Il punto centrale – molto gramsciano – è capire come le culture nazionali dell'Inghilterra, della Francia e degli Usa siano riuscite a mantenere la loro egemonia sulle periferie del mondo, e come all'interno delle metropoli crescesse e continuamente si consolidasse il consenso generale circa il dominio di lontani territori e popoli nativi.
(E. Said, Cultura e Imperialismo, p. 76)
Nel 1993 Said pubblicò Culture and Imperialism, un'opera che, come Orientalism, rivitalizzò un intero campo di ricerca. Frutto di anni di lavoro, il libro presenta una visione insolita delle opere letterarie europee del XVIII, XIX e inizio XX secolo. Alcuni classici della narrativa vengono analizzati alla luce delle circostanze storiche e politiche entro le quali vivevano gli autori. I testi prodotti nella cultura europea, specialmente inglese e francese, vengono letti cercando di cogliere quel che è implicito, il contesto che alcune volte emerge tra le righe e altre volte viene celato. Il personaggio di Robinson Crosue scritto da Daniel Defoe, ad esempio, è il chiaro campione del modello di autorità riprodotto nella narrazione. Jane Austen viene considerata in relazione alla presenza coloniale britannica nelle Antille1 e Rudyard Kipling strettamente legato al dominio britannico in India2. Joseph Conrad viaggia perseguendo gli interessi commerciali europei in Africa e Asia, Albert Camus raffigura l'Algeria dominata dai francesi e William Butler Yeats l'Irlanda in lotta contro la Gran Bretagna. Intende individuare quel che è nascosto dietro le opere, stimolato dall'osservazione di Walter Benjamin per il quale la cultura “non è mai un documento della cultura senza essere insieme un documento di barbarie3”. Per Said il romanzo nel suo complesso, inteso come finzione culturale della società borghese, è in stretta relazione con l'imperialismo.
Nella maggior parte delle sue opere Said affronta il tema del dominio; riflette sul funzionamento del potere indagando come sia possibile che persista nel tempo. Studia i secoli del colonialismo europeo e l'espandersi delle amministrazioni oltreoceano, specialmente nel XIX secolo. Tra il 1815 e il 1914 i domini dell'Europa passarono dal 35% all'85% circa delle terre emerse, e gli imperi coloniali si stabilirono in tutti i continenti. In India, al culmine del suo potere, la Gran Bretagna regnava su trecentocinquanta milioni di abitanti, con un numero di residenti inglesi inferiore alle centomila persone. Said è interessato a studiare proprio questo aspetto. Vuol capire non solo come quella situazione sia stata realizzata dal punto di vista storico ed economico, ma soprattutto come sia stato possibile che una minoranza così esigua di inglesi sia riuscita a mantenere il dominio su un vastissimo paese, e per così tanto tempo. In Orientalism si pone questa questione quando riflette che
l'importante, verso la fine del secolo scorso, non era che l'Occidente avesse penetrato e conquistato l'Oriente, ma il modo in cui inglesi e francesi ritenevano di esservi riusciti4.
Said medita ad esempio sulle strategie che le autorità britanniche idearono per poter rendere accettabile il loro governo. In India l'amministrazione coloniale, quando doveva annunciare la nomina di un nuovo sovrano inglese, per ribadire meglio la sua autorità svolgeva cerimonie conciliandole con la tradizione indiana. Per celebrare il conferimento del titolo di imperatrice alla regina Vittoria, nel 1877 gli inglesi svolsero i Durbar, cioè un gran numero di rituali e processioni secondo le usanze locali. In tal modo il governo coloniale si attribuì una forte legittimità, pretendendo di inserirsi nel contesto della storia indiana5.
Per Said l'imperialismo per poter essere accettato, sia da chi esercita il potere sia dai dominati, ha bisogno di creare una giustificazione, una ragione per difendere se stesso. Nelle sue opere cita spesso Joseph Conrad perché lo considera un rappresentante dell'imperialismo atipico. Durante le sue numerose spedizioni nei vari continenti seppe comprendere gli aspetti negativi dei domini coloniali6. Said rimase affascinato da una frase espressa da Marlow, personaggio del romanzo Heart of Darkness, parole lucide nel definire l'essenza del potere ogni volta che viene esportato con la forza nel mondo:
la conquista della terra, che in genere vuol dire portarla via a chi ha una pelle diversa dalla nostra o un naso un po' più schiacciato, a pensarci bene non è proprio una bella cosa. Ciò che la riscatta è soltanto l'idea. Un'idea che la sostenga; non una finzione sentimentale, ma un'idea, e una fede disinteressata nell'idea – qualcosa che si possa innalzare, davanti a cui inchinarci, a cui offrire un sacrificio7.
Gli imperi in effetti ebbero bisogno di elaborare una ragione che potesse giustificare le proprie politiche. È stata definita in vari modi: la missione civilizzatrice, la volontà di portare il progresso, la lotta contro i tiranni, ma tutti questi aspetti, ricordando le parole di Conrad, non sono altro che ideologie che intendono giustificare il dominio. Sono un arsenale composto, non da cannoni e fucili, ma da teorie e retoriche. Scrisse infatti Said:
la costruzione di un impero, per realizzarsi, deve essere sostenuta dall'idea di avere un impero (…) e a tal fine tutta la preparazione necessaria viene fatta nel campo della cultura8.
Said dedica attenzione ai rapporti di potere, a come si instaura la connessione tra due forze apparentemente lontane e differenti. Apprezza il concetto di egemonia così come è stato elaborato da Gramsci perché ritiene che possa essere una chiave di lettura per comprendere, non solo i rapporti tra le classi sociali, ma anche il legame tra un impero e le colonie, tra i centri metropolitani di governo e le periferie. Il professore Giorgio Baratta ha evidenziato proprio questo aspetto di Said, vale a dire quanto il suo pensiero sia concorde con le analisi di Gramsci, poiché anch’egli ritiene che i governi, per poter rimanere in carica, hanno bisogno di esercitare costantemente il potere, sia con il dominio della forza sia con l'influenza della cultura9. Sostiene infatti Said che le classi dominanti ricoprono un ruolo dirigente grazie alla loro capacità di essere egemoni, essendo riusciti a trasmettere alle classi subalterne valori idonei al mantenimento di un consenso favorevole verso di loro. Anche il rapporto tra nazioni e continenti, tema al quale è interessato Said, è affrontato nei Quaderni del carcere, dove è scritto che
ogni rapporto di ‘egemonia’ è necessariamente un rapporto pedagogico e si verifica non solo nell’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali10.
Gramsci distinse tra dominio ed egemonia, il primo inteso come gli apparati coercitivi della società politica e il secondo come la capacità delle classi dominanti di trasmettere valori. In maniera analoga Said separa il colonialismo dal concetto di imperialismo. Le colonie rappresentano l'esercizio effettivo del potere in terre lontane, invece l'imperialismo è la formazione ideologica indispensabile per mantenere il potere. Per governare è necessario diffondere l'idea che “certi territori e certi popoli necessitino e richiedano di essere dominati”11.
Le maggiori potenze imperialiste del XIX secolo, la Gran Bretagna e la Francia, si distinsero non solo per i vasti domini, ma anche per la mole di studi sui popoli stranieri, conoscenze utilizzate per amministrare i territori. Said si sofferma sui legami tra l'antropologia e l'imperialismo, mostrando che le ricerche furono condotte perché erano funzionali ai governi coloniali. Spiega infatti che
la storia dei vari campi del sapere quali la letteratura comparata, gli studi inglesi, la critica, l'antropologia, può essere vista in connessione con l'impero e, in un certo senso, come un elemento che ha contribuito al mantenimento del dominio occidentale sui nativi non-occidentali12.
Ricorda appunto che solo di recente nel campo dell'antropologia è cominciata una riflessione sul rapporto tra l'imperialismo e gli studi etnografici condotti nei decenni passati, in epoca coloniale. L'autore invita a prendere coscienza che le ricerche occidentali sul mondo non europeo si sono sviluppate con un approccio da dominatore. Quando uno studioso europeo, ad esempio, si pone l'intenzione di studiare un paese non occidentale agisce, anche simbolicamente e indirettamente, il potere dell'Occidente nella conduzione delle ricerche.
Una conseguenza dell'imperialismo nei continenti secondo Said è stata l'aver teorizzato e fissato identità rigide. Alle varie popolazioni furono attribuite caratteristiche particolari, descritte nelle ricerche e nei resoconti di viaggio. L'orientalismo ad esempio creò un'immagine canonica degli arabi e dei musulmani, e anche nel resto del mondo i vari poteri coloniali contribuirono a delineare allo stesso modo identità ben definite. Come sono stati orientalizzati gli orientali, così sono stati africanizzati gli africani, e il processo analogo fu ripetuto negli altri continenti. Per Said la classificazione delle culture è un frutto dell'imperialismo, che tende ad accentuare le divisioni per meglio controllare i territori. Ovviamente un'altra distinzione che venne mantenuta forte e invalicabile fu quella tra il colonizzatore e il colonizzato.
Nelle sue opere cita spesso i testi di Frantz Fanon, soprattutto quando riflette sulla logica della separazione nelle colonie e sulla persistenza della dialettica oppositiva soggetto/oggetto13. Questa realtà comporta necessariamente uno stato di subordinazione, la presenza di forti diseguaglianze e prepara il nascere di aperti e violenti conflitti.
Un aspetto interessante che Said mette in rilievo è dunque la capacità dell'Occidente di aver influito nel resto del mondo, lasciando ovunque tracce del suo dominio. I discorsi tipici dell'orientalismo, ricchi di immagini denigratorie nei confronti degli arabi e dei musulmani, sono diventati comuni non solo in Occidente, ma si sono diffusi anche nei paesi mediorientali. Tale fenomeno non si è realizzato tramite un processo unidirezionale, frutto di una passiva ricezione. Vi è stata un'elaborazione attiva da parte degli orientali. Said su questo tema afferma chiaramente che “l'Oriente moderno è complice della sua stessa 'orientalizzazione'”14.
Spiega che oggi i paesi arabi hanno una posizione subalterna nel campo della cultura perché non hanno saputo sviluppare una propria autonomia. In Orientalism critica il mondo universitario in Medio Oriente, affermando che gli istituti arabi “funzionano generalmente ispirandosi a schemi ereditati, e a suo tempo imposti, da un'ex potenza coloniale”15, cosicché “le principali linee di sviluppo della cultura mediorientale si ispirano a modelli europei e americani”16. Anche gli studi più prestigiosi sul mondo arabo non sono condotti in Medio Oriente perché i centri d'eccellenza sono attualmente a Oxford, a Harvard e all'Ucla. Said denuncia che quando uno studioso arabo collabora con le università statunitensi questo è considerato semplicemente un “informatore indigeno”, apprezzato per aver sviluppato la capacità di padroneggiare il sistema orientalista17. L'Occidente pertanto gestisce attualmente il controllo dei maggiori poli culturali del mondo. Said fa notare infatti che, in tutto il mondo islamico, non vi è una biblioteca centrale di testi arabi. Chiunque intenda specializzarsi nei cosiddetti studi sul Medio Oriente necessariamente si deve documentare in biblioteche di istituti americani o europei. Nel mondo accademico poi i rapporti internazionali tra le università sono disuguali. Ad esempio negli Stati Uniti scoppiano proteste se i paesi musulmani donano denaro per finanziare gli studi arabi o islamici perché viene subito denunciata l'ingerenza di paesi stranieri. Il pericolo invece non è percepito quando vengono ricevuti fondi da paesi come la Germania o il Giappone18. Gli effetti del dominio culturale si mantengono pertanto nel tempo, hanno radici storiche e durano fino ai giorni nostri.
1Jane Austen, 1814, Mansfield Park, London, Egerton; trad. it.1988, Mansfield Park, Milano, Garzanti.
2Rudyard Kipling, 1901, Kim, London, MacMillan & Co; trad. it. 1990, Kim, Milano, Mondadori.
3Walter Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, in 1974, Gesammelte Schriften, Frankfurt, Suhrkamp Verlag; trad. it. 1997, Sul concetto di storia, Torino, Einaudi, p. 31, cit. in Edward Said, Cultura e Imperialismo, cit., p. 339.
4Edward Said, Orientalismo, cit., p 209.
5Edward Said, 2000, Reflections on exile and Other Essays, Cambridge, Harvard University Press; trad. it. 2008, Nel segno dell'esilio. Riflessioni, letture e altri saggi, Milano, Feltrinelli, p. 642. Edward, Said, Cultura e Imperialismo, cit., p. 343.
6Said dedicò la tesi di laurea alla personalità di Conrad, sforzandosi di individuare i conflitti interiori che lo caratterizzarono. Edward Said, 1966, Joseph Conrad and the Fiction Autobiography, Cambridge, Harvard University Press; trad. it. 2008, Joseph Conrad e la finzione autobiografica, Milano, Il Saggiatore.
7Joseph Conrad, Heart of Darkness, in Youth and Two Other Stories, Doubleday, Garden City, p. 50-51; trad. it 1996, Cuore di tenebra, Milano, Frassinelli, p. 45.
8Edward Said, Cultura e imperialismo, cit., p. 36.
9Giorgio Baratta, 2007, Antonio Gramsci in contrappunto, Roma, Carocci.
10Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit. p. 1331, cit. in Giorgio Baratta, Antonio Gramsci in contrappunto, cit., p. 37.
11Edward Said, Cultura e Imperialismo, cit., p 35.
12Ivi, p. 76.
13Frantz Fanon, 1961, Les damnés de la terre, Paris, Maspéro; trad. it. 1962, I dannati della terra, Torino, Einaudi.
14Edward Said, Orientalismo, cit., p. 323.
15Ivi, p. 320.
16Ivi, p. 321.
17Ibid.
18Edward Said, Covering Islam: How the Media and the Experts Determine How We See the Rest of the World. Revised Edition, cit., p. lviii.