É necessario servirsi di quello stesso tipo di linguaggio per riappropriarsi degli argomenti, per recuperare tutto ciò che è stato semplificato, tradito, sminuito e cancellato. Questa tecnica rende evidente che gli oratori, grazie alla loro posizione privilegiata, hanno effettuato tecniche di manipolazione. Utilizzare le medesime espressioni serve dunque per smascherare i processi di occultamento: la strategia è smontare le parole, per poi ricomporre un altro discorso, diretto verso lo stesso pubblico, ma con differenti finalità. Spiega infatti che bisogna saper sfruttare nel modo migliore quel che si ha a disposizione, utilizzandolo però su piattaforme diverse.
Ogni rappresentazione è relativa, perciò è importante contrastare le visioni totalizzanti, che il più delle volte mostrano il mondo statico. Per interagire, comunque, dobbiamo necessariamente condividere delle storie che attribuiscono un senso alla realtà. Queste rappresentazioni entro le quali viviamo secondo Said sono importanti perché smuovono le persone, quindi non ritiene convincenti le teorie di Francois Lyotard18 riguardo al postmoderno; non crede che siano finite le “grandi narrazioni” perché siamo sempre esposti a dei discorsi. Poiché generalmente le spiegazioni appaiono coerenti e pervadono il linguaggio, è necessario mantenere la mente sempre aperta al dubbio. Dunque un ulteriore compito dell'intellettuale è far emergere i lati controversi, quel che è offuscato, e mostrare che possono esistere anche altre rappresentazioni. Said sostiene appunto che
l'umanista deve saper proporre alternative, alternative ora ridotte al silenzio o non accessibili tramite i canali di comunicazione controllati da un ristretto numero di gestori dell'informazione19.
Così si realizza un atto di resistenza che, di conseguenza, gratifica il piacere della scoperta. Secondo Said “l'intellettuale deve sempre partire dal presupposto che sia possibile indicare alternative”20 e il suo ruolo è dialettico e oppositivo perché può “sfidare e sconfiggere, ovunque e ogni volta sia possibile, il silenzio imposto e la calma normalizzata”21. In relazione ai discorsi dei media pertanto l'intellettuale deve essere come una sentinella, sempre pronto a presentare narrazioni alternative e prospettive diverse sulla storia rispetto a quelle offerte da chi si schiera a fianco della memoria ufficiale, dell'identità e della missione nazionale22.
1Matthew Hibberd, 2005, Il grande viaggio della Bbc, Roma, Rai-Eri.
2Antonio Gramsci, 1975, Quaderni del carcere, Torino, Einaudi, p. 1513-1540.
3Edward Said, Dire la verità, cit., p. 20.
4Julien Benda, 1975, La trahison des clercs, Paris, Grasset & Fasquelle; trad. it. 1976, Il tradimento dei chierici, Torino, Einaudi.
5Edward Said, Dire la verità, cit., p. 85.
6Ivi, p. 64.
7Ivi, p. 67.
8Edward Said, 1978, Orientalism, New York, Pantheon Books; trad. it. 2006, Orientalismo. L'immagine dell'Oriente in Europa, Milano, Feltrinelli, p. 255.
9Edward Said, Dire la verità, cit. p. 114.
10Ivi, p. 118.
11Edward Said, Umanesimo e critica democratica, cit., p. 69.
12Ivi, p. 101.
13Ivi, p. 105.
14Edward Said, Dire la verità, cit., p. 46.
15Ivi, p. 118.
16Ibid.
17Edward Said, Umanesimo e critica democratica, cit., p. 153.
18Francois Lyotard, 1979, La condition postmoderne, Paris, Editions De Minuit; trad. it. 1985, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli.
19Edward Said, Umanesimo e critica democratica, cit., p. 96.
20Ivi, p. 156.
21Ibid.
22Ivi, p. 161.