L'Oriente presentato dall'orientalismo è quindi un sistema di rappresentazioni circoscritto da un insieme di forze che introdussero l'Oriente nella cultura occidentale, poi nella consapevolezza occidentale, e infine negli imperi coloniali occidentali.
(E. Said, Orientalismo, p. 201)
Said nacque e crebbe rispettivamente in Palestina e in Egitto, territori dove vigeva il potere britannico. La sua famiglia era araba di religione cristiana, visse come straniero a Il Cairo dove ricevette un'educazione anglosassone, e poi risiedette a New York. Questa combinazione di elementi e il conflitto tra appartenenze contrastanti hanno formato la sua personalità, e lo indussero a concentrarsi sulla storia della sua cultura. Volle così indagare in profondità le sue origini, e quelle delle regioni dove visse, cosicché nel 1978 pubblicò la ricerca che lo rese famoso, Orientalism1. Il testo diede avvio a molte riflessioni e commenti poiché racconta da un insolito punto di vista, fortemente critico, l'immagine dell'Oriente che ha preso forma in Europa e negli Stati Uniti.
Lo studio sull'orientalismo ha origine dalla storia personale di Said perchè viene analizzato il contesto culturale entro il quale lui stesso visse. Per spiegare le motivazioni della sua opera, nell'introduzione scrisse che fu affascinato quando lesse nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci che
l'inizio dell'elaborazione critica è la conoscenza di quello che è realmente, cioè un 'conosci te stesso' come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un'infinità di tracce accolte senza beneficio d'inventario2.
Leggendo il testo italiano scoprì in seguito che nell'edizione inglese era stata inspiegabilmente omessa la frase successiva, il proposito “occorre fare inizialmente un tale inventario”. Ispirandosi a quell'ultimo invito Said rivela appunto che
da molti punti di vista, questa ricerca sull'orientalismo rappresenta uno sforzo per redigere l'inventario delle tracce depositate in me, orientale, dalla cultura il cui predominio è stato un elemento così importante nella vita di tanti orientali3.
Con il termine orientalismo nell'opera si intende il modo con il quale sono state osservate le regioni orientali, focalizzandosi in particolare sui giudizi che furono espressi sui paesi del Medio Oriente. Said critica le rappresentazioni che sono state elaborate, piene di immagini poco realistiche, spiegando come queste siano state plasmate da vari fattori nel corso degli anni, processo avvenuto soprattutto a partire dal XVIII secolo, fino a consolidarsi nel XIX. Molti studiosi e viaggiatori si mossero in quel periodo verso l'Est dall'Europa, in particolare provenienti dalle potenze coloniali come la Gran Bretagna e la Francia, e ognuno tornò portando con sé un bagaglio di descrizioni. Con il tempo le loro osservazioni assunsero l’aspetto di un corpo coeso, le ricerche furono istituzionalizzate e venne creata una disciplina vera e propria. L'orientalismo è stato dunque il sistema di rappresentazioni con il quale si introdusse l'Oriente nella cultura occidentale.
L'Oriente fu visto come radicalmente diverso dall'Europa e fu descritto con toni sprezzanti poiché a questo vennero associate caratteristiche negative. Il dispotismo, l'irrazionalità e l'arretratezza, ad esempio, furono attribuite agli orientali, e allo stesso tempo le qualità opposte, positive come il progresso, la razionalità e il governo civile furono ritenute proprie dell'Occidente. Tali giudizi secondo Said erano una proiezione dell'Occidente sui paesi mediorientali. Grazie alle descrizioni di quel che era estraneo, tramite la raffigurazione dell'opposto, i paesi europei hanno potuto definire se stessi. L'alterità non veniva compresa cercando di percepire i significati delle differenze. Vennero invece utilizzati i parametri di giudizio appartenenti allo sguardo dell'osservatore europeo, cosicché all'Oriente furono connesse caratteristiche che incutevano timore
Tali rappresentazioni alimentarono i sentimenti di ostilità, ma consolidarono anche la necessità di dover osservare quel che era diverso. Per poter arginare le minacce era necessario conoscere i paesi stranieri. L'Oriente venne così studiato dalle nazioni europee per poterlo controllare meglio, per perpetuare la dominazione.
Il rapporto tra Oriente e Occidente è appunto una questione di potere, di dominio, nel quale sono coinvolte forme di egemonia. Said si sofferma quindi sul periodo nel quale l'Oriente entrò a far parte dei paesi europei, i secoli del colonialismo e della formazione degli imperi.
Un evento rilevante ad esempio fu lo sbarco di Napoleone in Egitto, arrivo che mise in evidenza la debolezza dei paesi mediorientali. Successivamente si instaurarono poteri francesi e inglesi in Medio Oriente, così come avvenne nel resto del mondo. Non fu casuale che allora gli orientali fossero descritti nel loro ruolo passivo, con una mentalità fatalista e disposti, quasi per loro natura, ad essere dominati. È evidente per Said il legame tra i racconti degli orientalisti e il potere politico artefice dell'imperialismo. In Orientalism invita infatti a ripensare gli studi sul Medio Oriente evidenziando i rapporti tra conoscenza e potere in quanto è proprio l'intreccio di questi elementi che ha creato “l'Oriente”, con tutte le immagini stereotipate a questo connesse. Benché le discipline orientaliste pretendano di essere obiettive, acquisendo una retorica razionalista e distaccata, Said mette in evidenza come siano invece immerse nelle circostanze storiche, reali, permeate dalla politica. L'Oriente, nel suo ruolo subordinato all'Occidente, apparve muto, privo della possibilità di esprimersi in maniera autonoma, e poiché esso aveva bisogno di essere rappresentato, le sue storie furono espresse con le parole e la voce dell'Occidente. Solo gli europei furono considerati in grado di poter inquadrare l'Oriente nel presente, altrimenti esso sarebbe rimasto nel passato, nella sua dimensione atemporale, arretrata rispetto allo sviluppo delle nazioni civili.
C'è un nesso tra l'immaginazione europea, espressa negli scritti dei viaggiatori, e il presupposto silenzio dei popoli orientali. Said evidenzia questo legame soffermandosi sull'importanza dei testi per i ricercatori orientalisti. Sostiene che la scrittura ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione e nella diffusione delle rappresentazioni tipiche dell'orientalismo. Chi doveva recarsi nei paesi mediorientali faceva ricorso alle opere dei viaggiatori, cioè agli studi già svolti sulla regione e sulle tradizioni locali. I testi, qualora avessero dimostrato di essere attendibili, vennero considerati autorevoli, cosicché le esperienze dei lettori erano sempre influenzate dalle conoscenze precedenti. A loro volta i futuri scrittori venivano indotti a trattare gli argomenti con la medesima maniera espressa nelle opere già affermate. Secondo Said tale processo favorì il perpetuarsi di un medesimo pensiero sull'Oriente. Scrive infatti che un
testo può creare non solo la conoscenza ma anche la realtà effettiva di ciò che descrive. Nel tempo, conoscenza e realtà producono una tradizione, o ciò che Michel Foucault chiama un “discorso”, il cui peso e la cui concreta esistenza, più che l'originalità dei suoi autori, sono la vera fonte dei testi che da essa traggono spunto4.
Così si perpetuò un insieme di pensieri ritenuti veritieri, dei quali era necessario sempre tener conto. L'Oriente venne inquadrato in un sistema di definizioni impersonali. Spiega Said che in tal modo si creò una conoscenza uniforme, comunemente accetta, ed entro la quale “gli orientalisti trattarono vicendevolmente i loro scritti in un'unica maniera, di cui la citazione era il cardine”5. Tutte le rappresentazioni dell'Oriente in Europa, sia le opere degli studiosi sia i racconti di testimonianze personali, per poter essere accettate dovevano adeguarsi alle visioni divenute diffuse. Scrive Said che
le rappresentazioni dell'orientalismo nella cultura europea corrispondono a ciò che si potrebbe chiamare una coerenza discorsiva6.
Le descrizioni agivano entro uno stesso spazio che era preesistente allo scrittore, entro il quale quest'ultimo doveva trovare una posizione. Ribadendo l'importanza del nesso tra cultura e contingenze storiche, Said afferma che nessuno può essere completamente originale quando crea un'opera, poiché ogni attività è condizionata dal repertorio di immagini dal quale si trae ispirazione, e questo è necessariamente limitato.
L'orientalismo si può individuare non soltanto nelle parole dei discorsi, così come sono esplicitamente espresse, ma anche a un livello sottostante. Said percepisce una medesima cornice teorica che sorregge tutte le descrizioni, e ipotizza l'esistenza di un orientalismo latente. Tale orientalismo, distinto da quello manifesto, esplicito, permette l'esistenza stessa delle descrizioni in quanto rende accettati gli enunciati. L'autore spiega questo concetto scrivendo che
a chiunque intendesse parlare dell'Oriente in modo da farsi ascoltare, l'orientalismo latente assicurava tutta la necessaria capacità enunciativa, tutto ciò che occorreva per un sensato discorso su ogni questione all'ordine del giorno7.
Said non intende tuttavia affermare che tutti gli studi condotti in Europa siano infondati, privi di validità poiché basati solo su vaghe congetture. Ovviamente riconosce i meriti e i contributi della geografia e della storia, materie che si sono sviluppate ricercando l'oggettività. Evidenzia però la costante presenza di un secondo piano di conoscenza, dall'autore definita “immaginativa”, che pervade il campo del sapere. Scrive infatti che “vi è qualcosa di più di quella che sembra una conoscenza puramente obiettiva”8. Una dose di immaginazione è presente in ogni discorso, pertanto anche gli enunciati che pretendono di mostrarsi oggettivi, in realtà non sono immuni dalle influenze del contesto entro il quale prendono luogo.
1Edward Said, Orientalismo, cit.
2Antonio Gramsci, 1975, Quaderni del carcere, Torino, Einaudi, p. 1376, cit. in Edward Said, Orientalismo, cit., p. 34.
3Edward Said, Orientalismo, cit., p. 34.
4Ivi, p 99.
5Ivi, p 168.
6Ivi, p. 269.
7Ivi, p. 220.
8Ivi, p 61-62.